Una premessa: l’Italia si rivela, anzi si conferma, un Paese nel quale l’“evidence-based policy making”, ovvero l’azione politica basata sui dati e sulla conoscenza, è veramente… “rara avis”.
Nel corso della ultratrentennale attività di ricerca indipendente sviluppata dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult, abbiamo toccato con mano quanto frequente sia il disinteresse del “Principe” di turno sia livello politico (Ministro, Sottosegretario, Sindaco, Assessore…), sia a livello amministrativo (Capo Dipartimento, Direttore Generale…), nei confronti dei dataset che pure dovrebbero costituire la base delle decisioni istituzionali.
Eppure, da ricercatori indipendenti, non abbiamo gettato la spugna, e spesso incarniamo le vesti dei… “pungolatori”: laddove prevale nebbia e confusione, cerchiamo – con impegno civile oltre che scientifico – di “fare luce” e di fare chiarezza.
Quello del “Tax Credit” è un caso emblematico: il Ministero della Cultura non mette a disposizione un dataset completo, ed il ricercatore sociale si deve trasformare in un… giornalista investigativo, per cercare di comprendere come dove e perché “qualcosa” non quadra.
Abbiamo dimostrato – anche sulle colonne del quotidiano online “Key4biz” – come la gestione della Legge Franceschini, ovvero la legge n. 220 del 2016 (entrata in vigore nel 2017, l’anno 1°) sia stata caratterizzata da un approccio… non proprio da “buon padre di famiglia”, se è vero – come è vero, perché dopo anni di silenzio, è la stessa Amministrazione a riconoscerlo – che è emerso un “buco” che può essere stimato tra i 600 milioni di euro ed addirittura 1 miliardo di euro.
Tax Credit: si è speso più di quanto era previsto; si è… “sforato”, si è andati oltre, ci si è impegnati più di quanto fosse possibile rispetto alle previsioni di legge
In poche parole: si è speso più di quanto era previsto; si è “sforato”, si è andati oltre, ci si è impegnati più di quanto fosse possibile rispetto alle previsioni di legge.
In termini tecnici, viene utilizzata l’espressione “splafonamento”, ovvero il superamento dei “plafond” previsti dalla legge.
Si domanderà: ma… la Ragioneria Generale dello Stato?! ma… la Corte dei Conti?! ma… il Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo? ma… il Parlamento? E sarebbe interessante conoscere le risposte.
Quel che è emerso poche settimane fa, per la prima volta pubblicamente, è una cifra, impressionante, di 500 milioni di euro di “buco”: l’ha detto a chiare lettere (e nervosamente) lo stesso Direttore Generale del Cinema e Audiovisivo (Dgca) del Ministero della Cultura, Nicola Borrelli, in occasione della presentazione del “Decreto Tax Credit Produzione”, in quel del Lido di Venezia, alla presenza della Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni e dell’allora Capo di Gabinetto del Mic Francesco Gilioli (che era stato confermato dal Ministro Alessandro Giuli, ma è poi stato revocato il 12 ottobre 2024).
Come abbiamo evidenziato anche ieri su queste colonne, il tema “Tax Credit” continua ad agitare la comunità professionale italiana – imprenditori, autori, tecnici, altri lavoratori… – del settore cinematografico ed audiovisivo, su due livelli:
- quello “mediatico”, a seguito della trasmissione di Rete4 “Quarta Repubblica” condotta da Nicola Porro, che lunedì scorso 21 ottobre ha dedicato attenzione agli sprechi, alla cattiva gestione, alla carenza di controlli nella utilizzazione del “credito di imposta” a favore del settore, dal 2017 (anno 1° della “Legge Franceschini”) al 2023 (a metà anno, è stata avviata la riforma voluta dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano ed affidata alla regia della Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni);
- quello “tecnico”, che è al contempo anche politico: se le due maggiori “lobby” del settore, Anica (gli imprenditori del cinema, guidati da Francesco Rutelli, al quale subentrerà tra poche settimane Alessandro Usai) e l’Apa (imprenditori televisivi, guidati da Chiara Sbarigia, che è anche Presidente della società pubblica Cinecittà) si sono mostrate sostanzialmente soddisfatte della riforma, la gran parte dei produttori indipendenti si lamentano dei tanti “paletti” e “filtri” che sono stati introdotti da metà agosto ad oggi… e si lamentano anche associazioni che rappresentano i lavoratori del settore, in primis Siamoaititolidicoda…
Secondo le elaborazioni che IsICult propone oggi in esclusiva per il quotidiano “Key4biz”, il “buco” è maggiore di quello segnalato dal Dg Nicola Borrelli, perché soltanto nei primi 6 anni, dal 2017 al 2022, risulta che il Ministero della Cultura ha speso 2,6 miliardi di euro, a fronte dei 2 miliardi che erano previsti dall’annuale “piano di riparto” del Fondo Cinema e Audiovisivo, firmato dal Ministro pro tempore e benedetto dal massimo organo di consulenza del Ministero, il Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo (il Csca presieduto dall’avvocatessa Francesca Assumma).
Questo dato (631 milioni di “delta” tra “preventivo” e “consuntivo”, tra il 2017 ed il 2022), IsICult l’ha già evidenziato una decina di giorni fa (vedi “Key4biz” del 16 ottobre 2024, “I numeri di Apa sullo sviluppo dell’audiovisivo in Italia. Confermata la delega su cine-audiovisivo alla Sottosegretaria Borgonzoni”), ma oggi proponiamo un “dataset” più completo ed approfondito.
Si premette che questi dati dovrebbero emergere in qualche tabella che il Ministero stesso non ha mai prodotto (non pubblicamente, almeno), e magari anche da quella evanescente “valutazione di impatto” della Legge Franceschini, che pure è prevista dalla norma stessa: questa relazione annuale non è mai stata oggetto di presentazione e pubblica discussione, è sempre stata pubblicata in sordina sul sito web della Dgca, e – a parte IsICult su “Key4biz” – nessuno ne ha mai scritto.
E la “valutazione” viene trasmessa dal Ministero al Parlamento, di anno in anno, con ritardi impressionanti: la legge stessa prevede che sia inviata entro il 30 settembre di ogni anno (facendo riferimento all’anno solare precedente, ovviamente), ma ciò non è mai avvenuto.
L’ultima, per esempio, quella relativa giustappunto all’anno 2022, è stata trasmessa dal Ministro Gennaro Sangiuliano il 9 aprile del 2024 al Senato (con 5 mesi di ritardo rispetto a quanto previsto dalla legge), resa pubblica sul sito di Palazzo Madama il 6 giugno (senza nessuna segnalazione), e per la prima volta segnalata da un Sottosegretario (ovvero da Lucia Borgonzoni, non era mai avvenuto prima) il 15 luglio 2024…
Nessuna notizia, a fine ottobre 2024, della valutazione relativa all’anno 2023.
Quel che è più grave è che mai nessun parlamentare della Repubblica vi abbia fatto riferimento, nemmeno nelle due commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato.
Risultato?!
Poco si riesce a capire, volendo focalizzare l’attenzione – tra l’altro – sul sempre più controverso “Tax Credit” cine-audiovisivo.
Alcuni dati di sintesi dalla tabella che qui di seguito proponiamo, rimarcando che, al 25 ottobre 2024, non sono disponibili dati di “consuntivo” non solo sull’anno 2024 (ed è naturale, dato che mancano ancora 2 mesi alla conclusione dell’anno solare), ma sull’anno 2023 (e ciò basti):
- nell’arco di 8 anni, il Fondo per il Cinema e lo Spettacolo è costato ben 5 miliardi di euro allo Stato ovvero ai contribuenti italiani;
- ciò si traduce in una media annua di 562 milioni di euro (si ricordi che in origine l’allora Ministro della Cultura nonché “padre” della legge che porta il suo nome aveva voluto stabilizzarlo a 400 milioni; si noti bene che nel 2016 il cinema aveva assorbito soltanto 77 milioni sul totale di 406 milioni complessivi del Fus);
- il totale del Fondo, però, nel corso dei primi 6 anni di applicazione della legge (i dati degli anni 2023 e 2024 non sono ad oggi disponibili, come già segnalato) ha determinato una spesa pubblica di 3.782 milioni di euro, a fronte di una previsione di 3.057 milioni di euro (totale di quanto previsto dai “piani di riparto” per gli anni del periodo 2017-2022);
- ne deriva che s’è “sforato”, tra il 2017 ed il 2022, di ben 730 milioni, ovvero 122 milioni di euro l’anno “in media”;
- focalizzando l’attenzione sullo strumento del “Tax Credit” soltanto, considerando i dati di “consuntivo” e quindi i 6 anni che vanno dal 2017 al 2022, la spesa è stata di 2.620 milioni, a fronte dei 1.998,8 milioni previsti (dai “piani di riparto”), con un “buco” nell’ordine di 631 milioni, corrispondenti ad una media annua di 105 milioni di euro…
- nei 6 anni dal 2017 al 2022, il Tax Credit ha assorbito il 69 % del totale del Fondo Cinema e Audiovisivo, a fronte del previsto 65 %: perché così tanto?! Quale la “ratio” di politica culturale???
I dati sono impressionanti: e la domanda è la stessa che andiamo ponendo da tempo, e che finalmente ora si pongono anche altri: come è stato possibile?!
Come è possibile che soltanto il 31 agosto 2024, il Direttore Generale Nicola Borrelli dichiari pubblicamente – udite udite! – che c’è un “buco” di bilancio di 500 milioni di euro?!
Perché nel corso degli anni nemmeno la Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni ha lanciato l’allarme?!
Perché si è dovuto attendere il segnale di “alert” lanciato dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano a pochi mesi dal suo insediamento con il Governo guidato da Giorgia Meloni (fine ottobre 2022), nella primavera/estate del 2023, allorquando “qualcuno” ha deciso che si doveva… “correggere la rotta”?
Le ragioni vere di questa “correzione” annunciata sono state… mascherate.
I riflettori sono stati accesi sugli “sprechi”, sulle “distorsioni”, sugli “abusi” del Tax Credit.
Dinamiche che pure senza dubbio ci sono state, ma non sono state le vere cause della decisione, assunta dall’allora Ministro Gennaro Sangiuliano, stimolato dal suo allora collega Giancarlo Giorgetti… Abbiamo già più volte segnalato quel “adesso basta!”, urlato dal titolare del Ministero dell’Economia e Finanze (Mef) e lanciato nella copertina del mensile “Prima Comunicazione” ancora nel gennaio 2024…
Il Dg Nicola Borrelli ha guidato la Direzione Cinema e Audiovisivo dal dicembre 2009 al febbraio 2019, e poi dal marzo 2020 fino ad oggi. Dal febbraio 2019 al marzo 2020, è stato sostituito dal Dg Mario Turetta, nominato qualche settimana fa Capo Dipartimento Attività Culturali (Diac) del Ministero della Cultura, e quindi ora gerarchicamente superiore a Borrelli. Quindi Borrelli ha seguito anche la gestazione della “Legge Franceschini” approvata a fine novembre 2016. È in carica da quasi 10 anni (per la precisione 9 anni e 9 mesi)…
E, se vogliamo identificare, le responsabilità politiche, ovvero del “decision maker” che ha speso senza controllare adeguatamente?
Senza dubbio, in primis può essere identificata la responsabilità del già Ministro “dem” Dario Franceschini, che ha il merito di aver allargato i “cordoni della borsa” a favore del settore cinematografico e audiovisivo (a danno però del settore dello spettacolo dal vivo, che è stato “ridimensionato”, rispetto a quelli che erano stati gli storici rapporti tra “cinema” e “spettacolo dal vivo” all’interno dell’allora Fondo Unico per lo Spettacolo – il famoso “Fus” – dal 1985 al 2017), ma non ha dotato il Ministero della strumentazione tecnica adeguata a monitorare, valutare, controllare la spesa.
Ha delle corresponsabilità anche la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni? Che è sta nominata Sottosegretaria con delega al cinema e all’audiovisivo (e alle industrie culturali) nel giugno 2018 con il Governo Conte I, ed è stata in carica fino al settembre 2019; torna in carica con il Governo Draghi dal febbraio 2021 all’ottobre 2022, e viene riconfermata dal Governo Meloni nell’ottobre 2022.
Se Franceschini può vantarsi di essere stato il più “longevo” Ministro della Cultura, essendo stato in carica complessivamente per 7 anni e 5 mesi (passando dai governi guidati da Matteo Renzi dal febbraio 2014 al dicembre 2016; Paolo Gentiloni dal dicembre 2016 al giugno 2018; Giuseppe Conte dal settembre 2019 al febbraio 2021; Mario Draghi dal febbraio 2021 all’ottobre 2022), Borgonzoni forse punta al record di Sottosegretaria alla Cultura più longeva anche lei?! Finora è stata in carica per quasi 5 anni (per la precisione 4 anni ed 11 mesi). O forse vuole battere lo stesso record di Franceschini?!?
Evidente una linea di continuità (di politica culturale) tra il “dem” Dario Franceschini e la leghista Lucia Borgonzoni.
La riforma della “Legge Franceschini”? La vera verità è che è stata dettata dalla preoccupazione per il sedimentatosi “buco” di bilancio…
Da oltre un anno, riteniamo sia stata messa in scena una rappresentazione distorta e falsata: la “riforma” della Legge Franceschini sarebbe stata dettata da esigenze di razionalizzazione, di contrasto agli sprechi… attribuendo peraltro la principale responsabilità di ciò ai piccoli imprenditori ed ai produttori indipendenti (ed a qualche malfattore pure).
Non è questa la vera verità: il Fondo Cinema e Audiovisivo è stato brutalmente congelato, dalla primavera del 2023 all’autunno del 2024, perché “qualcuno” si è reso conto che si era “sforato”, che si era speso più del previsto, che si era andato accumulando un “buco” di bilancio preoccupante, che può essere stimato nell’ordine di 1 miliardo di euro.
Ed è preoccupante osservare come la “riforma” non vada a disturbare gli interessi dei “big player”, ovvero dei principali beneficiari della legge stessa, ovvero i grandi produttori e le multinazionali straniere che nel corso degli ultimi anni hanno peraltro acquisito il controllo delle maggiori società di produzione…
La riforma affidata alla regia della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni corre il rischio di provocare la morte di molte piccole imprese e la desertificazione del tessuto della produzione indipendente.
Perché?
E perché ci si è nascosti dietro il dietro, costruendo una rappresentazione distorta della crisi in atto?
[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).