Siamo stati tra i pochi in Italia a commentare la gestione deludente di TIM, attribuibile all’attuale management.
Larga parte della stampa italiana, sempre silente, si è ben guardata dal rompere la cortina di silenzio calata sul tema, preoccupata forse di perdere i lauti budget pubblicitari a favore del proprio giornale o tv che sia.
E così per mesi abbiamo assistito alla pubblicazione di continui annunci molti dei quali hanno tenuto su il titolo fittiziamente e c’è da chiedersi cosa abbia fatto la Consob per vigilare.
Adesso all’ improvviso si sono svegliati tutti. E la campana è suonata non solo per i media, ma anche per gli analisti finanziari che sembrano finalmente essersi accorti del fenomeno.
Viene in mente la metafora del salone delle feste del Titanic, quando tutti continuavano a ballare ignari del danno che l’iceberg aveva arrecato a quella che sembrava essere la nave inaffondabile del secolo.
TIM come il Titanic?
Beh, l’idea che se ne ricava è che la nave sia quantomeno gravemente danneggiata, dopo aver attraversato tutti i mari e i mercati del mondo e con grande successo, se si pensa ai due decenni d’oro: dagli anni Novanta ai primi anni 2000. Erano gli anni in cui Telecom Italia operava in decine di Paesi, esibendo tecnologie sofisticate e soluzioni commerciali geniali, che tutti ovunque hanno copiato.
Poi è arrivato gradualmente il buio e oggi è una nave tra i flutti, con un comandante che si distrae e non interrompe il ballo nel salone delle feste, ignorando l’iceberg che ha davanti.
Questa è la triste situazione.
TIM ha evidentemente bisogno di una nuova strategia e di un nuovo piano industriale. E forse anche di un nuovo management. Insomma tutto da rifare o quasi.
I numeri dell’attuale gestione sono impietosi.
L’attuale top management si è insediato nel novembre 2018. Il fatturato dell’esercizio 2018 ammontava a 18,940 miliardi di euro. Oggi sulla base della media dei ricavi dei primi tre trimestri il fatturato alla fine del 2021 dovrebbe attestarsi poco al di sopra dei 15 miliardi di euro.
Un vero è proprio tracollo.
Grazie alla gestione dell’attuale top management, TIM avrebbe perso quasi 4 miliardi di euro di fatturato negli ultimi 3 anni. E questo si è riflesso sul valore del titolo in borsa che ha perso il 40% circa del suo valore ed oltre l’80% se comparato con la performance del FTSEMIB.
Importanti istituzioni finanziarie come UBS indicano un target price delle azioni ordinarie di Telecom Italia a 0,23 euro. Quindi ci sono ampi margini per una ulteriore discesa del titolo. Insomma è un vero e proprio disastro.
Veniamo adesso alla farsa del calcio con DAZN.
TIM getta il cuore oltre l’ostacolo, offrendo ai consumatori un servizio così impegnativo come le partite di calcio in diretta, senza avere ancora la rete in fibra FTTH.
Addirittura alla presentazione dei numeri della trimestrale di qualche giorno fa, Luigi Gubitosi, Ad di TIM, ha dichiarato agli analisti finanziari che non può dare i numeri dei nuovi clienti di TIM Vision per un accordo di riservatezza con DAZN.
Secondo alcune stime, alla fine del terzo trimestre i nuovi clienti di TIM Vision sarebbero solo 45mila o poco più. Se i risultati fossero davvero questi sarebbe un vero flop. Ma potrebbero essere anche 450mila. Il punto è che se i numeri degli abbonamenti a TIM Vision fossero lusinghieri, sarebbero stati sbandierati ai quattro venti.
Ieri poi all’improvviso nuovo colpo di scena.
TIM fa trapelare, almeno cosi appare dal lancio assordante di Bloomberg, la sua disponibilità a rinunciare al controllo della eventuale società unica della rete che si formerebbe a seguito della fusione con Open Fiber. Naturalmente la notizia viene servita sul piatto senza fornire alcun dettaglio della proposta.
Si può considerare come questa uscita di ieri rischi di apparire in realtà come un’azione per ridare fiato al titolo di Telecom Italia (TI) che era sceso ai minimi storici per l’anno, con la seria possibilità di andare al di sotto della soglia psicologica di 0,30 euro ed al tempo stesso per rassicurare la Commissione Europea che la prossima settimana dovrebbe dare il green light al cambio di controllo di Open Fiber. Ma potrebbe essere anche un modo per riaprire con furbizia il polveroso dossier di Open Access e della rete unica con l’obiettivo di rinviare, al tempo stesso, le gare per le Aree Grigie sine die. Gare che, va specificato, TIM potrebbe perdere visto il favore della Commissione Europea per il modello wholesale only. Il che vuol dire perdere almeno altri due anni in discussioni per poi ritornare inevitabilmente al punto di partenza. Un pantano che l’industria delle telecomunicazioni italiane, già in ginocchio, non può permettersi. Tanto più in epoca di PNRR.
Non escludiamo che il governo si sia messo le mani nei capelli.
I piani per le gare nelle Aree Grigie a questo punto potrebbero anche saltare. Con chi la fai la gara se le due uniche società concorrenti discutono di una fusione tra loro? Cosa succederà alle mappature? Infine, TIM manterrà fede agli impegni di copertura dichiarati al MiSE?
È chiaro che sarebbe tutto da rifare e questo vorrebbe dire anche perdere i soldi europei. Un danno per il Paese.
A questo punto bisogna solo aspettare e vedere se (e quando) ci sarà un cambiamento dei vertici di TIM e se Vivendi sarà in grado di proporre un nuovo manager gradito al governo.