Spetterà all’assemblea straordinaria del 15 dicembre dare il via libera definitivo all’ingresso del poker d’assi calato da Vivendi nel cda di Telecom Italia: quattro sedie in più nel board, per una richiesta che inquieta i fondi azionisti ma che del resto non era possibile rimandare al mittente, primo perché ‘legittima’ e poi – ha fatto sapere la società in una nota al termine del consiglio di ieri – perché “l’idoneità dei candidati appare indiscutibile”.
Bollorè, del resto, non è tipo da accontentarsi di un ruolo passivo rispetto alle società di cui detiene una quota (specialmente quando questa quota ne fa il principale azionista di riferimento come nel caso specifico) e, nonostante le iniziali rassicurazioni sul fatto di non ritenere imprescindibile una presenza in cda, ha successivamente motivato la richiesta d’integrazione – approvata ieri – con l’intenzione di “contribuire in modo fisiologico e costruttivo alla migliore gestione della società nell’interesse di tutti gli azionisti”.
In quest’ottica, nel cda Telecom vuole piazzare 4 pesi massimi, dei quali tre hanno un ruolo di primo piano nel conglomerato media: l’ad Arnaud de Puyfontaine, il direttore operativo Stephane Roussel, il CFO Hervé Philippe e Felicité Herzog, associata della società di consulenza Ondra Partners e con un curriculum che spazia da Lazard a JP Morgan (quest’ultima nel frattempo ha portato la sua quota al 5,1% dal 4,6% di luglio, diventando terzo azionista).
E così il cda Telecom, auspicando una posizione ‘condivisa’ da parte dell’assemblea, non ha potuto fare altro che sottolineare che, sebbene “in linea di principio considera congruo ed adeguato un numero di consiglieri compreso tra 11 e 13…la nomina di ulteriori Consiglieri può essere un’opportunità di arricchimento per il Consiglio di Amministrazione, quando chi sia chiamato a parteciparvi sia portatore di professionalità ed esperienze capaci di contribuire fattivamente al processo decisionale della Società”.
Come dire, poteva anche andarci peggio, perché Vivendi, in quanto socio di maggioranza, dall’alto del suo 20,1% poteva chiedere il rinnovo anticipato del consiglio, emanazione diretta di quella Telco (la holding composta da Telefonica, Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo) che ha abbandonato la nave a giugno scorso. In quel caso Bollorè avrebbe quindi avuto diritto non a un quarto ma ai due terzi del rappresentanti e garantirsi una posizione di forza rispetto anche a Xavier Niel, il cui ingresso in Telecom con la sua posizione lunga del 15,1%, ha modificato gli equilibri e la pace apparente in seno al cda Telecom.
Fino all’arrivo di Niel, infatti, Bollorè – imprenditore del resto ben inserito nel tessuto economico-finanziario italiano data la sua presenza ventennale in Mediobanca e Generali – era riuscito a farsi passare da ‘amico’ anche agli occhi del Governo, cui si era presentato come investitore di lungo periodo e intenzionato allo sviluppo industriale dell’azienda, mentre l’ad de Puyfontaine faceva intendere che Vivendi non era interessata a una presenza in cda.
L’arrivo dell’altro imprenditore francese e la decisione di Telecom di indire un’assemblea straordinaria per la conversione delle azioni, hanno insomma sparigliato le carte e portato a un’accelerazione del processo di rafforzamento di Vivendi.
E l’ombra di Niel, del resto, si staglia anche prepotente sull’assemblea del 15 dicembre, in vista della quale il patron di Free potrebbe affrettarsi a convertire, con una spesa neanche eccessiva, le opzioni europee in suo possesso, che sono a data fissa e sarebbero esercitabili da giugno 2016, in opzioni americane, esercitabili in qualsiasi momento.
Dal cda nessuna risposta ai timori dei Fondi
Quanto al cda di ieri, era stato anticipato da non poche polemiche sull’eccesso di ‘francesizzazione’ dell’ex monopolista italiano, sulle scintille ai vertici tra l’ad e il presidente, sull’indifferenza del Governo circa le sorti della società.
Nessuna risposta è arrivata in merito ai timori dei fondi riuniti in Assogestioni sullo strapotere del socio francese: “assumendo l’integrazione del Consiglio di Amministrazione in carica con i nominativi proposti dal socio Vivendi, resterebbero rispettato l’equilibrio fra i generi e ferma la presenza di una solida maggioranza di Consiglieri indipendenti, mentre il mix di conoscenze, esperienze e culture dei diversi Consiglieri risulterebbe consolidato nella componente manageriale e di conoscenza specifica così del settore come dibusiness contigui”, spiega infatti l’azienda in una nota.
Polemiche e rumors sono stati invece ridimensionati dal solito Tarak Ben Ammar, primo e unico consigliere a parlare in conclusione del cda: l’imprenditore franco-tunisino, che siede anche nel consiglio di sicurezza di Vivendi, smentisce le scintille tra il presidente e l’ad e le voci di ‘imboscata’ che hanno circondato il cda del 5 novembre, quando venne deliberata la conversione delle Risparmio in azioni Ordinarie.
Non è vero, dice Ben Ammar, che fu il presidente a proporla all’insaputa dell’ad: a dimostrarlo il fatto che la proposta venne votata all’unanimità.
Quanto poi alle voci che vorrebbero Marco Patuano in collisione col presidente di Vivendi, Vincent Bollorè (che avrebbe sondato per il suo ruolo l’ad di Generali, Mario Greco), Ben Ammar precisa che, anche in questo caso, si tratta di ‘fantascienza’.
Del resto, cosa avrebbe dovuto o potuto dire?
“Posso dire – ha aggiunto Ben Ammar – che questo è un Consiglio eccezionale, è il miglior cda nel quale sieda, perché è un Consiglio di donne molto forti e competenti; di professionisti dedicati, appassionati e uniti dietro il management e non è vero tutto quello che leggete. E’ un cda dove c’è democrazia, dove si chiacchiera, si discute, si convince, si vota”.
La parola, dunque, all’assemblea del 15 dicembre, chiamata a deliberare sulla conversione delle azioni di risparmio in azioni ordinarie (sarà approvata col voto favorevole dei due terzi delle azioni presenti) e sull’integrazione del board chiesta da Vivendi, che potrà invece essere approvata con il voto favorevole della maggioranza assoluta (oltre la metà) delle azioni. Al voto sarà sottoposta anche la richiesta di adeguamento pro-quota del compenso complessivo annuo del cda.