Con due manager francesi che insieme controllerebbero il 35% del capitale, Telecom Italia si conferma la preda più ambita nel panorama tlc europeo. Un investimento caldeggiato dagli analisti d’oltralpe, molti dei quali considerano che Telecom Italia sia sottovalutata per diverse ragioni, prima fra tutte il processo di consolidamento in corso sul mercato mobile con la fusione tra Wind e 3 Italia (avviata ma ancora sotto scrutinio da parte delle Autorità) che porterà benefici di non poco conto sul versante dei prezzi. Telecom ha inoltre in pancia il 67% di Tim Brasil, secondo operatore mobile brasiliano e ‘pepita’ contesa non solo dagli altri player del mercato ma anche dal fondo russo Letter One di Mikhail Fridman, cui fa capo anche Vimpelcom (che a sua volta controlla Wind).
Secondo Mathieu Dubicq di SPGP, la ragione che ha spinto Niel a investire in Telecom è da ricercare proprio nella sottovalutazione dell’asset e nel fatto che con la sua quota, da qui a due anni, potrà esercitare la sua influenza in termini di direzione e strategia.
“Telecom Italia è un obiettivo primario. In Borsa si paga sei volte l’Ebitda: un multiplo eccessivamente basso se si pensa che la pressione concorrenziale sta per diminuire (se si concretizzasse la fusione tra Wind e 3 Italia, ndr) e questo sosterrà utili e fatturato. A ciò si aggiunge che le sue tariffe stanno progressivamente aumentando e che il 4G ha una penetrazione ancora relativamente bassa”, spiega l’analista, aggiungendo che il potenziale di Telecom Italia è importante anche in virtù delle “forti riforme varate dal governo a sostegno dei consumi delle famiglie” e quindi anche delle spese in servizi di telefonia.
Con queste prospettive, il rapporto enterpise value/Ebitda potrebbe tranquillamente arrivare a 7,5 ed ecco, quindi, che l’investimento di Niel è stato fatto con un tempismo perfetto. Al momento, l’imprenditore non ha voce in capitolo ma, di concerto con Niel, quando e se entrambi avranno una rappresentanza nel board, potranno spingere per la cessione di Tim Brasil ricentrando le attività dell’operatore sul mercato domestico.
Una prospettiva, questa, non condivisa da Bruno Hareng di Oddo Securities, secondo cui l’incursione di Niel è più finanziaria che industriale: “Niel arriva quando Bollorè è già il principale azionista…non è uno stupido e sa che probabilmente non avrà mai il comando”, dice l’analista.
Quanto a Vivendi, sia Hareng che Yves Gassot di Idate non credono che l’obiettivo di Bollorè sua quello di sfruttare Telecom come veicolo per I suoi contenuti.
“Poteva arrivare a questo risultato senza salire al 20 % del capitale” afferma Gassot, secondo cui “Bollorè fa quello che ha sempre fatto: guarda al plusvalore latente” di un’azienda.
Per Hareng, invece, è molto probabile che l’obiettivo sia la vendita – da qui a due-tre anni – della quota di controllo a Orange, che nonostante le smentite non ha mai nascosto le sue mire verso l’omologo italiano.
Il movimento attorno a Telecom, insomma, va contestualizzato anche nella partita in corso sul mercato europeo delle tlc, sempre più orientato verso il consolidamento. Le telco stanno spingendo verso la riduzione del numero di operatori sui mercati nazionali – e in molti casi (Austria, Germania, Regno Unito, Irlanda) ci sono riusciti – mentre la Commissione vorrebbe un’integrazione di respiro paneuropeo, inteso non tanto in termini di fusioni tra i player di diversi paesi quanto come integrazione tra le reti. Tant’è.
Qualche tempo fa circolava con insistenza anche l’ipotesi di una fusione tra Vivendi e Telefonica, con glia analisti che scommettono su una radicale trasformazione del conglomerato di Bollorè nei prossimi sette anni, pronto a diventare il primo gruppo europeo media-tlc.
Quale sarà la strada più adatta per centrare l’obiettivo, sicuramente ora sarà più in salita dopo l’ingresso di Niel a sparigliare le carte.