Sta facendo molto discutere negli ultimi giorni il cambio di strategia di Enel nel settore della fibra ottica. La società elettrica, partecipata dal Ministero dell’economia al 25,5%, inizialmente partita da un piano per le aree a fallimento di mercato, ha annunciato l’intenzione di spostare il suo focus su 250 città considerate redditizie. Il piano – che dovrebbe coinvolgere anche Vodafone e Wind – nasce dalla convinzione, come ha spiegato l’ad Francesco Starace, che utilizzando il sistema di rete di distribuzione dell’energia elettrica – ossia anche la posa ‘aerea’ – i costi di cablaggio sarebbero del 30 o 40% inferiori e la rete riuscirebbe a raggiungere 32 milioni di clienti finali contro i 21 milioni della rete tlc.
Si tratterebbe sostanzialmente, delle stesse aree oggetto dell’interesse di Telecom Italia, che ha presentato all’Agcom un piano di copertura di 250 città che coinvolge anche Metroweb, anch’essa controllata pubblica attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Le due società sono in attesa del via libera dell’Autorità.
Così come il Governo sta aspettando il via libera della Ue per il piano sulla banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato, per le quali si è infine optato per la realizzazione di una rete pubblica attraverso Infratel. Il via libera dovrebbe arrivare non prima della primavera inoltrata, come confermato a Key4biz da Gunther Oettinger, Commissario Ue per la Digital Economy in visita a Roma.
In molti si sono chiesti se ha senso questo intervento pubblico nelle cosiddette aree bianche, ossia in quelle zone del paese (circa 7.300 comuni per una popolazione di circa 19 milioni di persone) in cui gli operatori non hanno intenzione di investire per mancanza di un ritorno economico.
Sembra infatti che il Governo stia adottando un modello dirigista difficile da comprendere in un mercato liberalizzato. Una strategia che potrebbe avere un senso nelle aree a fallimento di mercato, dove gli operatori non hanno interesse a investire per via degli incerti ritorni economici, ma pone qualche interrogativo quando si tratta invece delle aree cosiddette ‘nere’, che gli operatori privati ritengono redditizie.
Ma così non è, o almeno non è più, almeno stando alle conclusioni di un recente paper realizzato da Antonio Sassano (Università La Sapienza), Michele Polo (Bocconi) e Carlo Cambini (Politecnico di Torino) intitolato “Fiber to the people: the development of the ultrabroadband network in Italy”.
Il documento si basa su una rigorosa analisi in termini di deployment e penetrazione della banda larga ed esamina quindi le principali questioni di policy relative alla strategia del Governo sulla banda ultralarga con l’obiettivo di contribuire al dibattito sullo sviluppo della banda ultralarga in Italia e suggerire in che modo ripensare le politiche industriali in una prospettiva market-oriented.
Secondo il paper, che analizza anche la risposta degli operatori alla consultazione pubblica del Mise, dopo una serie di necessari aggiustamenti e nonostante alcune possibili criticità, il Governo sembra ora andare nella direzione giusta. Dopo una prima fase in cui non sembrava esserci troppa attenzione alla neutralità tecnologica – con una predilezione per l’architettura FTTB incurante della necessaria scalabilità del processo – e in cui il Governo pareva utilizzare le società pubbliche come in un gioco di bastone e carota per condizionare gli operatori privati, il tiro dell’interventismo eccessivo è stato opportunamente corretto.
L’ideale, propone il paper, sarebbe di graduare l’intervento pubblico sulla base dei piani proposti dagli operatori, per evitare che questi ultimi ripensino i loro investimenti sulla base di un’aspettativa di intervento pubblico.
Secondo gli autori del rapporto c’è infatti il rischio di ‘regulatory game’ ossia la possibilità che gli operatori si pongano in una situazione attendista sperando che il Governo, pur di rispettare gli obblighi di copertura fissati dalla Ue, metta in un modo o nell’altro mano al portafogli.
“Gli operatori – spiega il documento – potrebbero mettersi in una posizione attendista, limitando gli investimenti anche nelle aree redditizie così da avere più ampio accesso alle risorse pubbliche”. Due le conseguenze di questa situazione: “Se i fondi pubblici sono scarsi, gli investimenti potrebbero non essere fatti proprio o essere avviati con grande ritardo, oppure gli investimenti si faranno, ma solo con fondi pubblici”, riducendo quindi al lumicino le aree dove gli operatori dichiarano interesse a investire.
In una seconda fase, tuttavia, conclude il rapporto “Si sono corrette le mozioni eccessivamente interventiste”, riportando il processo alla necessaria “complementarietà tra ruolo pubblico e privato reintroducendo il principio di neutralità tecnologica e consentendo un progressivo roll-out in base alla scalabilità”.
“Combinare strumenti pubblici non distorsivi e incentivi privati è molto complesso, ma i risultati sembrano promettenti”, conclude il rapporto.
Che l’Italia stia andando nella direzione giusta nel settore della banda ultralarga, del resto, lo ha confermato a Key4biz anche il Commissario Ue Oettinger che ha sottolineato come “I programmi dell’Italia sulla banda ultralarga sono passi importanti e il piano italiano va nella direzione giusta”.