“Telecom Italia potrebbe essere il membro fondatore del movimento ‘slow company’, sulla scia del movimento slow food, nato nel 1986 come protesta contro le prime aperture di fast food in Italia”. Lo dice il Financial Times spiegando che la società italiana, alle prese col dossier Tim Brasil, “ha buoni ingredienti. Deve solo metterli insieme al momento giusto”. Senza fretta, insomma, come da migliore tradizione culinaria del Bel Paese.
Telecom Italia ha più volte ribadito che Tim Brasil è un’azienda strategica e ha preventivato nuovi investimenti nel paese, dove ha partecipato anche all’ultima asta frequenze. Ma l’ad Marco Patuano non ha mai neanche nascosto che il gruppo sarebbe disposto a considerare una vendita nel caso di un’offerta congrua e proporzionata al valore del gruppo.
Mentre l’ad e il presidente Giuseppe Recchi nell’ultimo cda hanno ricevuto il mandato del board per esplorare una possibile integrazione tra Tim Brasil e Oi, in Brasile si susseguono i rumors su un’imminente offerta da circa 15 miliardi di dollari da parte dei tre concorrenti Claro, Vivo e Oi. La cifra corrisponderebbe a circa 7,1 volte l’Ebitda di Tim Brasil inferiore al multiplo di 10 volte a cui è avvenuta l’operazione Telefonica-GVT.
Ma al gruppo italiano, secondo il FT, non conviene essere avido: “Il Brasile rappresenta un quinto dell’Ebitda e anche un modesto profitto nel Paese è più forte di quello che offre l’Italia”. Ragion per cui, “Telecom Italia può permettersi di aspettare”.
Anche perché, secondo Moody’s, se Telecom Italia non può agire da consolidatore, “dovrebbe pazientare fino a quando non arriverà un’offerta migliore”.
Secondo Credit Suisse, dice ancora il FT, Telecom Italia avrà un free cash flow di più di 3 miliardi di euro quest’anno e l’anno prossimo. Il debito netto è meno di tre volte l’Ebitda, perciò – conclude il FT – non c’è fretta e il consiglio è di “restare al tavolo”.