Le dimissioni dei consiglieri di Vivendi dal cda di Tim sotto osservazione della Consob. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera e dal Sole 24 Ore, il fondo Elliott e i membri indipendenti del Cda dopo le dimissioni in massa degli otto membri in quota Vivendi, potrebbero rivolgersi con un esposto all’organo di vigilanza della Borsa o al Governo per contestare la mossa francese, che ha spostato all’assemblea del 4 maggio lo scontro finale sulla governance dell’azienda italiana.
Insomma, il braccio di ferro fra il fondo attivista Elliott e Vivendi a questo punto è senza esclusione di colpi, anche se fin dall’inizio si era capito che una soluzione pacifica non era sul tavolo.
Da subito i due azionisti, Vivendi con il 23,9% e Elliott con il 5,75% del capitale di Tim, hanno mostrato i muscoli.
La mossa a sorpresa con cui giovedì scorso Vivendi ha fatto decadere il cda con le dimissioni in massa di otto membri del Consiglio, compreso il presidente di Tim e Ceo di Vivendi Arnaud De Puyfontaine, ha rimandato la resa dei conti dal 24 aprile al 4 maggio. Provocando la reazione stizzita di Elliott, che ha tacciato l’operazione come “cinica e egoista”, soltanto per prendere tempo.
Ma nel frattempo, secondo quanto scrive il Giornale, gli stessi consiglieri di minoranza non dimissionari potrebbero presentare un esposto alla Consob sostenendo che, con le dimissioni degli 8 membri del cda di, il gruppo francese ha dimostrato di avere il controllo di Tim non solo “di fatto” ma anche “di diritto”. Una tesi questa che, se portata alle estreme conseguenze, potrebbe anche vedere i francesi costretti a promuovere una offerta pubblica su Tim. Opa che costringerebbe Vivendi a consolidare il debito di Tim a bilancio.
Non solo, lo stesso Elliott – secondo indiscrezioni – starebbe valutando un’azione contro gli amministratori di Tim se dovesse emergere che sono venuti meno ai loro doveri.
Com’è noto, Paul Singer, numero uno del fondo Elliott, ha proposto lo scorporo della rete Tim e la sua valorizzazione con l’ingresso di nuovi investitori e la quotazione (almeno parziale) per valorizzare un asset stimato in una forbice compresa fra 12 e 20 miliardi di euro.
Fra i due litiganti, l’amministratore delegato Amos Genish si trova al momento stretto in una morsa, in attesa di capire quali saranno i nuovi assetti aziendali. Il piano industriale “DigiTIM” da lui stesso presentato (ed approvato dal Cda dimissionario) il 6 marzo scorso è in forse.
Resta però da verificare se Genish, sostenuto da Vivendi, resterà saldo al timone di Tim dopo il 4 maggio. C’è da dire che lo stesso Elliott stima Genish, un manager molto stimato nel settore delle Tlc a livello internazionale.
D’altro canto, Elliott sta cercando di coagulare intorno a sé il consenso dei piccoli investitori indipendenti in vista dell’assemblea generale del 4 maggio, puntando soprattutto sulla perdita di valore del titolo (-36%) registrata nell’era Vivendi, senza lo stacco di alcun dividendo né la conversione delle azioni risparmio in ordinarie (più volte ventilata ma mai realizzata).
Nell’entourage di Vivendi, si legge sulla stampa francese, c’è chi sostiene che Elliott sia in combutta con Silvio Berlusconi, a sua volta in guerra con Vincent Bollorè per la mancata acquisizione di Mediaset Premium che procede in tribunale.
L’arrivo di Elliott sulla scena di Tim è quindi vista positivamente dal Cavaliere e dagli ambienti politici, fra cui il ministro Carlo Calenda, contrari all’influenza francese su Tim e soprattutto sugli asset strategici come la rete.
La separazione della rete proposta da Elliott potrebbe semplificare e facilitare il ritorno della Netco sotto l’influsso dello Stato attraverso Enel e Cdp, secondo le voci di diversi quotidiani di casa nostra per una prossima fusine con Open Fiber, che a sua volta deve ancora rifinanziare il suo piano. Una situazione che alla fine potrebbe risultare nella agognata (da Berlusconi) fusione fra Mediaset e Tim.
Vedremo.