Condivido la definizione di sicurezza proposta da Giovanni Calabresi su queste pagine (2022: cos’è la sicurezza): “…condizione reale e/o percepita di assenza di rischio rilevante, ai fini dello svolgimento della normale esistenza di un individuo o di un gruppo umano. Tale condizione può essere garantita mediante l’attivazione di comportamenti individuali e/o di gruppo e di misure di prevenzione e di protezione attive e passive, fisiche, logiche, procedurali e regolamentari, contro ogni evento doloso e colposo idoneo a turbare l’equilibrio del sistema di riferimento e ad influire negativamente sulla qualità della vita di individui e gruppi…”.
Non già per cristallizzare un concetto, la definizione di Calabresi ci dice che una società sicura è una società consapevole della propria complessità. Ciascuno di noi sa che l’equilibrio non è mai una condizione acquisita per sempre e che il conflitto, così come le interferenze esterne al contesto nel quale viviamo, ci appartengono e ci condizionano.
Il punto sul quale mi concentro brevemente, per descrivere il rapporto strategico tra gli intellettuali e la sicurezza, è la coesione sociale. Proprio perché la sicurezza non è solo ordine sociale, la coesione non può che essere l’alimento profondo del con-vivere. Proprio nelle democrazie, troppo spesso considerate terre salvifiche e compiute, la coesione sociale è la sfida del nostro tempo: complice la pandemia, e soprattutto in conseguenza delle crescenti disuguaglianze, sembrano prevalere la frammentazione, l’atomizzazione, l’esaltazione dell’auto-referenzialità.
Quell’approdo sicuro che chiamiamo “interesse nazionale”, spesso evocato nei testi degli analisti così come nei programmi dei partiti e dei movimenti politici, è visto quasi esclusivamente in un’ottica prosaica: à la Morin, dovremmo recuperarne l’anima poetica (come il kairos del tempo …), comprenderne e accoglierne le complessità, guardarlo non più soltanto attraverso l’occhio del pensiero lineare e binario. Rubo una felice intuizione a un’amica: dobbiamo ri-trovare (trovare continuamente) la “voglia di Paese”. Ed è una voglia che non si può avere da soli.
La coesione sociale, e l’interesse personale e comune di raggiungerla senza mai volerla compiere, ci mostrano una sicurezza che ha bisogno di visionari, quelli che chiamiamo intellettuali. In un agile saggio, Intellettuali (Il Mulino, 2021, p. 46), Sabino Cassese scrive che “…per l’epoca nostra è da privilegiare (…) il trespasser, quello che coglie le connessioni e le connessioni tra connessioni…”. In sintesi, l’intellettuale deve avere a che fare con le complessità della realtà. La sicurezza, infatti, vive anzitutto nella com-prensione dell’intreccio di connessioni. Se l’intellettuale non si pre-occupa della coesione sociale per la sicurezza, mi si passi la franchezza, a cosa serve ?