“Il Gruppo TIM ha enormi potenzialità e, per quanto ci riguarda, deve rimanere integro. Ci batteremo contro ogni ipotesi, da chiunque provenga, che preveda lo spezzatino del Gruppo”. Questa la dichiarazione d’intenti congiunta di Cgil, Cisl e Uil, insieme a quelli delle rispettive categorie (Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil), che hanno inviato oggi una lettera (scarica qui la sintesi il PDF) ai presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato, per chiedere un incontro sulla “prospettiva industriale e gli assetti societari futuri di TIM”.
Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, e i segretari generali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, Fabrizio Solari, Vito Vitale e Salvo Ugliarolo, hanno preso carta e penna per mettere nero su bianco che: “La qualità della prospettiva industriale e degli assetti societari futuri di TIM coinvolge, unitamente al destino di migliaia di lavoratori, una parte rilevante delle speranze di crescita e innovazione del Paese. Allo scopo di contribuire a rendere più chiara l’evoluzione possibile della vicenda, chiediamo un incontro per permettere una discussione di merito”.
Una presa di posizione netta che arriva in un momento cruciale per il futuro di Tim, nel bel mezzo dello scontro feroce fra Vivendi e il fondo Elliott per la governance della compagnia italiana. Il tutto, nel vuoto della politica impegnata nelle difficili manovre per uscire da uno stallo che dura ormai da un mese e mezzo.
Bene Cdp in Tim
In sintesi, i sindacati sono contrari allo scorporo della rete Tim, vedono con favore l’ingresso di Cdp (in difesa del profilo di public company del Gruppo) nel capitale sociale con una quota di circa il 5%, che deve servire a dare stabilità alla governance dell’azienda e ad assicurare gli investimenti necessari allo sviluppo del Paese, alla stabilizzazione finanziaria del gruppo e a dare garanzie occupazionali ai dipendenti diretti (50mila) e dell’indotto (altri 50mila occupati circa).
No scorporo, serve rete unica con Open Fiber assorbita nel gruppo
I sindacati ricordano che “lo scorporo della rete dell’ex monopolista non trova nessun riscontro nel resto d’Europa, mentre pochissimi sono i casi nel mondo”. “Il progetto di societarizzazione della Rete che Tim sta avviando (e che trova consenso anche nel fondo Elliott e della stessa Cdp) deve necessariamente prevedere il riassorbimento sotto un’unica entità dell’esperienza Open Fiber ed il suo mantenimento all’interno del perimetro del gruppo per evitare che il Paese perda un’azienda con massa critica sufficiente a garantire gli elevati investimenti necessari”, si legge nella lettera.
Secondo i sindacati, la nuova Tim dovrà sviluppare l’infrastruttura di rete nazionale “garantendone l’apertura con una nuova regolamentazione che garantisca le pari opportunità per tutti gli operatori del settore”.
Il confronto impietoso
La missiva dei sindacati prende le mosse dagli anni ’90, quando si decise di privatizzare Telecom. Un’azienda che nel 1997 fatturava, convertiti in euro, oltre 23 miliardi, a fronte di debiti per 8 miliardi, a fronte di investimenti per 6,5 miliardi e oltre 120mila dipendenti, ricordano i sindacati. Impietoso il confronto con il quadro attuale: “L’attuale TIM fattura 19,8 miliardi, ha circa 25 miliardi di debiti, investe meno di 5 miliardi, occupa 50mila dipendenti in Italia e le partecipazioni estere si sono ridotte alla sola realtà del Brasile (Tim Brasil)”.
Problema di governance, scenario super preoccupante
Secondo i sindacati, il problema principale di cui ha sofferto Telecom Italia oggi Tim, “è la sostanziale e continuativa instabilità della governance aziendale dalla privatizzazione ad oggi”. Negli ultimi mesi poi lo scenario è diventato “straordinariamente preoccupante con l’emersione di migliaia di potenziali esuberi e una feroce battaglia legale tra gli azionisti per il controllo del Gruppo che rischia di mettere in secondo piano le scelte da compiere per garantirne la sopravvivenza e lo sviluppo”, si legge.
Ascesa di Vivendi e debolezza del sistema di rete di Tim
Secondo i sindacati, l’ascesa di Vivendi in Tim, “con finalità legate in particolare al business dei contenuti, ha messo in evidenza la debolezza del sistema infrastrutturale del Paese in mano all’ex monopolista, tanto da spingere il Governo, ad ad invitare CDP ed Enel a costruire reti in fibra (Open Fiber) per garantire l’innovazione digitale, con un enorme sforzo finanziario”.
Evidente, secondo i sindacati, lo spreco di risorse per la duplicazione della rete a banda ultralarga di Tim e Open Fiber. L’ago della bilancia, secondo i sindacati, dovrebbe essere Cdp, azionista di entrambi i soggetti.