Una vera e propria ‘crociata’: così il quotidiano spagnolo La Vanguardia definisce la battaglia intrapresa dal presidente di Telefonica, Cesar Alierta, contro gli OTT (Google, Facebook, Skype, Twitter e così via), tra i principali imputati per la crisi degli operatori telefonici europei.
Queste aziende, con i loro servizi spesso gratuiti, infatti, si sono sovrapposte alle compagnie telefoniche (pensiamo ad esempio, alle chiamate via Skype invece che dal telefono di casa o alle chat di Facebook Messenger che hanno sostituito gli sms) guadagnando miliardi senza però contribuire minimamente alla realizzazione e alla gestione delle reti telefoniche che gli permettono di esistere.
Una battaglia non certo solitaria e non certo nuova, quella di Alierta: le telco stanno infatti pressando da diversi anni la Commissione europea e i regolatori nazionali affinché vengano create condizioni operative uguali per tutti. Ma Alierta, secondo alcuni commentatori citati dal quotidiano, “a differenza di altri imprenditori che preferiscono mantenere un approccio più prudente, non perde occasione per richiedere alle autorità europee e spagnole regole uguali per tutti e fair play”.
Quello fra telco e OTT è uno scontro tra due mondi contrapposti: da un lato ci sono gli operatori delle telecomunicazioni europee – circa un centinaio di aziende che operano su mercati frammentati e per lo più in crisi economica, con bassi margini, forte concorrenza e regole diverse in base al paese. Aziende che, peraltro, tranne per qualche rara eccezione non hanno una forte presenza fuori dall’Europa.
Dall’altro ci sono gli OTT, società prevalentemente americane (Skype è nata in Europa ma è stata acquisita da Microsoft) ma business di portata globale, trainati dal fatto che per imporsi non hanno dovuto investire un centesimo, nutrendosi – sottolinea La Vanguardia – “…del lavoro e degli investimenti delle telco europee”.
Ed è questo il principale motivo per cui gli operatori telefonici si sentono discriminati: sono loro, infatti, a dover investire miliardi per realizzare le reti che gli OTT sfruttano per i loro servizi dai profitti miliardari, basati per lo più sulla pubblicità.
Al danno (economico) si aggiunge quindi la beffa regolamentare e fiscale, poiché le telco devono sottostare a rigide regole anche sul fronte antitrust e, giustamente, pagare le tasse – mentre gli OTT grazie alle leggi di Stati ‘compiacenti’ riescono a sottrarsi, in grossa parte, dal pagamento delle tasse nei Paesi dove vendono i loro servizi per versarle in quelli che applicano regimi vantaggiosi. Irlanda e Lussemburgo le mete preferite.
Mentre la nuova Commissione europea sembra più orientata a soddisfare le richieste delle telco – avendo compreso che un mercato con più di centro aziende non potrà mai competere, ad esempio, con Usa dove le telco sono quattro – qualche paese comincia a prendere l’iniziativa sul fronte regolamentare e fiscale: la Spagna, ad esempio, ha varato una nuova legge sul diritto d’autore che dal 1° gennaio 2015 obbliga gli aggregatori di contenuti a pagare agli editori le royalties per gli articoli indicizzati.
Come ‘ritorsione’ contro questa legge, tuttavia, Google ha deciso di chiudere il servizio News nel Paese, con la conseguenza che gli stessi editori che avevano sostenuto e reclamato la legge ora chiedono un passo indietro a fronte del crollo del traffico verso i loro siti web.
Sul fronte fiscale si è mossa invece la Gran Bretagna dove il Cancelliere George Osborne sostiene di voler porre fine ai sistemi di profit shifting usati da molte multinazionali, tra cui la gran parte delle web company.
Anche in Irlanda le cose stanno cambiando, dopo le indagini aperte dalla Ue.
Dal 1° gennaio, infatti, è entrata in vigore una nuova norma che cancella il famoso Double Irish, usato dalle multinazionali per sottrarsi al pagamento delle tasse nei Paesi dove offrono i loro servizi.
Telefonica, nel frattempo, dopo aver ceduto la sua quota in Telecom Italia alla francese Vivendi (da cui ha acquistato l’operatore brasiliano GVT) sta trattando la vendita della controllata britannica O2 a BT, di cui potrebbe successivamente diventare azionista.
BT è però in trattativa anche con Deutsche Telekom e Orange per rilevare la loro controllata, EE, che è il maggiore operatore mobile britannico.
Sullo sfondo, il rilancio dell’economia digitale europea che nel 2015, dopo anni di scelte fortemente penalizzanti per il settore, dovrà concretizzarsi se il Vecchio Continente vuole recuperare il gap e tornare protagonista dello sviluppo tecnologico come è stato in passato.