Diversificare gli investimenti: questa la molla che ufficialmente ha spinto Marco Fossati – l’azionista ‘ribelle’ di Telecom Italia – a dimezzare la propria partecipazione nella società, scesa al di sotto del 2%.
L’imprenditore, molto spesso controcorrente rispetto alle scelte del management (ricordiamo, ad esempio, la battaglia condotta ad aprile dello scorso anno per la revoca del board, fallita ma per poco) ha comunicato ieri alla Consob di essere sceso dal 5% all’1,989% del capitale ordinario, “con vendite frazionate sul mercato di Borsa” e di considerare – come spiegato in una nota – la partecipazione non più strategica, ma ‘finanziaria’.
Una decisione guardata con perplessità dagli analisti del settore, visto che ha comportato una minusvalenza di 60 milioni di euro, ma che non sarebbe comunque una ritirata su tutta la linea: l’intenzione è infatti quella di mantenere la quota residua e continuare a esercitare la funzione di azionista ‘forte’. Findim, recita una nota della finanziaria, rimarrà “attenta alla valorizzazione della società, guardando ai possibili catalizzatori di crescita come il consolidamento del mercato brasiliano, del mercato europeo, del mobile in Italia e gli investimenti in banda ultralarga”.
Tramonta tuttavia l’ipotesi di ‘asse’ con Vincent Bollorè, presidente di Vivendi, il gruppo francese Vivendi a cui Telefonica ha ceduto una quota dell’8,3% e che allo scioglimento di Telco diverrà l’azionista di riferimento.
A questo punto, tra gli investitori con ‘quote significative’, dopo Telco c’è la Banca centrale cinese, People’s Bank of China, con il 2,072% diretto (il Fondo Usa Blackrock ha invece una disponibilità indiretta di una quantità di azioni ordinarie pari al 4,794%), anche se, spiega il Sole 24 Ore, la holding Telco – che detiene il 22,4% ma è in fase di smantellamento – potrebbe essere ancora l’azionista di riferimento di Telecom almeno fino alla roimavera, visto che l’Autorità tlc brasiliana – Anatel – ha condizionato lo scioglimento della holding alla “sospensione di tutti i diritti politici di Telefonica”.
Lo sfaldamento della holding che controlla l’incumbent italiano, potrebbe infatti avere conseguenze di non poco conto sul mercato brasiliano, anche se nel frattempo Telefonica ha ceduto la sua quota dell’8,3% a Vivendi, mantenendo una partecipazione del 2,6%, senza diritti.
Già ai tempi dell’ingresso di Telefonica in Telco si posero problemi di concorrenza che il regolatore nazionale – Anatel – risolse imponendo una serie di rigidi per garantire una concorrenza effettiva tra le divisioni delle due aziende. Con la decisione di ieri, che potrebbe quindi finire per ritardare i tempi di scioglimento di Telco, Anatel vuole quindi assicurare che la società spagnola non possa – come da accordi – “accedere, partecipare, esercitare il veto, registrarsi per raggiungere il quorum relativamente a qualsiasi deliberazione di Telecom Italia o sue controllate”.
Oggi, intanto, si svolge il cda straordinario che farà il punto sulla missione che il management ha appena concluso in Brasile. Possibile, quindi, che la decisione di Anatel venga discussa anche se ovviamente essendo delle ultime ore non è all’ordine del gorno.
Quanto al dossier brasiliano, nei giorni scorsi, Patuano ha ribadito la strategicità del mercato e frenato sull’ipotesi di integrazione con Oi, che al momento implicherebbe un livello di complessità “difficilmente compatibile con l’approccio di corporate governance”.