Francia, sventato un attentato a cinque giorni dalle elezioni
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – Il procuratore di Parigi, François Molins, in una conferenza stampa tenuta ieri martedi’ 18 aprile ha rivelato che due persone sono state arrestate perche’ sospettate di organizzare un attentato in grado di turbare il regolare svolgimento delle elezioni presidenziali in Francia, il cui primo turno si terra’ domenica prossima 23 aprile: lo rende noto il quotidiano “Le Monde” che accanto alla cronaca dettaglia anche le misure messe in campo dal governo francese per garantire la sicurezza del voto. Secondo il resoconto dell’autorevole quotidiano parigino, dunque, la Direzione generale della sicurezza interna (Dgsi) ieri ha arrestato a Marsiglia due cittadini francesi, Cle’ment B. di 23 anni e Mahiedine M. di 29 anni, noti da tempo alle forze di polizia come estremisti islamici: dopo averne seguito da presso le mosse da almeno una settimana, gli investigatori della Dgsi hanno deciso di arrestarli perche’ convinti che fossero sul punto di compiere un clamoroso attentato. Il procuratore ha ammesso che a questo stadio delle indagini non e’ possibile indicare l’obbiettivo e la data della progettata azione terroristica, ma ha aggiunto che tutto fa credere che i due terroristi stessero per colpire la campagna elettorale giunta ai suoi ultimi giorni: forse addirittura uno dei principali candidati, quello del centro-destra Francois Fillon; o magari proprio uno dei seggi elettorali il giorno stesso del voto domenica prossima 23 aprile. I servizi segreti gia’ alla fine setta scorsa settimana hanno allertato gli staff elettorali dei candidati alle presidenziali, ed il ministero degli Interni ha deciso misure eccezionali per la loro protezione e quella dei loro ultimi comizi in programma questa settimana. Nei giorni scorsi il governo francese aveva messo a punto un piano di sicurezza che a protezione dei 67 mila seggi elettorali sparsi in tutta la Francia prevede la mobilitazione di 50 mila agenti delle forze dell’ordine, oltre ai militari dell’operazione “Sentinelle” varata dopo le stragi del 13 novembre 2015 a Parigi. Nonostante i ripetuti attentati di matrice islamica che hanno colpito la Francia negli ultimi due anni, abbastanza sorprendentemente i temi del terrorismo e quelli, in parte correlati, del rapporto tra la Repubblica e l’Islam e dell’immigrazione sono rimasti abbastanza ai margini dei dibattiti della campagna elettorale. E cosi’ anche ieri i principali candidati presidenziali hanno reagito con grande prudenza alla notizia degli arresti di Marsiglia e dello sventato attentato. Persino la leader del Front national di estrema destra, Marine Le Pen, intervistata al telegiornale della sera della principale rete televisiva privata francese, “Tf1”, non ha voluto rilasciare alcun commento specifico, limitandosi ad affermare che “niente di serio” e’ stato finora fatto contro il terrorismo.
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Regno Unito, May chiede le elezioni anticipate per rafforzare la sua posizione nel negoziato sulla Brexit
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – La premier britannica, Theresa May, riferisce il “Financial Times”, ha preso l’iniziativa sulla Brexit, chiedendo le elezioni anticipate, che aveva escluso appena qualche settimana fa, in cerca di un mandato piu’ solido che le consenta un’uscita senza intoppi dall’Unione Europea. Al termine di un consiglio dei ministri, la leader di Downing Street ha dato l’annuncio a sorpresa, spiegandone le ragioni. L’anno scorso, ha premesso, dopo il referendum sull’appartenenza all’Ue, il paese aveva bisogno di certezza e stabilita’ e di una leadership forte, che il suo governo ha garantito. Ha rivendicato, inoltre, di aver agito secondo il mandato referendario per dare attuazione alla Brexit, che significa riprendere il “controllo dei soldi, delle leggi e delle frontiere”. “E’ l’approccio giusto ed e’ nell’interesse nazionale, ma altri partiti politici si oppongono”, ha proseguito, sottolineando che in un momento di grande significato storico, il paese si sta unendo, ma Westminster no e citando il Labour, i liberaldemocratici, il Partito nazionale scozzese (Snp) e la Camera dei Lord. “I nostri oppositori credono che a causa di una maggioranza cosi’ esigua la nostra volonta’ si indebolira’ e di poterci costringere a cambiare corso”, ha affermato May, aggiungendo che “si sbagliano”, ma che senza un voto anticipato continueranno il loro “gioco politico”, proprio nella fase piu’ delicata del negoziato con l’Ue. La premier ha quindi esortato le forze politiche ad appoggiare la mozione per le elezioni anticipate e le ha sfidate a presentare i loro piani per la Brexit e i loro programmi alternativi di governo e a lasciare che il popolo decida. “La decisione che il paese ha di fronte sara’ tutta sulla leadership”, ha concluso, aprendo di fatto la campagna elettorale: “Sara’ una scelta tra una leadership forte e stabile nell’interesse nazionale, con me come primo ministro, o un debole e instabile governo di coalizione guidato da Jeremy Corbyn, sostenuto dai liberaldemocratici, che vogliono riaprire le divisioni del referendum, e dall’Snp di Nicola Sturgeon”. Corbyn ha raccolto la sfida. In un articolo pubblicato sul tabloid “Mirror” il leader laborista ha concordato sul fatto che il voto dara’ agli elettori la possibilita’ di scegliere “un governo che metta al primo posto l’interesse della maggioranza”. “Theresa May vuole fare di questa elezione una riedizione del referendum sull’Ue. Ma la decisione di uscire e’ gia’ stata presa dal popolo britannico. La questione ora e’ che tipo di paese vogliamo essere dopo la Brexit”, ha contrattaccato, accusando i conservatori di voler trasformare la Gran Bretagna in un paradiso fiscale. “Il Labour – ha assicurato – offrira’ una vera alternativa a un governo che non e’ riuscito a ricostruire l’economia e lascia standard di vita in calo e dannosi tagli alle nostre scuole e al servizio sanitario nazionale”. Ha poi ricordato gli sgravi fiscali che i Tory hanno concesso ai ricchi, giustificandoli come incentivi agli investimenti, che invece sono calati, lasciando le infrastrutture antiquate e le industrie non competitive. Il partito laborista, invece, intende istituire un banca di investimenti nazionale e banche di sviluppo regionali. “Un governo del Labour ricostruira’ l’economia, innalzera’ gli standard di vita e investira’ nell’istruzione e nel servizio sanitario nazionale e mettera’ fine alla corsa al ribasso del mercato del lavoro”, ha concluso.
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Regno Unito verso un voto a tema unico, “un referendum sotto un altro nome”
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – La stampa britannica analizza e commenta la scelta della premier del Regno Unito, Theresa May, di indire le elezioni anticipate. L’annuncio, osserva un editoriale non firmato del “Financial Times”, attribuibile alla direzione, e’ giunto a sorpresa e dopo diversi dinieghi; in ogni caso “e’ la decisione giusta”. La Gran Bretagna, uscendo dall’Unione Europea, si avvia al piu’ grande cambiamento costituzionale del secondo dopoguerra; i negoziati per la Brexit saranno duri e richiederanno concessioni difficili da accettare per molti elettori; un mandato forte aiutera’ la prima ministra a tenere un approccio pragmatico. La leader di Downing Street, tuttavia, e’ in “malafede” quando chiama in causa la resistenza dell’opposizione, che e’ stata invece colpevolmente assente. “La mossa giusta” e’ anche il titolo dell’editoriale del quotidiano “The Times”: si tratta di “una scommessa politica sicura” che rafforzera’ il mandato di governo di May e la sua posizione negoziale, dandole un vantaggio nel confronto parlamentare e in quello con la Scozia. Il rischio maggiore e’ l’intransigenza degli antieuropeisti. “Una mossa audace che offre un’opportunita’ d’oro”, titola l’editoriale di “The Telegraph”: con una maggioranza piu’ ampia, May potra’ anticipare lo scontro parlamentare sulla cosiddetta Brexit “dura” e con un mandato piu’ solido potra’ negoziare con l’Ue da una posizione piu’ forte. Diverse le valutazioni degli editoriali dei giornali progressisti. Per “The Guardian” la retromarcia di May sul voto anticipato, di cui non c’era bisogno, non e’ un bene per la politica; soprattutto, gli elettori saranno chiamati a firmarle un assegno in bianco sulle condizioni della Brexit. “The Independent” parla di un’elezione a tema unico, “un referendum sotto un altro nome” e sottolinea che il primato del sistema parlamentare e’ proprio cio’ che chi ha votato per la Brexit intendeva proteggere. Per il “Mirror” May ha lanciato una “presa del potere” con un programma ancora piu’ di destra di quelli di David Cameron, ex primo ministro, e George Osborne, ex cancelliere dello Scacchiere: la svolta di May non ha niente a che fare con l’interesse del paese, ma e’ motivata esclusivamente dai suoi “cinici calcoli” politici.
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Asia Orientale, figuraccia per la Marina Usa: la portaerei Carl Vinson non ha fatto rotta davvero verso la Penisola coreana
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – Soltanto la scorsa settimana, di fronte al drastico aumento delle tensioni nella Penisola coreana, la Casa Bianca aveva annunciato che il gruppo da battaglia della portaerei a propulsione nucleare Uss Carl Vinson, originariamente diretto verso le acque dell’Indonesia, era stato inviato invece di fronte alle Coree, come segnale d’avvertimento al regime di Pyongyang. In realta’ – ha riferito ieri la stampa Usa – l’annuncio e’ stato un bluff, o peggio, un altro apparente caso di deficit comunicativo tra l’amministrazione presidenziale e le agenzie governative. Proprio mentre la Casa Bianca annunciava il rischieramento della portaerei e delle sue navi di scorta, infatti, la flottiglia faceva tranquillamente rotta verso la sua meta designata, dove e’ giunta, come da programma originario, lo scorso 15 aprile; nei giorni successivi, la portaerei ha effettuato esercitazioni nell’Oceano indiano con unita’ della Marina australiana, a 3.500 miglia di distanza dalla Penisola coreana. Ufficiali anonimi citati dal “New York Times” puntano l’indice contro una serie di indicazioni contraddittorie giunte dai vertici del Pentagono, annunci intempestivi da parte del Comando Usa del Pacifico e spiegazioni “parzialmente errate” da parte del segretario della Difesa, Jim Mattis. Stabilire se l’annuncio della Casa Bianca abbia costituito un “depistaggio” deliberato, oppure un marchiano errore comunicativo, appare per il momento difficile; stando al “New York Times”, pero’, gli affrettati annunci anonimi della Difesa, distribuiti come ormai di consueto alla stampa prima di ricevere una qualsiasi aura di ufficialita’, hanno posto il presidente Trump di fronte a una situazione senza via d’uscita: prima ancora che potesse esprimersi in merito alla portaerei, i quotidiani di mezzo mendo gia’ riferivano dell’invio della flottiglia al largo della Penisola coreana, e dei rinnovati venti di guerra nella regione. Probabile, secondo il quotidiano, che il presidente si sia risoluto a sfruttare la confusione per attribuirsi una nuova prova di forza sullo scacchiere geopolitico: a quel punto, il Pentagono non ha piu’ avuto modo di ritrattare la narrativa. Concluse le esercitazioni nell’Oceano indiano, la Carl Vinson e’ ora davvero in rotta verso la Penisola coreana, dove giungera’ pero’ non prima della prossima settimana; o almeno, cosi’ sostengono le “fonti anonime della Difesa” citate dai quotidiani Usa. Nel frattempo, la notizia ha dominato le prime pagine della stampa del Giappone, dove ieri si e’ recato in visita ufficiale il vicepresidente Usa, Mike Pence. Pence, che ha trascorso la Pasqua con i militari Usa schierati lungo la linea di confine demilitarizzata tra le due Coree, si e’ recato a Tokyo per ribadire l’impegno di Washington a garantire la difesa dell’alleato asiatico, e per avviare formalmente il dialogo economico tra la nuova amministrazione presidenziale Usa e il governo del premier giapponese Abe Shinzo.
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Spagna, dalla Catalogna il calendario per una indipendenza sempre piu’ difficile
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – Il referendum si potrebbe celebrare ad ottobre, e se il governo centrale dovesse dire di no, la Catalogna sarebbe pronta a proclamare direttamente l’indipendenza. Sono gli ultimi titoli che la stampa spagnola dedica alla questione catalana, caso sempre piu’ delicato per l’opinione pubblica nazionale ma anche rebus di difficile soluzione per gli stessi protagonisti. Il quotidiano conservatore “Abc” segnala che il governatore catalano Carles Puigdemont avrebbe intenzione di chiamare la regione alle urne l’1 o l’8 ottobre, e che l’annuncio, da fare all’inizio di settembre, servira’ soprattutto per “risollevare l’animo decaduto degli indipendentisti”. Il referendum e’ stato infatti gia’ dichiarato illegale dalla giustizia e il governo centrale non ha mai voluto dare margini di trattativa alla possibilita’ di celebrare la consultazione. Tutti motivi che uniti alla scarsa sponda internazionale fornita alla causa, nonostante gli sforzi diplomatici messi in campo dalla Generalitat, sembrano rendere quella di Barcellona una battaglia piu’ di posizione che con vere aspirazioni di successo. In questo contesto, scrive sempre “Abc”, prendono corpo le divisioni interne al fronte indipendentista, animate da chi vorrebbe una chiamata alle urne gia’ entro l’estate e chi prende tempo per uscire dall’impasse di un elettorato solleticato all’idea della secessione resa impossibile sul piano legale. Anche perche’ per celebrare il voto occorrono le strutture fisiche e di personale, e il timore degli indipendentisti, rilanciato dalla testata, e’ che i funzionari possano disertare le operazioni timorosi delle sanzioni che potrebbero ricevere dall’amministrazione centrale. Barcellona ad ogni buon conto non abbassa il livello del confronto. Oriol Junqueras, vicepresidente del governo regionale e “ministro degli esteri” catalano, e’ intervenuto in un dibattito pubblico ricordando che l’impegno preso dinanzi agli elettori era quello di procedere alla dichiarazione unilaterale di indipendenza nel caso in cui Madrid non avesse acceduto all’idea di un referendum. E la polemica pubblica non cala di intensita’ grazie anche alla campagna promossa dai fautori del voto sui mezzi pubblici di Barcellona. Un tema di cui si occupa “El Mundo” rintracciando i finanziatori dell’iniziativa e rilanciando le proteste espresse dal Partido popular e dai centristi di Ciudadans.
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Le reazioni della Germania all’esito del referendum in Turchia
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – All’indomani del referendum costituzionale in Turchia, che ha visto una risicata minoranza degli elettori esprimersi in favore di un sistema presidenziale dai poteri fortemente accentrati nelle mani dell’attuale capo di Stato, Recep Tayyip Erdogan, in Germania e in Europa si moltiplicano le richieste di interrompere i negoziati per l’adesione di Ankara all’Unione. Per i paesi europei come la Germania, dove vivono importanti comunita’ turche, che si sono espresse a larga maggioranza in favore di una svolta autocratica nel loro paese d’origine, il referendum ha fatto riesplodere il dibattito sulla mancata integrazione culturale e valoriale di quelle minoranze, nonostante decenni di politiche improntate al multiculturalismo. Il Governo federale tedesco ha chiesto che Ankara verifichi la fondatezza delle denunce di irregolarita’ e brogli avanzate dalle opposizioni turche. Il vicesegretario del Partito democratico libero tedesco (Fdp), Wolfgang Kubicki, ha chiesto al Governo federale di pronunciarsi con chiarezza contro qualunque ipotesi di ingresso in Europa della Turchia dopo l’accentramento dei poteri. “(L’esito del referendum in Turchia, ndr) non puo’ che significare la fine dei negoziati di adesione con Ankara, e la fine dei fondi miliardari di pre-adesione”, ha dichiarato il liberaldemocratico all’ “Huffington Post”. Dello stesso parere l’eurodeputato dell’Fdp Alexander Graf Lambsdorff, e diversi esponenti della maggioranza di governo tedesca, come l’esperto di politica interna della Cdu Wolfgang Bosbach. Secondo l’osservatore elettorale tedesco Andrej Hunko, il referendum ha avuto luogo nelle regioni della Turchia ad elevata presenza curda in un “clima di pesante intimidazione”. Secondo il parlamentare di sinistra non si puo’ parlare di “elezioni libere ne’ eque”. Il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maiziere (Cdu), ha riferito al “Rheinische Post” che “occorre un chiarimento circa la regolarita’ delle elezioni turche”. Secondo il risultato preliminare della commissione elettorale di Ankara, il 51,4 per cento degli elettori turchi ha votato a favore della riforma costituzionale: determinante per l’esito del voto proprio l’orientamento dei milioni di immigrati turchi in Europa. Secondo i dati del Governo turco l’affluenza alle urne e’ stata di oltre l’85 per cento. In Germania, e’ stato di circa il 49 per cento, notevolmente piu’ basso, ma il 63 per cento dei votanti si e’ detto favorevole all’introduzione del sistema presidenziale; in altri paesi europei ad altra presenza di immigrati turchi, come Belgio, Austria e Olanda, Erdogan ha ottenuto veri e propri plebisciti: si sono espressi in favore di un rafforzamento dei suoi poteri costituzionali oltre il 70 per cento degli elettori turchi residenti in quei paesi.
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Usa, le elezioni speciali in Georgia sono una prima prova per il presidente Trump
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – Il democratico Jon Ossoff ha buone possibilita’ di aggiudicarsi il seggio della Camera dei rappresentanti Usa lasciato vacante da Tom Price, nominato segretario della Salute e dei servizi alla persona dal presidente Usa Donald Trump. Ossoff si e’ aggiudicato oltre il 47 per cento dei voti alle elezioni speciali indette dallo Stato della Goergia per colmare il seggio di Price al Congresso federale. I numerosi candidati repubblicani – addirittura 11 – si sono invece sottratti voti a vicenda; Karen Handel, che ha ottenuto circa il 20 per cento dei consensi, sfidera’ il candidato democratico al ballottaggio, il prossimo 20 giugno. Per Ossoff e il suo partito il secondo turno non sara’ altrettanto facile: i voti dei repubblicani, infatti, confluiranno in un solo candidato, e l’esito della prossima chiamata alle urne appare in bilico. Sino a ieri i Democratici avevano sperato di aggiudicarsi la contesa al primo turno, infliggendo una prima, umiliante sconfitta ai Repubblicani a pochi mesi dal trionfo elettorale di questi ultimi, che lo scorso novembre si sono aggiudicati la presidenza e la maggioranza di entrambe le camere del Congresso federale. La candidatura di Ossoff ha dato ai Democratici un primo, eccitante assaggio delle elezioni di medio termine del prossimo anno, quando dovranno strappare ai conservatori almeno 24 seggi alla Camera dei rappresentanti per invertirne i rapporti di forza a Washington. Ad aiutare i Democratici ci sono le gravi divisioni interne al Partito repubblicano, che dopo aver schiacciato gli avversari lo scorso novembre ha visto addirittura aggravarsi i propri scontri intestini. Diviso tra la sua tradizionale piattaforma conservatrice, promossa dall’establishment di partito, e la svolta populista incarnata dal presidente Donald Trump, il fronte repubblicano pare ancora alla ricerca della propria identita’: il rischio, sottolinea la “Washington Post”, e’ che tale ricerca si protragga sino al 2018, o addirittura oltre. Proprio Trump e’ intervenuto personalmente nella campagna elettorale in Georgia questa settimana, assumendo sulle proprie spalle un rischio politico enorme di fronte all’ipotesi – apparentemente sventata – di una vittoria dei Democratici al primo turno. Il presidente e’ ricorso a Twitter per spronare gli elettori repubblicani a recarsi alle urne, e per affermare che “il democratico Ossoff alzerebbe le vostre tasse” ed ha “pessime posizioni per quanto riguarda il crimine”. La corrente “populista” della Casa Bianca, guidata da Stephen K. Bannon, ritiene le elezioni in Georgia una fondamentale cartina di tornasole sulla tenuta di quel vasto movimento di consenso popolare che lo scorso anno ha proiettato Trump alla Casa Bianca.
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Vivendi costretta a ripensare la sua campagna d’Italia
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – L’Autorita’ italiana di controllo sulle comunicazioni (Agcom) ieri sera martedi’ 18 aprile ha costretto il gruppo multimediale francese Vivendi a rivedere la strategia della sua campagna d’Italia: lo scrive il quotidiano economico francese “Les Echos” a commento della notizia della sentenza dell’Agcom secondo cui Vivendi, azionista sia di Telecom Italia che di Mediaset, abbia violato la legge italiana in materia proprio a causa di questa sua doppia partecipazione. La authority italiana ha aggiunto che il gruppo francese ha dodici mesi di tempo per adeguarsi alla sentenza, ma solo due mesi per mettere a punto il suo piano di disimpegno; in caso contrario, potrebbe vedersi infliggere una sanzione amministrativa compresa tra il 2 ed il 5 per cento del suo volume di affari. La Legge italiana, spiega “Les Echos”, non autorizza alcun attore a detenere partecipazioni che superino il limite del 40 per cento dello strategico mercato delle telecomunicazioni e del 10 per cento nel mercato audiovisivo: Vivendi attualmente e’ il primo azionista di Telecom Italia, la cui quota di mercato e’ del 44,7 per cento, ed e’ il secondo azionista di Mediaset, la cui quota nel rispettivo mercato e’ del 13,3 per cento. Secondo “Les Echos”, il gruppo francese tiene piu’ alla sua forte presenza nelle telecomunicazioni e che a quella nell’audiovisivo italiano; tantopiu’ che e’ in conflitto con la famiglia Berlusconi, azionista di maggioranza di Mediaset. Sembra dunque ormai escluso che Vivendi possa puntare a prendere il controllo del gruppo televisivo italiano, come molti ritenevano fosse nei suoi piani: un vero e proprio ribaltamento della situazione. Per il gruppo francese, secondo “Les Echos”, ora la scelta e’ tra un forzato accordo con i Berlusconi oppure una consistente riduzione della propria quota azionaria in Mediaset; il disimpegno pero’ rischia di realizzarsi al prezzo di una dolorosa perdita di valore dell’investimento, costato diversi miliardi. Per il “patron” di Vivendi Vincent Bollore’, scrive “Les Echos” citando il quotidiano italiano “La Repubblica”, sara’ comunque la fine delle sue “mire colonialiste in Italia”.
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Fmi, l’America latina esce dalla recessione, ma non corre
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – L’America latina ha superato la fase della recessione ma la ripresa sara’ piu’ lenta del previsto. E’ quanto scrive il Fondo monetario internazionale (Fmi) nel rapporto presentato ieri sulle prospettive economiche della regione. Un documento che taglia le previsioni di crescita rispetto a quelle elaborate a inizio anno: l’America latina chiudera’ il 2017 con una crescita complessiva dell’1,1 per cento, un decimo in meno di quanto stimato a gennaio e mezzo punto sotto le previsioni fatte in autunno. Una dinamica la cui debolezza si ripercuote sul 2018, anno in cui l’economia potrebbe crescere a un ritmo del 2 per cento, con la perdita di qualche decimale rispetto alle stime precedenti. Nel rapporto del Fondo l’America latina va in direzione contraria alla tendenza globale, se e’ vero che la stima di crescita mondiale del 3,5 per cento nel 2017 e’ aumentata di un decimale rispetto al documento elaborato a gennaio. Il dato e’ fortemente influenzato dalle prestazioni del Messico la cui economia dovrebbe subire una forte decelerazione, passando dal 2,3 per cento del 2016 all’1,7 del 2017. Tra le cause principali ci sono le condizioni fiscali meno favorevoli e il peso delle incognite nel rapporto con gli Stati Uniti, elementi che potrebbero attenuarsi per il 2018 quando il Pil dovrebbe rialzarsi fino al 2 per cento di crescita. Il Brasile, altro colosso economico della regione, puo’ a buon diritto dirsi fuori dalla pesante recessione, se pure con un debole 0,2 per cento del 2017, ma soprattutto puo’ sperare in una ripresa piu’ solida per il 2018 (+1,7 per cento). Bene anche l’Argentina che mostra di poter tenere un ritmo costante sopra il 2 per cento e malissimo il Venezuela, che chiudera’ l’anno con una decrescita del 7,4 per cento.
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Mediterraneo, soccorrere o non soccorrere?
19 apr 10:47 – (Agenzia Nova) – L’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha riferito che ben 8.360 migranti sono stati soccorsi nel Mediterraneo centrale durante il fine settimana di Pasqua. La nave “Sea eye” di Regensburg ne ha tratti in salvo 202, sino al sovraccarico, cosi’ come la nave privata “Iuventa” dell’associazione “Gioventu’ della salvezza”. Sono gia’ 35.000 i migranti giunti in Italia dalla Libia quest’anno, e almeno 900 sono quelli che hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Nel 2016 sono sbarcati in Italia circa 180 mila migranti. Secondo il direttore generale dell’Oim, William Swing, l’Europa deve creare canali sicuri d’ingresso dei rifugiati, non solo in Italia, ma in altri paesi dell’Unione. La dignita’ e diritti umani dei migranti vanno rispettati, ha detto Swing ieri a Ginevra. Associazioni private e l’agenzia europea Frontex nel frattempo si accusano reciprocamente di mettere in pericolo di vita i rifugiati, agevolando i trafficanti con operazioni di soccorso sino a pochi chilometri dalle coste libiche. Il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, aveva denunciato settimane fa che i contrabbandieri approfittano delle imbarcazioni delle ong pronte a prendere a bordo i immigrati appena salvati dalla Libia: queste organizzazioni sarebbero addirittura in contatto telefonico diretto con i trafficanti per coordinare i “salvataggi”. Ong come “Moas” o “Sea Watch”, invece, contestano la scarsita’ delle risorse per le operazioni di salvataggio messe a disposizioni dall’Ue. Le organizzazioni private hanno ormai un ruolo da protagoniste nel flusso dei migranti: circa un terzo degli sbarchi in Italia vengono effettuati dalle navi delle Ong, una flotta di 13 imbarcazioni finanziate da privati che, al contrario delle unita’ di Frontex e della Guardia costiera italiana, non svolgono alcuna attivita’ di dissuasione dei contrabbandieri. Nella caccia ai trafficanti di esseri umani sono coinvolte anche le Forze Armate tedesche, nell’ambito della missione Sophia, di cui fanno parte 25 Paesi. La Ue contribuisce all’operazione con soli 12 milioni di euro l’anno.
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