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Sulla Luna sopravviveremo grazie alla ‘sabbia lunare’. Come otterremo da questa acqua e ossigeno? Lo spiega Michèle Lavagna (PoliMi)

Entro il 2026 torneremo sulla Luna

Entro il 2026 torneremo sulla Luna grazie alla missione Artemis3, che punta a portare di nuovo (dopo 50 anni) esseri umani sul nostro satellite naturale, in particolare per esplorare il polo Sud lunare.

Non solo voglia di riaffacciarsi nello spazio, ma anche un obiettivo concreto: costruire delle basi spaziali sulla Luna, come l’Artemis Base Camp della Nasa e il Moon Village dell’Esa (Agenzia spaziale europea), per consentire agli scienziati di effettuare anche lunghe permanenze sul satellite.

Ciò che però dovrà essere garantita l’autosufficienza alimentare, ma anche la capacità di trovare direttamente sulla Luna (“in situ resource utilization”) le risorse fondamentali per la vita: acqua e ossigeno.

Acqua e ossigeno dalla regolite, la sabbia lunare

Un indizio sul come fare sulla Luna ce lo ha dato Michèle Lavagna (Professore Ordinario di Meccanica del Volo, Politecnico di Milano, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali), intervistata sull’argomento da Asi Tv, la web tv dell’Agenzia spaziale italiana.

Protagonista indiscusso per ottenere in loco risorse fondamentali sarà la regolite lunare, ossia lo strato di polvere grigia che ricopre la Luna e su cui Neil Armstrong lasciò l’impronta dello storico ‘grande passo per l’umanità’. Accumulatasi a seguito dei numerosi impatti da meteoriti che hanno colpito la Luna, questa sabbia contiene minerali che si trovano anche sulla Terra, ma soprattutto è costituita per circa il 40% da ossigeno, presente nella regolite in forma solida”, ha detto Lavagna.

La regolite lunare a essere il primo vero bacino da cui le future missioni di lungo periodo probabilmente estrarranno ossigeno e acqua; questo nonostante la possibile presenza di acqua ghiacciata nel sottosuolo del Polo Sud lunare, regione dove sono previste le prime basi permanenti. L’estrazione di elementi dal sottosuolo lunare è, infatti, una sfida tecnologica molto ardua date le condizioni completamente differenti da quelli terrestri”, ha commentato la professoressa del Politecnico di Milano.

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