È arrivata stamattina, come richiesto da Consob, l’informativa dell’imprenditore francese Xavier Niel che, agendo a titolo personale e non in concerto con terze parti (vedi Vincent Bollorè) ha acquisito una quota potenziale del 15,4% in Telecom Italia.
Una nota ‘chiarificatrice’, quella diramata stamani dalla NJJ Holding di Niel, volta a far luce sui diversi punti oscuri di un’operazione che, se sul versante francese è stata salutata con orgoglio, in Italia ha colto un po’ tutti di sorpresa: governo e azienda in primis ne sarebbero infatti venuti a conoscenza a cose fatte.
Dalle pagine del Corriere della Sera, il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha spiegato che il Governo non è preoccupato, vigila, ma non sta a guardare la bandierina, bensì “il piano industriale” (quale, a questo punto,quello di Telecom, quello di Niel, quello di Free o quello di Bollorè?).
Oltralpe, invece, gonfio di grandeur, non ha nascosto la sua soddisfazione il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, che si è complimentato per “lo spirito di conquista e il dinamismo degli imprenditori francesi”.
Gli stessi vertici della società italiana, dopo un iniziale sbigottimento, hanno preso posizione: Giuseppe Recchi si è recato a Parigi dove ha incontrato sia Niel che Bollorè e giungendo alla conclusione, proprio come l’ad Marco Patuano, che il primo è un “azionista amichevole” e non ha agito d’accordo col secondo.
Fatto sta che, insieme (quando Niel eserciterà le opzioni call) i due francesi controlleranno il 35% della società italiana, che di soci italiani di rilievo non ne vede più neanche l’ombra.
Vivendi controlla il 20,02%; Xavier Niel il 15,2%; Jp Morgan Chase il 3,58% e la People’s Bank of China il 2,07%. Il resto è sul mercato, dove chi vuole – come ha fatto Niel – può rastrellare un consistente pacchetto di azioni.
Una situazione che nessuno avrebbe immaginato circa un anno e mezzo fa quando, all’indomani dello scioglimento della holding Telco (Telefonica, Generali, Intesa, Mediobanca), Telecom si avviava a modificare la Corporate Governance, “muovendosi molto decisamente nella direzione della public company”, con un azionariato sempre più diffuso e senza la presenza di un azionista di riferimento. come diceva Patuano.
Circa un anno e mezzo prima, invece, il controllo sembrava saldamente in mano alla spagnola Telefonica, entrata in Telecom nel 2007 rilevando con i soci italiani Generali, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Sintonia la quota di Pirelli in Olimpia in barba agli americani di AT&T .
A settembre 2013 Telefonica tentava infatti la scalata, con un accordo che l’avrebbe portata a detenere il 100% della holding Telco da gennaio 2014.
Operazione mandata in frantumi dall’Antitrust brasiliano, il Cade, che si mise in mezzo deliberando che il gruppo spagnolo avrebbe dovuto limitare la sua presenza sul mercato mobile brasiliano uscendo dalle partecipazioni dirette e indirette in Tim Participacoes (la controllante di Tim Brasil) oppure diluendo la propria quota di controllo in Vivo trovando un nuovo socio che non sia già presente sul mercato brasiliano.
Un anno dopo, a settembre 2014, Telefonica saluta quindi l’Italia, non prima di aver assestato l’ultimo ‘colpo basso’ alla società italiana: soffia l’operatore brasiliano GVT di Vivendi a Tim Brasil e cede al gruppo di Bollorè l’8,3% di Telecom Italia.
A giugno 2015, a un anno preciso dallo scioglimento di Telco, ecco quindi che Vivendi diventa azionista di maggioranza di Telecom Italia con una partecipazione del 14,9%. A settembre si porta al 15,48% e il 6 ottobre conferma di possedere detiene il 19,9% delle azioni ordinarie. Poco più tardi, il 23 ottobre, l’incremento al 20,03% e si ipotizza ora la possibilità di salire al 24,9%, soglia oltre la quale scatterebbe l’obbligo di Opa.
A meno di una settimana, è storia di questi giorni, si scopre che l’imprenditore Xavier Niel ha acquisito a titolo personale una partecipazione potenziale del 15,4%, rastrellata a suon di contratti call e derivati tra il 21 e il 27 ottobre. La faccenda fa i ‘gros titres’ sulla stampa italiana, come dicono oltralpe: si accendono i fari dell’Antitrust, della Consob, del Governo nel tentativo di fare luce sui movimenti di Niel. Che non è uno sprovveduto e, dall’alto di una fortuna personale di oltre 7 miliardi di euro, sa bene dove investire e perché e non può essere un suo problema se l’Italia – sempre più il paese del ‘a mia insaputa’ – non riesce a darsi una strategia lungimirante nel settore delle tlc a partire dal suo ‘campione nazionale’.