Si torna a parlare del possibile interessamento di Orange a un matrimonio con Telecom Italia, nell’ottica del consolidamento paneuropeo : le agenzie Bloomberg e Reuters hanno riferito che l’ex monopolista francese starebbe lavorando con le banche per studiare le opzioni all’orizzonte in vista di un consolidamento del mercato tlc europeo “nel contesto della costruzione di un mercato unico da qui ai prossimi 5-10 anni”. Ovvio che a fronte di queste dichiarazioni, attribuite da Reuters a un portavoce della società francese, il pensiero sia volato subito a Telecom Italia, la preda più ambita delle tlc europee e, soprattutto, la più ambita dai francesi.
Un portavoce di Orange si è affrettato a smentire l’apertura di trattative con Telecom Italia, precisando che “Orange non ha definito alcun obiettivo e non ha alcuna discussione in corso con Telecom Italia”, così come anche il management di Telecom ha negato contatti o comunicazioni di ogni genere.
La posizione della società guidata da Stephane Richard continua insomma ad alimentare le speculazioni sulla possibile intesa tra Bollorè e Niel, in favore proprio di un futuro ingresso di Orange in partita.
Che Orange sia a ‘caccia’ di una preda di peso non è un mistero: lo scorso anno fa aveva immaginato un matrimonio con Deutsche Telekom che però venne archiviato per le troppe difficoltà di ordine anche politico.
Ora lo sguardo si è volto verso l’Italia, dove già sono sbarcati in forze Vivendi, divenuto il principale azionista con il 20,1%, e Xavier Niel, con una quota potenziale del 15,14% in posizioni lunghe (opzioni europee esercitabili solo alla scadenza), che si ridurrebbe al 10% circa dopo la conversione delle risparmio, operazione che dovrà essere votata da un’assemblea straordinaria del gruppo italiano convocata per il 15 dicembre.
In quella stessa occasione, l’assemblea dovrà votare anche l’ingresso in cda di 4 rappresentanti del gruppo di Bollorè: un ingresso salutato dal management come ‘naturale e democratico’, visto che Vivendi è pur sempre il socio di maggioranza, ma che ha da subito provocati forti mal di pancia tra i fondi azionisti, che controllano il 20-25% della società e, di fatto, consigliati dai proxy advisor, stanno serrando i ranghi.
L’assemblea si preannuncia, quindi, molto ‘calda’ e con più di un’incognita, a partire dalle mosse di Vivendi, che potrebbe decidere di aumentare la sua quota a poco meno della soglia Opa del 25% (così da aumentare i suoi diritti di voto in assemblea) passando per Niel, che potrebbe decidere di convertire le opzioni europee in suo possesso, esercitabili da giugno 2016, in opzioni americane, esercitabili in qualsiasi momento.
Certo, il tempo a disposizione stringe ma è anche vero che quella che sembrava una strada tutta in discesa per Vivendi, comincia a farso un po’ più impervia, vista anche la posizione dei proxy advisor che consigliano ai fondi di votare contro l’ingresso dei 4 rappresentati del gruppo francese.
Ieri è stato ISS a raccomandare ai fondi il pollice verso, nei giorni scorsi avevano dato la stessa indicazione anche Frontis Governance e Glass Lewis.
Riassumendo, i proxy advisor (che sono quelle società aiutano gli investitori istituzionali a gestire il voto nelle assemblee) ritengono che 4 membri in cda siano troppi per Vivendi che, alla fine dei conti, stando così la sua quota, dopo la conversione delle azioni avrebbe in mano una quota di circa il 14%.
Secondo ISS, inoltre, l’ingresso del poker francese – tra cui tre nomi di spicco del management di Vivendi, che in più può contare anche su Tarack Ben Ammar – potrebbe avere ripercussioni negative su alcuni “cambiamenti positivi che sono stati attuati dalla società al momento dell’ultimo rinnovo del consiglio, cioè la riduzione delle dimensioni del board, l’aumentato livello di indipendenza e un maggior livello di rappresentanza degli azionisti di minoranza”.
Quale sarebbe, poi, il contributo di Vivendi per migliorare la gestione dell’azienda italiana e, soprattutto, Vivendi ritiene dunque necessario un suo intervento perché c’è qualcosa da migliorare nella gestione?
Una serie di dubbi che in parte vengono anche espressi nella lettera inviata dal comitato dei gestori di Assogestioni ai vertici della società di Bollorè per chiedere delucidazioni e intimarlo a scoprire finalmente il suo gioco.
L’avere scelto, per il cda, il proprio Ad Arnaud de Puyfontaine, il cfo Hervè Philippe, il coo Stephane Rousell e l’indipendente Felicité Herzog – figure apicali di Vivendi che tra l’altro andrebbero a diluire il peso dei consiglieri indipendenti e degli azionisti di minoranza in seno al board – nasconde il disegno di una futura integrazione tra le due società, o tra Telecom e il convitato di pietra Orange? E se così fosse, perché continuare a giocare a carte coperte, alimentando le speculazioni? Non resta che aspettare, se arriverà, la risposta di Vivendi, che certo non si aspettava tanto fracasso attorno a una richiesta che l’azienda ritiene “coerente con le finalità e l’entità del proprio investimento”.