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Tax credit. Manovra: lo Stato entra come “produttore associato”, al fianco del produttore

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Il Fondo Cinema e Audiovisivo confermato a 700 milioni di euro per il 2025. I “contributi selettivi” fino al 30 % del totale. Lo Stato entra in gioco come “produttore associato”.

Giovedì 23 ottobre 2024, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha trasmesso al Parlamento il disegno di legge di Bilancio 2025: con quest’atto si è avviato alla Camera dei Deputati l’iter di approvazione.

Lunedì della scorsa settimana il Ddl è stato pubblicato sul sito web del Mef. Domani giovedì 7 novembre è prevista l’audizione del Ministro Giancarlo Giorgetti di fronte alle Commissioni Riunite.

Finora nessun parlamentare e nessun giornalista ha segnalato che all’articolo 118 del Ddl della “Manovra” sono previste alcune modificazioni piuttosto significative sia al Fondo per gli Investimenti per il Cinema e l’Audiovisivo, sia allo strumento al quale la “Legge Franceschini” del 2016 (la n. 220/2016) ha affidato la “bussola” dell’intervento normativo prevalente a favore del settore, ovvero il sempre più criticato “Tax Credit” alias “credito di imposta”: per la verità, nel silenzio dei più, va dato atto sia al collega Stefano Iannaccone – firma di punta del quotidiano “Domani” – sia alla deputata del Partito Democratico Irene Manzi di aver notato che “qualcosa” il Governo intende modificare, rispetto all’assetto normativo esistente. E non si tratta di modifiche irrilevanti o marginali.

Nell’articolo pubblicato mercoledì della scorsa settimana (30 ottobre 2024), intitolato “Più tasse e controllori nelle spa. II governo si scopre “sovietico””, Stefano Iannaccone segnala: “Cinema di Stato” (titoletto) ovvero “E non solo sugli enti pubblici lo stato si diletta: vuole macinare soldi addirittura nel mondo del cinema. Nella manovra spicca l’ennesimo ritocco al tax credit, il meccanismo di incentivi e sgravi recentemente riformato dal ministero della Cultura, durante il mandato di Gennaro Sangiuliano, in sinergia con la sottosegretaria, Lucia Borgonzoni. Secondo la versione della manovra economica inviata alla Camera, lo stato «acquisisce la titolarità, in misura proporzionale al credito d’imposta riconosciuto, di una quota dei diritti sulle opere beneficiarie e dei relativi proventi». Si arriva così «a toccare le decisioni delle produzioni in materia di pagamento di attori, registi e sceneggiatori, introducendola possibilità dello Stato di entrare nella catena della ripartizione dei diritti in misura percentuale al tax credit ricevuto dalla produzione», denuncia a ‘Domani’ Irene Manzi, capogruppo del Pd in commissione Cultura alla Camera. «Sono norme che portano l’Italia fuori dal mercato audiovisivo internazionale», aggiunge preoccupata”.

Nessuno ha rilanciato l’allarme, ma la questione merita essere affrontata, anche perché, in questi giorni, come l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult aveva preannunciato “in esclusiva” (anche perché nessuna testata giornalistica ne ha scritto, nemmeno quelle specializzate), si sta concretizzando la valanga di ricorsi al Tar da parte di decine e decine di produttori indipendenti: una prima stima quantifica in almeno 50 le società di produzione che si sono rivolte e si stanno rivolgendo al Tribunale Amministrativo del Lazio. Si rimanda a “Key4biz” di giovedì della scorsa settimana, 30 ottobre, “Rai e Ministero della Cultura: tra passerelle, ritualità politiche e nuovi ricorsi al Tar”…

La situazione si pone quindi sia come “spada di Damocle” sia come “mina vagante”, rispetto ai diversi “decreti direttoriali” che il Dg Nicola Borrelli (alla guida della Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura) ha firmato nelle settimane scorse e sta continuando a siglare, anche a seguito del sempre più contestato “decreto interministeriale” del 10 luglio 2024 (pubblicato il 14 agosto 2024), co-firmato dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano e dal suo allora collega Giancarlo Giorgetti… I ricorsi sono “contro” sia il decreto interministeriale sia contro i decreti direttoriali.

Come abbiamo scritto lunedì scorso su queste colonne, la dinamica della “riforma Borgonzoni” della “Legge Franceschini” sta evidenziando in modo plateale le tante contraddizioni della politica culturale italiana: la gestazione delle modifiche alla Legge n. 220 del 2016 (la “Franceschini”, appunto) è stata mantenuta chiusa nelle stanze ministeriali per quasi due anni ed il Ministero della Cultura ha ascoltato soprattutto le due principali associazioni imprenditoriali, la cinematografica Anica e la televisiva Apa (entrambe aderenti alla Confindustria), sostanzialmente ignorando tutte le altre soggettività (imprenditoriali, autoriali, tecniche…) ed “anime” del settore cine-audiovisivo…

Ed ora una parte significativa delle “soggettività” escluse dalla gestazione della riforma hanno deciso di non limitarsi ad una qualche pubblica lamentazione (ricordiamo la “pietra miliare” della affollata manifestazione del 5 aprile 2024 al Cinema Adriano di Roma, “Vogliamo che ci sia ancora un domani”), ma cercano “un giudice a Berlino”…

Si ricordi che l’esigenza della riforma è maturata nei primi mesi del 2023 e se ne è fatto interprete anzitutto Gennaro Sangiuliano (dimessosi il 6 settembre 2024), che l’ha affidata alla Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni, nell’economia di una dialettica tra Fratelli d’Italia e la Lega Salvini: l’ex Ministro della Cultura ha “scoperto” che c’era qualcosa che non quadrava, nei meccanismi di sostegno al cinema e all’audiovisivo attivati a partire dal 2017 giustappunto dalla “Legge Franceschini”…

La crisi del cinema: in Sicilia, set smontati, fermi 6 addetti su 10

Di fatto, per quasi 2 anni (2023 e 2024), il sistema italiano di sostegno pubblico al cinema e audiovisivo s’è fermato, bloccato, paralizzato, nonostante le continue riassicurazione della senatrice Lucia Borgonzoni… Si leggeva in un articolo pubblicato dal quotidiano “la Repubblica”, edizione Palermo, di domenica 3 novembre: “Cinema in Sicilia, ultimo ciak. Pochi fondi: i produttori rinunciano. La Sicilia smonta i suoi set. Produzioni in crisi, fermi 6 addetti su 10”.

Scriveva una settimana fa, nella sua rubrica “Visioni dal fondo” sul più qualificato settimanale di cinema e tv italiano, qual è “Film Tv” (diretto da Giulio Sangiorgio), uno studioso come Roy Menarini (ordinario di Cinema e Industria Culturale all’Università di Bologna): “pochi anni fa, tra sostegno pubblico all’industria in crisi pandemica e finanziamenti massicci dei colossi streaming, si era giunti all’utopia della piena occupazione del settore. La frase preferita dei registi era: «Non trovo nemmeno un elettricista libero». Ora, passati giusto un paio d’anni, ritroviamo il sistema italiano congelato dalla lunga apnea del tax credit e scoraggiato da un governo che – a essere eufemistici – non ha come priorità il bene della filiera. E da piattaforme col braccino molto più corto, dopo gli scioperi del settore e gli insuccessi generati dalla bolla precedente. Si lavora poco, bollette e mutui mordono i più precari, e non è che ci sia questa grande fiducia in un riavvio possente”. In effetti, la… “fiducia” sembra essere alimentata ormai soltanto dai “big player”, in primis le due “lobby” più influenti, la cinematografica Anica (presieduta da anni da Francesco Rutelli e cui subentrerà tra poco Alessandro Usai) e la televisiva Apa (presieduta fino all’anno scorso da Giancarlo Leone e quindi da Chiara Sbarigia, che è anche Presidente della pubblica Cinecittà) e in effetti i produttori più potenti (per lo più in mano ormai a multinazionali multimediali straniere) sono gli unici che hanno continuato a lavorare, mentre centinaia di piccole imprese sono in crisi acuta…

La produzione indipendente è stata messa in ginocchio, sia dai tempi prolungati della “riforma Borgonzoni”, sia dai tanti paletti che le nuove regole stanno imponendo agli operatori. Si domanda Menarini, giustamente: “di crisi dell’audiovisivo in Italia ne abbiamo viste tante. Non è la prima e non sarà l’ultima. Il sistema (qualunque cosa voglia dire) sopravviverà anche stavolta, pur perdendo dei pezzi – leggi: dei lavoratori. Piuttosto, come già si chiedono alcuni analisti (tra i quali Robert Bernocchi, che ne ha parlato spesso), il comparto creativo italiano è esente da colpe? Ha sfruttato appieno le insperate opportunità di mercato? O ha messo in cantiere – complici ovviamente finanziatori e produttori poco lucidi – prodotti del tutto inadeguati a creare una stagione di successi e di narrazioni interessanti?”.

Che ci siano stati usi impropri, ed abusi ai limiti dell’incredibile – tra l’economico ed il semiotico – è sotto gli occhi di tutti, ormai. Un esempio, tra i tanti: lunedì sera, Mediaset ha trasmesso il film “Assassin Club” su Italia 1, per la regia di Camille Delamarre, un thriller veramente sgangherato: costo dichiarato al Ministero della Cultura 6,7 milioni di euro, “tax credit produzione” assegnato dallo Stato 2,5 milioni. Incasso in sala in Italia: circa 16mila euro (distribuzione Paramount / Eagle Pictures la società di Tarak Ben Ammar). Incasso “worldwide”: 188mila dollari usa. Co-produttori: Film Bridge International, Merlin Films, The Motus Studios, Paramount Pictures. Share tv del 5,3 %, circa 810mila telespettatori. Ha commentato Pietro Lafiandra, sempre sulle colonne di “Film Tv”, assegnando al film un 4 di “voto” (su scala 0/10): “action spaccone e imbottito di steroidi…”, un’opera “macchinosa, pretenziosa e priva di una precisa idea di cinema”. Sull’aggregatore di recensioni Metacritic, ha registrato un punteggio di 27 su 100 (a fronte di 610 recensioni). Ahinoi, una coproduzione Usa / Italia. Certo, qualche scena è girata in Italia… Certo, qualche attore italiano (di modesta notorietà) è stato coinvolto… Ma perché lo Stato italiano deve buttare così i soldi del contribuente?!

Quanti film di ricerca e sperimentazione ed opere prime potevano essere realizzati con quei 2,5 milioni di euro … buttati al vento?!

E questo esempio non è – come dire?! – dei peggiori…

In questo scenario effervescente per quanto preoccupante e sconfortante, interviene la “Manovra” 2025: il testo trasmesso dal Mef al Governo merita essere ben analizzato, perché interviene in modo non marginale sulla normativa esistente, sia rispetto al Fondo Cinema e Audiovisivo tutto sia specificamente rispetto al Tax Credit.

Cosa prospetta la “Manovra” 2025 per il cinema e l’audiovisivo?! Anzitutto, la dotazione del Fondo Cinema e Audiovisivo viene mantenuta a quota 700 milioni di euro

L’articolo 118 della “Manovra”, intitolato “Tax Credit Cinema” prevede alcune precise disposizioni in materia di cinema e audiovisivo.

La notizia certamente più importante – ed apprezzabile – è che l’entità del “Fondo Cinema e Audiovisivo” non viene toccata.

Il Governo quindi lo mantiene stabilizzato a quota 700 milioni di euro, allorquando l’anno scorso fu ridotto da 746 milioni a 696 milioni, a causa – spiegò l’allora Ministro Sangiuliano – dei “tagli lineari” che colpirono per almeno il 5 % tutti i dicasteri.

Quindi l’articolo 118 della Manovra 2025 non presenta impatti finanziari, nel triennio 2025-2027, in termini di saldo netto da finanziare, non modificando la dotazione complessiva del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo.

Si ricordi che la norma istitutiva ovvero la “Legge Franceschini” aveva stabilito che l’importo minimo del Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo non potesse essere inferiore a 400 milioni di euro annui.

Questo importo è stato poi più volte modificato negli anni successivi: la “Legge di Bilancio” 2021 l’ha innalzato a 640 milioni di euro annui dal 2021; la successiva “Legge di Bilancio” 2022 l’ha ulteriormente innalzato a 750 milioni di euro annui dal 2022; infine la “Legge di Bilancio” 2024 l’ha ridotto a 700 milioni di euro annui dal 2024…

Il riparto del Fondo fra tutte o alcune delle tipologie di contributi è effettuato con decreto del Ministro della Cultura, sentito il Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (Csca), il massimo organo di consulenza.

Per il 2024, il “riparto” è stato approvato con un decreto ministeriale del 12 aprile 2024, ma – come ha denunciato più volte uno dei componenti del Consiglio stesso, l’avvocato Michele Lo Foco – la ripartizione è stata quasi imposta in modalità “last minute” dalla Sottosegretaria e dal Direttore Generale, senza margini di discussione. Ed è stata approvata con 3 voti contrari su 12… Si ricordi peraltro che nel Csca (presieduto dall’avvocatessa Francesca Assumma) siede anche, in rappresentanza del Mef, Daria Perrotta, già a capo del Legislativo del Ministero guidato da Giancarlo Giorgetti, e nominata ad inizio agosto Ragioniere dello Stato (la prima donna, nella storia d’Italia: un gustoso suo “identikit” l’ha proposto il sempre arguto Carmelo Caruso su “il Foglio” del 3 agosto 2024, “Daria Perrotta, il cigno di stato. Ritratto della prossima Ragioniera che vogliono Giorgetti e Meloni). E sicuramente Daria Perrotta, fin dalla prima riunione del Csca il 3 aprile 2024, deve essersi resa conto che aveva ragione l’allora “suo” Ministro, il quale aveva dichiarato “adesso basta!” (come rilanciato dalla copertina dell’edizione del gennaio 2024 del mensile “Prima Comunicazione”) rispetto agli… usi ed abusi del “Tax Credit”.

Innalzata dal 15 al 30 per cento la quota del Fondo Cinema e Audiovisivo destinata ai “contributi selettivi”. Ridimensionata significativamente la dotazione del Tax Credit. Sul totale 700 milioni di euro, i “selettivi” potranno arrivare a 210 milioni di euro (a fronte dei circa 80 milioni per l’anno 2024)

La seconda notizia è che la Manovra 2025 innalza dal 15 al 30 per cento la quota massima del Fondo che può essere destinata ai “contributi selettivi” e ai contributi alla “promozione” (festival, rassegne, premi, ricerche, conservazione e restauro, cinema nelle scuole…): questa è una modifica ben importante, perché l’orientamento governativo è quindi ridurre lo “strapotere” del credito d’imposta, ridimensionandolo rispetto allo strumento “selettivi”.

In sostanza, si riduce il meccanismo di “libero” mercato ovvero quella sorta di automatismo che ha determinato usi ed abusi (in buona e talvolta cattiva fede, con logiche criminali e fraudolente) del Tax Credit, nonché – tra l’altro – un incontrollato incremento dei costi di produzione (secondo alcuni osservatori talvolta o spesso “gonfiati” al fine di acquisire maggiore credito d’imposta)…

Se il mercato (mal) gestisce così le risorse pubblico, lo Stato rientra in gioco, e corregge storture ed orienta l’intervento: certo, aumenterà il potere delle due commissioni ministeriali (nominate dal neo Ministro Alessandro Giuli) e dovrà quindi opportunamente rafforzarsi la vigilanza della collettività e della comunità professionale rispetto ai processi selettivi (criteri, metodiche, trasparenza…), ma finalmente si tornerà ad una elaborazione di “politica culturale” e non alla sudditanza rispetto alle regole di un “mercato” che si è dimostrato inefficiente, inefficace, malato, nel quale i “pesci grossi” hanno assorbito la gran parte delle risorse pubbliche…

Tax Credit cine-audiovisivo: si passa dalla misura “ordinaria” dell’aliquota del 40 % alla formula “nella misura massima” del 40 %”

La “Manovra 2025” incide sul credito d’imposta per le imprese di produzione, sostituendo in parte l’art. 15 della legge n. 220-2016.

La modifica in questione ha come “focus” la determinazione dell’aliquota del credito d’imposta, in particolare:

  • per le opere cinematografiche, si prevede che l’aliquota del credito d’imposta non sia più “ordinariamente prevista nella misura del 40 %”, ma che sia “prevista nella misura massima del 40 %”; la soppressione della parola “ordinariamente” e l’introduzione della parola “massima” hanno l’effetto combinato di attribuire al decreto ministeriale attuativo una discrezionalità maggiore, rispetto al testo vigente, nella determinazione della misura esatta dell’aliquota;
  • in relazione alle opere audiovisive, si specifica che l’aliquota del credito di imposta che può essere prevista, in via prioritaria, per le opere realizzate per essere distribuite attraverso un’emittente televisiva nazionale e, congiuntamente, in coproduzione internazionale, ovvero per le opere audiovisive di produzione internazionale, non è quella del 40 %, ma quella “massima del 40 %”, chiarendo dunque che, anche in questo caso, resta in capo al decreto ministeriale attuativo la discrezionalità in ordine alla determinazione esatta dell’intensità dell’agevolazione.

Si ricordi che il decreto interministeriale del 10 luglio 2024 ha già definito le disposizioni applicative in materia di crediti d’imposta riconosciuti alle imprese di produzione cinematografica e audiovisiva, in misura non inferiore al 15 % e non superiore al 40 % del costo complessivo di produzione di opere audiovisive.

Esteso il perimetro della Relazione Annuale al Parlamento ovvero della finora evanescente “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo

E – udite udite! – va a modificare i contenuti della “relazione annuale” che il Ministero della Cultura deve trasmettere alle Camere entro il 30 settembre di ogni anno (termine temporale peraltro mai rispettato, nell’arco dei primi 7 anni della Legge Franceschini…) sullo stato di attuazione degli interventi pubblici di sostegno al settore, inserendovi riferimenti all’esigenza del controllo della spesa ed estendendo l’analisi di impatto e la valutazione in essa contenute anche agli interventi di sostegno diversi da quelli fiscali.

Questa è senza dubbio una commendevole innovazione, perché – come l’Istituto italiano per l’Industria Culturale sostiene da anni (ed ha dimostrato anche su queste colonne) – la “valutazione di impatto”, al di là della debolezza dei risultati dell’affidamento (per sei anni senza soluzione di continuità, sempre allo stesso raggruppamento temporaneo di scopo tra Università Cattolica di Milano e Ptsclas spa) è stata concentrata più sul Tax Credit che sul resto degli interventi pubblici di sostegno…

Più specificamente, le modifiche apportate al comma 6 dell’articolo 118 della “Manovra” 2025 sono finalizzate ad inserire, tra le finalità della Relazione Annuale, quella di “rafforzare la capacità di monitoraggio, controllo e valutazione della spesa, secondo quanto previsto dal Piano Strutturale di Bilancio di medio termine 2025- 2029”.

Come dire, in altre parole? La “valutazione di impatto” deve (dovrà, finalmente!) anche evidenziare se il Ministero della Cultura sta… “sforando” la dotazione annuale del Fondo, come è avvenuto dal 2017 ad oggi: dinamica concretizzatasi – come IsICult ha dimostrato sulle colonne di “Key4biz” – senza che mai ciò emergesse in modo chiaro dalla Relazione Annuale al Parlamento.

E come abbiamo ben evidenziato (e con noi – nell’ultimo mese – anche trasmissioni televisive come “Quarta Repubblica” di Nicola Porro su Rete 4 e “Piazza Pulita” di Corrado Formigli su La7) che ci fosse un incredibile “buco” di almeno 500 milioni di euro l’ha riconosciuto, in quel del Festival di Venezia, anche lo stesso Direttore Generale Nicola Borrelli, il 31 agosto scorso (vedi, in particolare, sulla… “rivelazione”, “Key4biz” del 23 ottobre 2024, “Ministero Cultura, tra Spano e il marito non mettere il dito”).

La “Manovra” ha l’effetto di estendere all’intera gamma delle politiche di sostegno del settore cinematografico e audiovisivo – e non solo a quelle consistenti in incentivi e agevolazioni fiscali – l’ambito materiale della valutazione di cui dovrà occuparsi la Relazione Annuale. La “valutazione di impatto” dovrà occuparsi di analizzare l’impatto economico, industriale e occupazionale e l’efficacia della “generalità degli incentivi previsti e non soltanto delle agevolazioni tributarie”.

Una bella estensione del “perimetro”. Finalmente si potrà disporre di una strumentazione cognitiva adeguata?! Di dati completi e trasparenti?!

Meglio sarebbe stato – comunque – se la “corrigenda” avesse affrontato anche gli aspetti culturali-artistici-espressivi, e non ribadisse invece un riduttivo e limitante approccio economico-economicista: l’intervento dello Stato deve stimolare l’estensione dello spettro espressivo, la ricerca e la sperimentazione, la produzione indipendente e le “start-up”, i nuovi autori, l’incontro tra offerta e domanda, l’“audience development”, insomma quella che possiamo definire sinteticamente la “democrazia culturale”, e non soltanto gli aspetti economico-strutturali del sistema…

Altra innovazione, curiosa: lo Stato diviene “produttore associato”, con una quota dei diritti (e dei proventi) proporzionale al “tax credit” concesso?!

La “Manovra” 2025 prevede che – attraverso specifici “decreti attuativi” – vengano stabiliti i criteri, i meccanismi e le modalità attraverso cui lo Stato acquisisce la titolarità, in misura proporzionale al credito d’imposta riconosciuto, di una quota dei diritti sulle opere beneficiarie e dei relativi proventi.

Di fatto, lo Stato italico entra come “produttore associato”, al fianco del produttore che utilizza il credito d’imposta.

È una norma… “illiberale”?

Senza dubbio è un intervento di approccio… statalista.

Che sicuramente provocherà aspre polemiche…

Però è anche una norma strana (o comunque scritta in modo non granché chiaro), perché lo Stato diviene sì co-titolare dei “diritti sulle opere” e quindi anche dei “relativi proventi”, ma il flusso verso la mano pubblica avviene solo a seguito di una condizione, ovvero soltanto dopo che il produttore abbia recuperato i “costi di produzione”. Testualmente: “all’assegnazione di questi ultimi (i proventi, n.d.r.) in favore dello Stato si procede, comunque, solo dopo che siano stati coperti i costi dell’opera”.

E quindi, se per quanto riguarda i “diritti” viene introdotta una co-titolarità con effetto immediato, per quanto riguarda i “proventi” lo Stato li andrà a percepire soltanto dopo la copertura dei… “costi dell’opera”.

Quindi forse… anche mai! Infatti va precisato che – secondo le valutazioni di IsICult – la quasi totalità dei film prodotti in Italia in verità non recupera i “costi di produzione”, e va tranquillamente in perdita… Perdita parzialmente giustappunto attenuata dal flusso dei crediti di imposta.

Quindi che lo Stato possa “recuperare” parte del proprio contributo (perché questo è – di fatto – il Tax Credit) diviene, di fatto, ardua intrapresa… La norma della “Manovra 2025” prevede che questi (eventuali!) proventi saranno assegnati allo Stato, ai fini di una successiva riassegnazione al Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo, ma giustappunto soltanto… “dopo” che siano stati recuperati i costi di produzione… Prevediamo che questa innovazione sarà oggetto di non poche critiche e contestazioni, soprattutto nella concreta operatività, anche se – almeno sulla carta (ovvero in teoria) – ha una sua logica.

Alla prossima puntata…

Clicca qui, per il testo comparato delle innovazioni in materia di “cinema e audiovisivo” proposte dalla proposta Legge di Bilancio 2025 (Ddl) trasmessa dal Ministero dell’Economia e Finanze al Parlamento il 23 ottobre 2024, Atto Camera n. 2112-bis, pubblicata sul sito del Mef il 28 ottobre 2024: articolo 118, “Tax Credit Cinema” di modificazione della Legge n. 220 del 14 novembre 2016 (fonte “Dossier” curato dal Servizio Studi di Camera e Senato: “Profili di interesse della VII Commissione Cultura”). Colonna di sinistra, “testo vigente”; colonna di destra, “Modificazioni apportate dall’articolo 118 della Legge di Bilancio 2025”. Versione 30 ottobre 2024.

[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).

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