Nulla è più come quando potevamo contare su un mondo tutto sommato comprensibile, dalla evoluzione piuttosto lineare. L’Occidente sapeva chi era l’avversario strategico e, pur “nascondendo” le complessità della storia, il rischio si conosceva. Così la sicurezza era incastonata in un ordine bi-polare.
Caduto quell’ordine, nei trent’anni che ci lasciamo alle spalle è successo di tutto. L’Occidente si è ritrovato senza avversario, il terrorismo si è fatto transnazionale, l’ingresso della Cina nella WTO ha sparigliato le carte di un ordine internazionale senza regole adatte al nuovo millennio, una grave crisi finanziaria ha mostrato quanto pesino le cosiddette “farfalle geopolitiche”. Poi è arrivata la pandemia.
Gli avvenimenti che abbiamo vissuto, compresi quelli che stiamo attraversando, sono stati tutt’altro che neutri e sono stati attraversati da cinque elementi decisivi. ben presenti nella realtà planetaria: l’imporsi della rivoluzione tecnologica (che nasce dall’uomo e che impatta – senza domandare permesso – sulle nostre vite personali e sulle sorti dell’intera umanità); la crisi climatica, rispetto alla quale sembra emergere una consapevolezza diffusa (ma le soluzioni, molto spesso, si fermano alle porte di interessi nazionali male intesi); la metamorfosi del capitalismo che si è spostato progressivamente dall’economia reale, prima finanziarizzandosi e poi digitalizzandosi; la crisi de-generativa delle democrazie liberali, sempre più colpite, all’interno, da difficoltà di coesione sociale, erosione delle classi medie, disuguaglianze crescenti, astensionismo, radicalizzazione identitaria, crisi del debito e, dall’esterno, da condizionamenti ormai evidenti e dall’assenza di regole di governance globale; il progressivo crollo di fiducia nel sistema multilaterale e nelle istituzioni che lo rappresentano.
Studiare tutto questo dinamicamente significa lavorare per una sicurezza davvero realistica e visionaria. Scrivo spesso della necessità di formare intellettuali-analisti. Non basta più, nel terzo millennio, sapere molto di una disciplina, essere grandi esperti di un tema: senza cadere nella tuttologia, occorre tornare a occuparsi dello “spirito dei tempi” (e lo si può fare solo incarnando la “transdisciplinarità). Ne va, concretamente, della qualità di decisioni strategiche all’interno di un pensiero pertinente.
Torno a domandarmi, per concludere: cos’è, e cosa deve diventare, il pensiero strategico? Su questo, mi si consenta, il panorama è disarmante. La parola d’ordine dovrebbe essere “ri-collegare” ciò che è disperso. La sicurezza non può essere data se non come alimento del mosaico dinamico della storia: calata in ogni contesto.