“There are known knowns. These are things we know that we know. There are known unknowns. That is to say, there are things that we know we don’t know. But there are also unknown unknowns. There are things we don’t know we don’t know”
(Donald Rumsfeld, ex Segretario alla Difesa).
Le anomalie sempre più frequenti nella dinamica dei mercati finanziari lasciano presagire che ci troviamo in un’epoca di “unknown unknowns”: non mancheranno nuove sorprese, bisognerà farci l’abitudine e dovremo convivere con shock esogeni difficilmente prevedibili.
I tre fattori chiave da cui non si può più prescindere sono: (1) l’irruzione della geo-politica sulla scena dei mercati finanziari, (2) la possibilità che i tassi di interesse rimangano sopra la soglia del 5% ancora a lungo (senza necessariamente incidere sull’inflazione) (3) il ruolo centrale e crescente dei fondi sovrani in settori chiave dell’economia su scala globale, che impongono la necessità di individuare nuovi modelli di governance.
I segnali che preludono ad una rotazione dei mercati sono essenzialmente tre: (1) la notizia delle crescenti tensioni commerciali fra Europa e Cina nel settore automotive che sono destinate a rimettere in discussione un interscambio commerciale di 900 miliardi di euro, (2) le valutazioni espresse ieri da Jamie Dimon (CEO, JP Morgan) in merito a alla possibilità di un aumento dei tassi di interesse al 7% da parte della FED, (3) ed il peso crescente dei fondi sovrani che nel loro insieme rappresentano ormai la “terza economia” al mondo in termini di asset under management, dietro solo a Stati Uniti e Cina, ovvero 8 volte il PIL della Spagna.
A luglio di quest’anno lo S&P 500 trattava a 20 volte i profitti attesi, un multiplo il 27% più alto della media degli ultimi venti anni: ma le incertezze dei mercati di queste settimane hanno convinto gli hedge-fund a ridurre la propria esposizione, andando “corti”, segnando un incremento delle posizioni short del 10%, a livelli registrati solo nel 2020 in piena pandemia e non è poco.
Contestualmente, nelle ultime 5 settimane i fondi sovrani Mubadala (Abu Dhabi), PIF (Arabia Saudita), Norges (Norvegia), GIC (Singapore) e QIA (Qatar) hanno incrementato la loro esposizione alla Spagna per 10,7 miliardi di euro, un record assoluto che non si era mai registrato prima di oggi. QIA (Qatar Investment Authority) è il primo azionista di Iberdrola con l’8% del capitale e Mudabala controlla CEPSA.
Se le aspettative di un ulteriore rialzo dei tassi di interesse dovessero tradursi in realtà, toccando la soglia del 7%, difficilmente si potrà prescindere da un ruolo più attivo dei fondi sovrani del Golfo nell’area dell’Eurozona.
Il debito complessivo accumulato a livello corporate in settori come l’automotive e le telco, che supera la soglia critica di 1 trillion €, non lascia molti margini di manovra: richiede inevitabilmente già a partire del 2024 l’iniezione di nuovi capitali da parte di investitori con una prospettiva di lungo periodo.
L’Europa si trova difronte ad una sfida che è appena iniziata è che è destinata a durare nel tempo: ovvero, come definire le regole di ingaggio e la governance in settori di punta, che impattano sul fronte della sicurezza nazionale, come l’intelligenza artificiale, le telecomunicazioni e la mobilità in ottica MaaS (Mobility as a Service).
E’ una sfida che si troverà sul tavolo la nuova Commissione Europea a valle delle elezioni di Giugno del prossimo anno: una sfida importante che richiede un approccio pragmatico ed al tempo stesso lungimirante. E’ un nuovo contesto e richiede soluzioni condivise a livello europeo, per evitare che si creino nuove asimmetrie, che ci condannerebbero ad un’Europa a due velocità.
Si è ancora in tempo, per evitare di arrivare impreparati ad un appuntamento chiave con la Storia: “decisions don’t wait”, è tempo di scendere in campo, perché la partita è già iniziata e si rischia di arrivare tardi.