E’ stato avviato formalmente queasta mattina il processo di selezione del nuovo amministratore delegato di Telecom Italia, in seguito alle recenti dimissioni di Marco Patuano. Un processo che sarà il più breve possibile, ha assicurato l’azienda, con la scelta del Comitato nomine che dovrà essere ratificata dal Consiglio di amministrazione. Sembra comunque assodato che non si andrà a finire al 12 aprile, ma si procederà con la nomina ancora prima della data del primo consiglio in calendario.
Senza addentrarci in un rischioso toto-nomine, quel che è certo è che il nuovo ad sarà gioco forza allineato con le posizioni del presidente Vivendi, Vincent Bollorè. Quest’ultimo, tuttavia, non ha ancora gettato la maschera per rivelare quali siano le sue reali intenzioni su Telecom Italia.
Incertezza che, ovviamente, non fa che alimentare le ipotesi più svariate, dalla possibile fusione con Orange a quella con Mediaset. Entrambe più volte smentite, entrambe ciclicamemte si riaffacciano.
Diversi sono i dossier ‘caldi’ che il nuovo ad si troverà a maneggiare una volta al timone della società.
Si parte dalla vendita delle torri tlc. La cessione di Inwit doveva essere decisa nel cda del 17 marzo, che però si è chiuso con un nulla di fatto. A chi andrà la gestione delle 11.500 torri Telecom? Al tandem Cellnex-F2i o a Ei Towers?
Entrambe le offerte presentano il rischio di un intervento delle autorità di regolazione. La prima perchè Cellnex – che si proprone per l’intero 45% in vendita e dovrebbe poi fare un’Opa – ha già inglobato le torri di Wind e sarebbe sicuramente interessata anche a rilevare una parte di quelle che Wind e 3 Italia potrebbero cedere se la loro fusione fosse approvata dai regolatori. L’offerta di Ei Towers è invece solo sul 29% della quota. Successivamente, la controllata Mediaset salirebbe nel capitale, conferendo 1.000 torri tlc in pancia alla controllata TowerTel, per un valore di 200 milioni di euro. L’operazione, però, potrebbe scontrarsi con i paletti di Consob.
Si passa poi al Brasile. I rumors su una possibile vendiat di Tim Brasil si susseguono da anni ma sono stati sempre smentiti con forza da Patuano, che ha continuato a ribadire la strategicità dell’asset. Ultima offerta in ordine di tempo rispedita al mittente è stata quella del fondo russo LetterOne di Mikhail Fridman che offirva al competitor Oi 4 miliardi di dollari per un aumento di capitale finalizzato alla fusione con Tim Brasil. Per Patuano, l’offerta era ‘irricevibile’. Nell’ultimo cda, quindi, alta tensione sulla decisione di effettuare una svalutazione dell’avviamento delle Operations brasiliane per 240 milioni di euro per effetto del peggioramento dell’attuale contesto macroeconomico.
Da quanto si apprende, le divergenze di visione sul Brasile sono state cruciali nel deteriorare i rapporti tra Patuano e i francesi.
Ma tra le possibili grane, Telecom potrebbe trovarsi anche la vendita di Telecom Argentina, ceduta al fondo Fintech del messicano David Martinez per 960 milioni di euro. Patuano, secondo quanto riferito dal settimanale L’Espresso, avrebbe infatti ignorato le offerte – fino a 1,5 miliardi – dell’imprenditore argentino Carlos Newbery.
Sul fronte nazionale, resta caldo il dossier della fibra ottica. Telecom, che a fine marzo porterà a quota mille i comuni coperti con la fibra e nell’ultimo Piano Strategico ha messo sul piatto 12 miliardi di investimenti, dei quali 3,6 miliardi per l’ultrabroadband.
La società ha inoltre in ballo un piano di copertura di 250 città che coinvolge anche Metroweb, controllata pubblica attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Le due società sono in attesa del via libera dell’Autorità. Metroweb, a sua volta, ha siglato a fine maggio 2015 una lettera d’intenti con Wind e Vodafone per la realizzazione del piano della banda ultralarga. La lettera è stata prorogata fino a fine marzo, ma intento i due operatori hanno messo sul tavolo anche una collaborazione con Enel, che ieri ha presentato un investimento di 2,5 miliardi di euro per portare nei prossimi anni la banda ultralarga in FTTH (Fiber to the home) in 224 città italiane dei Cluster A e B, quelle non a fallimento di mercato, per coprire circa 7,5 milioni di case.
Si tratta sostanzialmente, delle stesse aree oggetto dell’interesse di Telecom Italia. Nelle scorse settimane, il presidente Recchi ha ribadito che la società “non è per forza condannata a costruire una rete”, laddove, insomma, esista un cavo di fibra e sia più conveniente affittarlo da un terzo rispetto a farlo “noi siamo ben felici di affittarlo da terzi”.
Resta insomma tutto da definire il perimetro d’azione di una società che in dieci anni ha visto il suo fatturato scendere di 10 miliardi di euro, schiacciato da gestioni diverse e, per molti versi, diversamente discutibili.