Visto dall’esterno, il compito di Flavio Cattaneo alla guida di Telecom Italia appare come una sfida quasi ciclopica.
Al manager, che pure vanta un curriculum che spazia dalla Rai a Terna per finire ai treni di NTV, l’ardua mission di ricucire i rapporti con l’Agcom e con il Governo.
La prima, nel 2015 ha comminato sanzioni per complessivi 120 milioni di euro (la società ha inoltre effettuato accantonamenti relativi per 400 milioni) e ha recentemente diffidato la società dall’avviare la nuova opzione Tim Prime se non vuole rischiare una multa fino a 2 milioni. I rapporti, insomma, non sono proprio idilliaci.
Così come non sono del tutto in discesa i rapporti col Governo di Matteo Renzi.
Telecom, lo ricordiamo, è – oltre a BT – l’unico ex monopolista europeo completamente privatizzato.
Lo Stato non ha quote di capitale e quindi non ha voce in capitolo nella sua gestione e nelle vicende azionarie.
Pensiamo a quanto sta accadendo in Francia, dove il Governo controlla il 23% di Orange. L’ex France Telecom sta trattando per una fusione con il numero due del mercato, Bouygues Telecom, il cui patron, Martin Bouygues, sta cercando di ottenere in cambio una quota del 15% dell’operatore storico. La scadenza delle trattative era stata fissata per ieri, ma ancora non si è approdato a un nulla di fatto perché il Governo non vuole diluire eccessivamente la sua quota per mantenere i suoi posti in consiglio e il suo potere di veto.
Un po’ ovunque, in Europa, gli ex operatori monopolisti sono coccolati dallo Stato perché portano innovazione e garantiscono occupazione. E, soprattutto, sono tutelati perché è principalmente sulle loro reti che viaggiano le comunicazioni dei cittadini, delle imprese, delle istituzioni. C’è anche, insomma, una questione di sicurezza e interesse nazionale. Gli investimenti nella banda larga e ultralarga sono inoltre ritenuti fondamentali per la competitività e la crescita economica.
Un altro esempio: il Governo tedesco di Angela Merkel sta facendo pressing sulla Commissione europea per ottenere meno vincoli dalla Ue e andare così incontro alle richieste del campione nazionale Deutsche Telekom, che da tempo sta spingendo per un alleggerimento delle norme in cambio di un’accelerazione sugli investimenti. Anche il regolatore tedesco è finito al centro delle critiche per aver approvato lo scorso anno il piano di investimenti di Deutsche Telekom, basato sul vectoring e sulla tecnologia G.Fast, scatenando le proteste dei concorrenti.
In Italia, invece, le cose stanno andando diversamente. Lo ha sottolineato anche il Wall Street Journal, che parla di un rapporto “sempre più disfunzionale” tra Telecom e le autorità, da quando Renzi è diventato premier nel 2014.
Il Governo sta palesemente spostando il baricentro della fibra ottica sempre più verso Enel, che nelle scorse settimane ha presentato un piano di investimenti da 2,5 miliardi per portare l’ultrabroadband in 224 città tra le più redditizie. I dettagli del piano si conosceranno il 7 aprile. Quello che si sa è che la compagnia elettrica – di cui lo Stato controlla il 25,5% – ha in ballo accordi commerciali con i due diretti competitor di Telecom Italia: Vodafone e Wind.
E non a caso, la prima tappa dell’ultimo viaggio di Renzi negli Usa (che si concluderà oggi) è stata in Nevada dove il presidente del consiglio ha partecipato all’inaugurazione dell’impianto ibrido rinnovabile di Stillwater di Enel Green Power a Fallon.
Riferendosi alla società di Francesco Starace con l’hashtag #orgoglioItalia, il premier ha affermato “Continueremo a fare crescere Enel, anche attraverso i progetti innovativi della banda larga che presenteremo il prossimo 7 aprile”.
Un annuncio fatto mentre all’orizzonte si staglia lo stanziamento di fondi pubblici per 2,2 miliardi per la banda larga nelle aree a fallimento di mercato.
Cattaneo dovrà insomma destreggiarsi in un contesto non proprio dei più semplici per sbrogliare dossier molto sensibili anche a livello politico, tra i quali la cessione delle torri di Inwit, il piano congiunto con Metroweb per portare la fibra in 250 città (in attesa del via libero Agcom) e il più drastico taglio dei costi preteso da Vivendi.
Dalla sua parte, secondo Equita Sim, la sua esperienza di due anni nel board della compagnia telefonica e un “track record positivo per quanto riguarda l’espansione dei margini, anche attraverso investimenti che offrano soluzioni più efficienti e non solo attraverso il mero taglio dei costi”.
Certo, a differenza del suo predecessore molta differenza la farà l’appoggio di Vincent Bollorè. Un fatto non da poco, riconosciuto come uno degli “aspetti più significativi” della sua nomina dagli analisti di Banca Imi, ma che potrebbe rivelarsi anche un fardello visto che in molti, negli ambienti istituzionali considerano il finanziere bretone un ‘raider’, pronto a cedere, prima o dopo, il suo pacchetto in Telecom a Orange.