L’ingresso di Poste nel Tim, dopo lo swap con Cdp, è una buona notizia, lascia intravedere potenziali, future operazioni per consolidare il comparto delle telecomunicazioni. Ma non basta. I nodi del settore – il contratto al palo, i call center, il piano industriale di Fibercop – restano, in attesa del tavolo al Mimit, in programma il 12 febbraio e poi slittato a data da destinarsi.
È il bilancio dei sindacati all’alba delle operazioni tra Cassa depositi e Prestiti e la società guidata da Matteo del Fante, che dopo due Cda in contemporanea nel weekend hanno scambiato le rispettive quote in Tim (8,9%) e Nexi (3,8%). Ora che Poste è dentro, bisogna capire “con quale obiettivo”, osservano Riccardo Saccone, leader della Slc-Cgil, e Salvatore Ugliarolo, segretario generale Uilcom, parlando con l’AdnKronos. Perché un conto è una semplice operazione di azionariato, un altro è una porta aperta su “possibilità di operazioni commerciali tra le due realtà”.
Questo secondo scenario è, naturalmente, quello auspicato da tutti i sindacati. “Per Tim il fatto di poter usare la forza di Poste sul territorio non sarebbe da poco”, sottolinea il numero uno della Fistel Cisl, Alessandro Faraoni, plaudendo a “l’attenzione del governo” sul dossier, mentre Saccone ha ribadito l’importanza di “capitali pubblici ‘pazienti’, che Poste ha, per stabilizzare la governance dell’azienda. E poi non uniamo le mele con le pere: Poste ha una grande importanza nella digitalizzazione della logistica e della Pa”, ha aggiunto.
E non va dimenticata, come ricordano sempre i tre segretari, l’incognita Vivendi: i francesi (al 23,7%) resteranno o cederanno la propria quota? Una domanda, questa, che lascia aperta la porta alla corte di iliad e Cvc. Di tutto questo, i sindacati vorrebbero discutere direttamente con l’amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola, a cui a breve manderanno – dicono – una richiesta di incontro.
E vorrebbero parlare anche con il governo, ma dal ministero delle Imprese e del Made in Italy per ora di convocazioni non ne arrivano. I punti all’ordine del giorno, per le tlc, sono numerosi. Governare la transizione attraverso interventi mirati e politiche industriali adeguate, ma soprattutto il rinnovo del contratto collettivo nazionale, scaduto da oltre due anni e al centro di una lunga trattativa, in stallo dallo scorso dicembre; motivo per cui i sindacati hanno proclamato uno sciopero delle prestazioni straordinarie ed accessorie per l’intero mese di marzo, con stop totale per il 31.
Accanto, il tema del contratto di riferimento: “Ci sono aziende che hanno scelto di uscire dal ccnl usando come scusa il mancato rinnovo per aggirare e agire sui costi”, denuncia il leader Fistel, ricordando che “in dodici anni il settore ha perso 12 milioni di ricavi”. “E intanto Fibercop è ancora senza un piano industriale: non vorrei trovarmi a parlare di contenimento del costo del lavoro anche là, a breve. Non si può più tergiversare, ci si deve confrontare”, dice dal canto suo il segretario della Slc-Cgil, rivolgendosi direttamente all’esecutivo. “L’ultimo incontro è stato a marzo 2024. Dopo numerose richieste, abbiamo ottenuto una nuova data per il 12 febbraio, un anno dopo, e ora niente. Il governo fa tutto tranne ascoltare”, incalza a sua volta il numero uno di Uilcom, rinnovando l’appello ad “un vero confronto sulle politiche industriali come le tlc”.