Chi ha creato il Mi Piace su Facebook, oggi rivela che non avrebbe immaginato che avrebbe causato “polarizzazione e negli adolescenti depressione, perché ricevono pochi Like” o cuoricini su Instagram. Chi ha ideato i video consigliati su YouTube invita ad utilizzare estensioni sui browser per eliminare i contenuti suggeriti sul web e sui social network, per non farsi manipolare, per decidere in modo libero. Chi ha dato vita a Gmail dice, categoricamente, di disattivare le notifiche.
Alcuni creatori dei frankenstein digitali sono pentiti
Nel documentario The Social Dilemma, disponibile da pochi giorni su Netflix, alcuni creatori dei frankenstein digitali sono pentiti. Danno consigli per disfare quello che hanno creato.
Non lavorano più nelle big tech, sono “former”, ed ora attraverso il loro racconto di cosa accade dietro lo schermo di chi ha gli occhi fissi su Facebook, Twitter, YouTube, Snapchat, Instagram, TikTok ecc…, cercano di scuotere dal torpore, dall’inerzia, da uno stato di apatia e di fissità della mente la parte del mondo connesso sui social network. Tra questi, ovviamente, ci sono anche gli adolescenti, quelli che Michele Serra ha definiti gli “sdraiati”, sul divano, con lo smartphone incollato al viso. Ma lo facciamo anche noi più grandi. Mentre, continuamente e senza senso, aggiorniamo il feed dei post, chi gestisce i social “sa se sei introverso o estroverso, se guardi le foto dell’ex partner, se ti senti solo, cosa vedi a notte fonda, che tipo di personalità hai, chi voti”, questo svela uno degli esperti di tecnologia intervistato nel documentario diretto da Jeff Orlowski.
Come siamo manipolati sui social
La pellicola smaschera innanzitutto i fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page, e di facebook, Mark Zuckerberg, perché spiega chiaramente che il loro obiettivo non era connettere online le persone del mondo, ma “quello che interessa alle aziende tech non è vendere i dati, ma utilizzare più dati possibili per realizzare modelli che prevedono le nostre azioni”, i contenuti che ci piacciono e che attirano la nostra attenzione, quella che cercano gli inserzionisti e i politici. È il capitalismo della sorveglianza.
In questo modo è facile manipolare gli utenti. Sai quali post o video proporre loro che quasi certamente attireranno la loro attenzione e creeranno engagement: i due ingredienti preziosi per piazzare poi una pubblicità e farla vedere, perché dopo è visibile un contenuto che “mi interessa”, ma non siamo stati noi a cercarlo. È stato indicato dagli algoritmi, che creano anche un altro effetto dannoso: ci fanno vivere nelle bolle digitali. Seguiamo solo chi la pensa come noi. Il consiglio è di mettere meno Mi Piace a chi la pensa come te e più Like a chi la pensa diversamente da te: farai impazzire gli algoritmi ed avrai più possibilità di valutare una notizia, una vicenda, un politico a 360 gradi.
Inoltre, gli algoritmi sono sempre più alimentati dall’intelligenza artificiale, la quale senza i limiti, l’etica e correttivi dell’intelligenza umana può portare a un mondo non più governato da governi, ma dalle piattaforme digitali.
Per questo non è più tollerabile l’assenza di concorrenza, occorre fermare le killer acquisition delle big tech (Facebook che mangia Instagram e WhatsApp, e Google pigliatutto), va frenata l’autoregolazione delle piattaforme, perché vanno regolate da Governi e parlamenti.
Eppure non ti viene voglia di cancellarti dai social, ma…
Nonostante The social dilemma ti faccia conoscere il lato oscuro dei social, dopo averlo visto non viene voglia di cancellare i propri profili sul web, ma il documentario alimenta una sfida: iniziare a lavorare, tutti insieme (governi, parlamenti, istituzioni, Autorità regolatorie, società, nerd, hacker, esperti di tecnologia e di etica digitale, filosofi ed azionisti), per creare social network etici, realizzati da persone responsabili, e tecnologie utili per le comunità, in grado di rendere gli utenti non più bersagli passivi da colpire, catturando la loro attenzione per monetizzare, ma stimolarli a creare contenuti di valore, di qualsiasi genere, per il territorio, la società, il mondo.
Un buon inizio potrebbe essere sostituire “A cosa stai pensando Luigi?” con “Cosa hai in mente di fare per…
- salvaguardare il pianeta?
- migliorare il tuo quartiere?
- rendere più bella la scuola di tuo figlio?
(continuate voi, se volete…)