Sono ancora molti quelli che si chiedono quale sia il senso dell’investimento di Vivendi e Xavier Niel in Telecom Italia, un’azienda certo unica nella sua posizione – forse il solo ex monopolista europeo nella condizione di essere scalato a questo modo – ma per molti versi (leggi alla voce debito elevato e mercato domestico altamente competitivo) non proprio quel che si dice un ‘affare’.
Non, almeno, agli occhi poco lungimiranti dell’osservatore superficiale: Vincent Bollorè e Xavier Niel sono imprenditori tutt’altro che sprovveduti ed è evidente che abbiano intravisto un buon potenziale di guadagno nell’operazione, al di la delle vere o presunte beghe ai piani alti dell’azienda – emerse con tutta evidenza nell’ultimo cda quando il presidente Giuseppe Recchi ha proposto fuori sacco il piano di conversione delle azioni ordinarie all’insaputa dell’ad.
Ai più, poi, appare ancora nebuloso il disegno di Bollorè che pure sostiene di volersi impegnare nel lungo periodo e ha chiesto l’inserimento in cda di 4 rappresentanti di Vivendi, scatenando la preoccupazione dei fondi azionisti Telecom, che temono uno strapotere francese.
Il manager bretone, tra l’altro, venerdì ha dovuto rinnovare la fiducia ai vertici,smentendo così le indiscrezioni secondo cui avrebbe proposto all’ad di Generali, Mario Greco, di diventare ad di Telecom al posto di Marco Patuano. Un’offerta che Greco avrebbe rifiutato.
Ancora meno chiaro il piano di Niel, che ha in mano una quota potenziale del 15%, tramite contratti derivati e ribadisce di non aver agito in concerto con l’altro imprenditore francese e per conto personale, non tramite Iliad.
Se Niel e Bollorè, tuttavia, hanno continuato ad acquistare azioni vuol dire che qualcosa di buono in Telecom lo hanno visto.
Due sono i fattori che potrebbero averli convinti: innanzitutto l’appeal della controllata brasiliana Tim Brasil, che ha attratto l’interesse del fondo russo Letter One, che fa capo ad Alpha Group di Mikhail Fridman, gruppo che è anche primo azionista di Vimpelcom, la società tlc che controlla Wind.
Letter One ha offerto a Oi un’iniezione di capitale da 4 miliardi a patto che venga perseguita la fusione con Tim: un’operazione che potrebbe generare sinergie per circa 6-7 miliardi di euro e che, alle valutazioni correnti, potrebbe portare nelle casse di Telecom qualcosa come 5,5 miliardi di euro.
Una cifra che potrebbe essere reinvestita per rafforzarsi sul mercato italiano, dove potrebbe presto essere conclusa la fusione tra 3 Italia e Wind e con un concorrente in meno si potrebbe congelare la guerra dei prezzi con un impatto positivo sui ricavi e sui margini e, in ultima analisi, sulla valutazione del core business.
Secondo i calcoli di alcuni analisti riportati da Reuters, un simile scenario permetterebbe di assegnare alle operazioni domestiche di Telecom Italia un multiplo vicino a quello dei principali operatori europei, ossia 7 volte l’ebitda 2016. Una simile valutazione porterebbe, quindi, l’enterprise value attorno a 47 miliardi di euro e il valore delle azioni a quota 28 miliardi (1,4 euro per azione rispetto agli attuali 1,15).
E se poi, azzardano sempre gli analisti, Orange portasse in porto il progetto di consolidamento paneuropeo – nel cassetto ormai da un po’ ma che potrebbe essere rispolverato alla luce della nuova direzione della Commissione, più incline all’integrazione transfrontaliera che a quella nazionale – potrebbe arrivare a pagare un premio anche del 20%, portando il valore delle azioni a 1,7 euro.
E se tutte queste incognite – dal Brasile al consolidamento – dovessero sbloccarsi, allora sì che sarebbe stato un ottimo affare.
Sui movimenti attorno a Telecom Italia sono sempre accesi i fari della Consob, che nei giorni scorsi ha convocato sia Xavier Niel che i vertici di Vivendi: lo ha confermato il presidente Giuseppe Vegas stamani, sottolineando che il monitoraggio è ancora in corso. Quanto ai vertici dell’azienda italiana, stasera saranno ascoltati in Senato nel corso di un’audizione informale sui nuovi assetti societari.