Il cda di Telecom Italia, in cui 10 consiglieri su 13 fanno capo a un’azionista – la holding Telco – che si è sciolta, avrebbe dovuto fare spazio di propria sponte al nuovo azionista di riferimento, la francese Vivendi, che controlla il 20,1% del capitale? È probabile che Vincent Bollorè, presidente di Vivendi e imprenditore che conosce bene i meccanismi della finanza italiana (controlla ad esempio l’8% di Mediobanca), si aspettasse un passo indietro quanto meno dei consiglieri che, all’ultima assemblea, sono stati eletti con votazione di maggioranza, per far posto ai rappresentanti del nuovo azionista di maggioranza e mantenere un board con 11 membri.
Secondo il parere della società di consulenza Bluebell Partners, citata dal quotidiano La Repubblica, il cda della principale società tlc italiana si è invece arroccato in una posizione autoreferenziale, per poi profondersi in una serie di dichiarazioni evidentemente contraddittorie: per i vertici dell’azienda, infatti, la richiesta del gruppo francese di inserire 4 suoi rappresentanti – portando il numero di consiglieri da 13 a 17 – è, in effetti, del tutto legittima e andrà a rafforzare il board.
Eppure, lo scorso anno, in un documento approvato all’unanimità, era stata accolta la richiesta del socio di minoranza Marco Fossati (che nel frattempo ha venduto il grosso della sua quota in Telecom) di ridurre il numero di membri del board da 15 a un massimo di 13 e, lo stesso cda, nel corso dell’ultima riunione chiamata ad approvare la richiesta di integrazione dei rappresentanti di Vivendi, ha ammesso che l’attuale composizione del consiglio è “congrua ed adeguata”.
Fatto sta che, in vista dell’assemblea del 15 dicembre, il clima intorno al consiglio di amministrazione Telecom, di fatto espressione di azionisti (Telefonica, Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo) che hanno detto addio all’azienda già dallo scorso anno, si fa sempre più infuocato.
Ricordiamo che all’ultima assemblea dell’aprile 2014, la lista più votata è stata quella di minoranza presentata da Assogestioni, che quindi ha ottenuto l’ingresso nel board di tutti e tre i suoi candidati: Lucia Calvosa, Davide Benello e Francesca Cornelli.
Telco si è trovata così in minoranza, con il 45,5% dei consensi e, pur avendo presentato una lista di maggioranza, si è vista assegnare al primo turno solo i tre posti destinati alle minoranze: Giuseppe Recchi, Marco Patuano e Denise Kingsmill. Recchi è stato quindi eletto presidente in una seconda votazione (con il 97,92% dei voti) di maggioranza e non di lista, necessaria per integrare i restanti membri del Consiglio: una procedura particolare vista la situazione che si era venuta a creare in assemblea, conclusasi con l’elezione nel cda anche di Flavio Cattaneo, Giorgina Gallo, Tarak Ben Ammar, Laura Cioli, Giorgio Valerio, Jean Paul Fitoussi e Luca Marzotto per Telco, che quindi ha comunque conquistato 10 posti su 13 pur in una posizione di minoranza.
Ne risulta quindi, come sottolinea la Bluebell Partners, che l’attuale cda sia di fatto scollato dagli attuali azionisti, avendo ricevuto la fiducia solo del 3% del capitale dell’assemblea dello scorso anno.
Per risolvere l’impasse ed evitare di andare ad avallare un cda ‘monstre’ con 17 membri, secondo Bluebell Partners, le soluzioni sono due: si dimette in blocco tutto il cda e si procede a un rinnovo integrale includendo Vivendi (senza quindi aumentare il numero dei consiglieri) oppure si dimettono i consiglieri entrati senza il voto di fiducia dell’assemblea e si sostituiscono con i quattro consiglieri indicati da Vivendi riducendo il numero totale di consiglieri a 11.
Sull’esito dell’assemblea, i giochi sono dunque aperti. Se l’affluenza sarà pari a quella dello scorso anno, quando era presente il 56% del capitale, a Vivendi – che ha una quota del 20,1% – servirà almeno il 27,5% di voti a favore della sua proposta. Se l’affluenza dovesse attestarsi su livelli ‘normali’, quindi intorno al 45%, l’integrazione dei 4 consiglieri francesi dovrebbe essere approvata senza particolari difficoltà. Su tutto c’è poi l’incognita Niel: il patron di Free, che ha posizioni lunghe pari al 15,1% del capitale, potrebbe partecipare all’assemblea facendosi prestare dei titoli per votare, a fronte del pagamento di una commissione, come riferiva ieri il quotidiano Il Messaggero. La data ultima per registrare azioni valide ai fini della votazione è il 4 dicembre. Ha dunque meno di 48 ore, Niel, per fare le sue mosse.
Da oltralpe, intanto, arriva una nuova smentita da parte di Orange che ribadisce ancora una volta di non essere in trattative con Telecom Italia e di non aver alcun piano per l’integrazione delle due aziende.
“Contrariamente a certe indiscrezioni di stampa o ad altre congetture, Orange dice che non c’è alcun avvio di discussione con Telecom Italia, alcun progetto di integrazione”, ha detto un portavoce del gruppo francese in una mail inviata a Reuters.