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Telecom Italia punta sul 5G. Ecco quanto costa la concorrenza Enel nella fibra

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Gli analisti di Mediobanca Securities giudicano positivamente il rinnovato focus sull’innovazione delle reti, mentre per Equita Sim l'impatto della concorrenza di Enel sarà limitato.

Come promesso nelle scorse settimane e in mezzo alle nuove discussioni sull’opportunità di cedere la rete in rame (valutata attorno a 15 miliardi di euro), Telecom Italia si comincia a concentrare sul 5G: è stato annunciato oggi l’accordo triennale con Ericsson ‘5G for Italy’, il primo in Italia che intende mettere insieme industrie, istituzioni, università, centri di ricerca, amministrazioni locali e piccole e medie imprese per sviluppare e testare nuovi servizi e progetti pilota che si avvalgono della tecnologia 5G.

Siccome, lo ha spiegato in audizione al Senato l’ad Flavio Cattaneo, la fibra è sì importante, ma la vera rivoluzione sarà nel mobile, Telecom Italia non vuole arrivare impreparata alla scadenza del 2020, quando la nuova tecnologia arriverà sul mercato e l’IoT sarà ormai il vero traino della crescita del settore. Ed ecco che la collaborazione con Ericsson servirà proprio a identificare e testare soluzioni ad hoc, con particolare attenzione alla digitalizzazione dei processi industriali, alle Smart City, l’Internet of Things, il Trasporto e la Smart Agricolture.

Un accordo che è stato accolto con favore dagli analisti di Mediobanca Securities, che giudicano positivamente il rinnovato focus sull’innovazione delle reti, a maggior ragione perché segue gli annunci relativi al lancio delle connessioni in fibra a 1Gbps a partire dalle citta di Milano e Perugia.

In quest’ultima città, in particolare, si concentra lo scontro diretto con Enel, che con la sua Enel Open Fiber si appresta a cablare 224 città italiane e potrebbe, anche se non a brevissimo, concludere l’acquisizione di Metroweb, già proprietaria di una rete in fibra nelle città di Milano e con progetti avviati a Bologna e Torino.

Ma quanto costerà a Telecom la concorrenza di Enel nel settore della fibra ottica?

Secondo gli analisti di Equita Sim, l’impatto sarà ‘contenuto’: nel medio periodo si parla di una decina di milioni di euro.

Partendo dal presupposto che ancora non si conoscono i dettagli del piano Enel, Equita Sim analizza le grandezze di Telecom Italia: innanzitutto, stimano il valore dell’intero business generato dall’accesso alla rete all’ingrosso dagli operatori alternativi in 900 milioni di euro (considerando tutti gli operatori e tutto il territorio nazionale). Prendendo poi i dati Istat, secondo cui nelle 13 principali citta italiane oggetto del piano di Enel Open Fiber risiede l’11% della popolazione – e quindi l’11%-15% delle linee di accesso nazionali – Equita Sim stima in 100 milioni di euro il fatturato wholesale di Telecom relativo a queste città.

“Se escludiamo il fatturato verso operatori diversi da Vodafone e Wind e la quota di mercato che Telecom difenderà (non può razionalmente essere azzerata), se ne ricava che il fatturato a rischio nel medio periodo possa valere 40/60 milioni o un Ebitda di circa 30 milioni”, dicono gli analisti, sottolineando che, quindi, la dimensione del business veramente a rischio è modesta e non è tale da giustificare la perdita di valore del titolo, che si attesta al 26% (oltre 6 miliardi) da inizio anno.

Gli analisti si chiedono poi quanto valga la pena dal punto di vista economico coprire tutte le 224 città del piano Enel (anche quelle più piccole, con poche decine di migliaia di abitanti) con tecnologia FTTH, quando Metroweb “ha studiato per oltre 10 anni se fosse il caso di cablare Bologna e Torino”.

Il tutto mentre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il primo bando per la costruzione e la gestione di una rete a banda ultralarga nelle aree bianche (laddove cioè operatori privati non hanno previsto alcun investimento sul fronte della cablatura e opere relative) delle regioni Abruzzo, Molise, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto.

Sul versante dell’azionariato, intanto, Telecom ha registrato un nuovo attestato di fiducia da parte del presidente Vivendi, Vincent Bollorè, che in un’intervista al Financial Times, interrogato sulla possibilità che la quota in Telecom possa essere venduta prima o poi nel contesto del consolidamento europeo, ha risposto che Vivendi “non vuole vendere. Siamo felici in Italia come azionisti di lungo termine”. Certo, ha anche spiegato, Telecom Italia non deve essere confusa con le attività core del conglomerato, cioè i contenuti. La presenza nelle telecom è “complementare”, ha affermato Bollorè, che in Telecom Italia ha comunque investito 3 miliardi di euro, per una quota del 24,7%.

“Non vogliamo essere un operatore. Non vogliamo, industrialmente parlando, gestire una società telefonica. Noi gestiamo contenuti. Non vogliamo gestire Telecom Italia e non lo faremo mai”.

Fatto sta che, dopo aver piazzato 4 dei suoi uomini nel cda, Bollorè ha spinto per la sostituzione di Marco Patuano con Flavio Cattaneo e per la nomina dell’ad di Vivendi Arnaud de Puyfontaine alla vicepresidenza della società italiana.

Bollorè si è guardato bene, finora, dal commentare le vicende legate all’appoggio del governo al piano Enel per la fibra ottica, troppo scaltro per farlo ma chi lo conosce bene sa che, al di la del politically correct di queste dichiarazioni c’è un fatto sicuro: Vivendi resterà in Telecom fino a quando sarà conveniente farlo e fintanto che l’investimento sarà considerato vantaggioso. Bollorè non è certo un filantropo.

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