Niente sconti dal Governo Gentiloni sul golden power nei confronti di Tim. Il cambio di governace di venerdì scorso non è servito per evitare l’esercizio dei poteri speciali sugli asset strategici per la sicurezza nazionale (come la rete) da parte dell’uscente Governo Gentiloni, che nel suo ultimo Consiglio dei Ministri ha decretato una sanzione di 74,3 milioni di euro alla compagnia italiana per la mancata notifica del “controllo di fatto” (sancito da Consob) da parte di Vivendi salita al 23,9% del capitale. Alla fine la sanzione si è rivelata meno salata dei 300 milioni circolati nei mesi scorsi, ma di certo si tratta di una prima tegola per il nuovo corso aziendale targato Elliott, tanto più che nelle ultime settimane la speranza dell’azienda era di potersela cavare con un massimo di 5 milioni.
Tim non ci sta
Tim, dal canto suo, come Vivendi, si era già premunita facendo ricorso al Presidente della Repubblica contro l’applicazione del golden power, e in una nota ha fatto sapere di aver già presentato ricorso, sostenendo che non ha mai assunto decisioni su “atti dispositivi degli asset strategici, il cui status e disponibilità da parte della società sono rimasti sempre immutati”.
Il gruppo aggiunge poi di non aver mai assunto decisioni su “atti dispositivi degli asset strategici, il cui status e disponibilità da parte della società sono rimasti sempre immutati” e che le vicende che hanno riguardato la qualificazione giuridica del rapporto tra Tim e il socio Vivendi non hanno nulla a che vedere con gli obblighi di notifica della società e sono disciplinati “specificamente da altra disposizione della stessa norma alla stessa non applicabile”.
Decisione attesa
La decisione del Governo era attesa, dopo la netta presa di posizione del ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda, che senza mezzi termini aveva preannunciato “Applicheremo con intransigenza le regole” a difesa degli asset strategici del paese, in primo luogo della rete nazionale di telecomunicazioni. C’è da dire che l’entità della multa, pari all’1% del fatturato cumulato di Tim e Vivendi “in relazione agli asset rilevanti nel settore telecomunicazioni”, è stata calcolata soltanto sugli asset strategici del gruppo (fra cui Telsy, Sparkle, il business Wholesale e la divisione Business). Poteva andare peggio. Palazzo Chigi si è preso il suo tempo per esaminare il dossier e ha atteso l’esito dell’assemblea di venerdì scorso, per vedere chi fra i due contendenti – Elliott o Vivendi – avrebbe avuto la meglio.
Cambio di governance
Ma il cambio di governance a favore di Elliott, salutato con favore dal ministro Calenda, non ha di fatto influito sulla decisione finale del Governo, che ha tenuto il punto chiudendo così la diatriba con il socio francese, che nel frattempo è finito in minoranza.
Per quanto riguarda l’entità della sanzione, il Comitato tecnico di Palazzo Chigi ha tenuto la barra dritta ma non ha voluto infierire sull’azienda. Un’applicazione soft dei poteri speciali, cui non sembra immune l’opera di mediazione diplomatica dei mesi scorsi dell’ad Amos Genish con il ministro Carlo Calenda.
Certo, la sanzione è una tegola per il nuovo Cda a trazione Elliott, che si riunirà il prossimo 16 maggio per l’esame dei dati trimestrali. Il nuovo consiglio punta a chiudere al più presto il capitolo golden power. La multa potrebbe incidere sul piano di tornare alla distribuzione del dividendo.
Dal canto suo, Vivendi avrebbe già inoltrato la richiesta di revoca dell’attività di direzione e coordinamento su Telecom Italia, che dovrebbe finire sul tavolo del Cda il 16 maggio.
Lo scrive Il Sole 24 Ore, aggiungendo che nella stessa occasione dovranno essere costituiti i comitati. Un primo banco di prova sarà la composizione del comitato parti correlate, visto che i consiglieri di maggioranza sono tutti non correlati con il primo azionista.