Si fa un bel discutere in questi giorni delle intenzioni dell’imprenditore francese Vincent Bollorè riguardo Telecom Italia. Vivendi, il conglomerato media da lui presieduto, controlla il 20,11% della società italiana e “non detiene, né direttamente né indirettamente, azioni di risparmio”, informa una nota diramata stamani su richiesta della Consob, dopo l’incontro di ieri con l’Ad del gruppo Arnaud de Puyfontaine.
Ben sa, Bollorè – notano gli osservatori francesi – che il segreto di un buon caffè è la pressione: nessun colpo di mano, dunque, meglio vestire gli abiti dell’azionista amico (anche col premier Matteo Renzi, cui ha promesso l’impegno nella fibra ottica), affermando da subito di non volersi opporre al piano di conversione delle azioni e piano piano traghettare la società in funzione delle sue strategie.
Ma qual è, precisamente, la strategia di Vivendi su Telecom Italia, questo nessuno ancora lo sa: Bollorè gioca tutt’altro che ‘a carte scoperte’, tanto che anche gli investitori si chiedono quale sia il suo gioco.
In base alle regole di governance di Telecom, Vivendi aveva diritto a sei consiglieri e ne ha chiesto ‘solo’ 4 (che corrispondono a poco meno di un quarto del cda, escludendo il ‘fedele’ Tarack Ben Ammar), così come aveva diritto, in virtù della sua quota superiore al 5%, a chiedere un rinnovo completo del cda e non l’ha fatto, ma difficilmente – nonostante quest’apparente generosità – Bollorè si accontenterà di un caffè ‘ristretto’, per usare un’altra metafora da bar.
Come nota l’analista AllianceBernstein Claudio Aspesi, Bollorè preferisce “prendere quote di minoranza, ottenere posti nel cda e, spesso, cambiare il management”.
I primi passi di Bollorè in Vivendi, di cui diventa presidente nel giugno 2014, vanno in questa direzione “anche se Vivendi – continua Aspesi – sta ancora cercando di trovare sinergie all’interno del suo protfolio di asset”. Un portfolio che, secondo AB è “confuso” anche per via del fallimento delle due precedenti squadre di comando.
Vivendi spingerà Telecom fuori dal Brasile? Molto probabile, perché altrimenti non si comprende il repentino cambio di rotta degli ultimi giorni da parte del management italiano, che finora si è sgolato a ripetere che Tim Brasil è indispensabile, salvo ora ripensarci e dirsi pronto a valutare un accordo per il matrimonio con Oi.
Telecom diventerebbe allora un tassello del puzzle sud-europeo di Vivendi, che potrebbe coinvolgere nella sua strategia anche Telefonica, oltre che Orange.
Ma, nota ancora Aspesi, usare una società come Vivendi per cambiare Telecom Italia “porta con sé una serie di rischi perché è un’operazione che richiede tempo e potrebbe distrarre il management dalle attività esistenti”.
Intanto, in vista dell’assemblea del 15 dicembre, chiamata ad approvare la conversione delle risparmio, c’è già chi azzarda che Vivendi starebbe quindi riflettendo se aumentare di nuovo la sua quota, riportandola sulla soglia del 20%, dopo che per effetto della diluizione scenderà al 14%. Per lasciare il minor spazio possibile a Xavier Niel? Il patron di Iliad ha una posizione lunga del 15,1% (che scenderà attorno al 10% dopo la diluizione), ma al momento non ha in mano neppure un’azione e potrà reclamare posti in consiglio solo dopo aver esercitato le sue opzioni, nel 2016.
A fine 2016 scadrà anche il mandato dell’attuale cda: chissà allora che forma avrà preso Telecom Italia sotto l’influenza del nuovo ‘blocco francese’ in consiglio.