La trasmissione

Su ‘Quarta Repubblica’ condotto da Nicola Porro su Rete4, al via un’indagine sui finanziamenti pubblici a cinema e audiovisivo: la bolla sta per scoppiare?

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Dopo gli interventi di Pinuccio di “Striscia la Notizia”, questa sera il talk di Rete4 affronta la controversa vicenda del Tax Credit al settore cine-audiovisivo. Ci si augura che venga denunciata l’assenza di controlli e di valutazioni di impatto del credito d’imposta.

Non sarà certamente il tema di maggior “appeal” televisivo e politico, ma va segnalato che, dopo le esplorazioni di Pinuccio di “Striscia la Notizia” di Canale 5 (vedi “Key4biz” del 3 ottobre 2024, “Tax Credit, ci voleva Pinuccio di ‘Striscia la Notizia’ per rilanciare l’interesse dei media?”), questa sera (lunedì 21 ottobre 2024) anche Retequattro affronta a “Quarta Repubblica” il tema del “Tax Credit” al settore cine-audiovisivo ed una prima puntata di un “viaggio nel mondo del sistema dei finanziamenti al mondo del cinema” (così recita il comunicato stampa del programma, come rilanciato ieri sera dall’Ansa).

Il “talk show” dedicato all’attualità politica ed economica condotto ogni lunedì in prima serata da Nicola Porro (che è anche – si ricordi – Vice Direttore del quotidiano “il Giornale”)su Retequattro: al centro della puntata, lo scontro tra Governo e toghe dopo lo stop ai trasferimenti dei migranti ne i centri in Albania, con in studio il Vice Presidente del Consiglio e leader della Lega Matteo Salvini; a seguire, l’inchiesta sul naufragio dello yacht “Bayesian”, e quindi – appunto – l’inchiesta sui finanziamenti al settore cine-audiovisivo…

Notevole l’attesa, soprattutto da parte dei “cinematografari” e dei “televisivi”, anche se oggettivamente si tratta di una tematica di interesse generale, sia in termini di politica culturale (il cinema è uno dei settori più preziosi, per l’estensione del pluralismo espressivo), sia in termini di politica economica, considerate le dimensioni complessive dell’intervento dello Stato nel settore, soprattutto a seguito della “Legge Franceschini” del 2016 (la n. 220): come abbiamo dimostrato – utilizzando fonti istituzionali (la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura, guidata da Nicola Borrelli) – si tratta di oltre 3,5 miliardi di euro nell’arco dei sette anni che vanno dal 2017 al 2023 (su questi temi, si rimanda – da ultimo – a “Key4biz” di giovedì scorso 17 ottobre 2024, “La polvere sotto il “red carpet”, alla Festa del Cinema l’euforia ignora la crisi profonda del cinema italiano: a Roma negli ultimi anni, chiusi 110 cinema”).

Ci si augura che la trasmissione sappia affrontare “il toro per le corna”, non limitandosi ad evidenziare i casi di malagestione del Fondo Cinema e Audiovisivo, fondo che nel 2023 è stato di 696 milioni di euro (di cui ben 541 milioni ovvero il 78 % del totale per il “Tax Credit”), ma ponendo soprattutto all’attenzione dei telespettatori il complessivo deficit di controlli nella gestione di queste ingenti risorse pubbliche.

Come abbiamo tante volte affrontato anche su queste colonne – nell’economia della rubrica curata dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult per il quotidiano online “Key4biz” (focalizzato sull’economia digitale e sulle culture del futuro) –, il problema essenziale e nodale resta quello delle carenze tecniche nel monitoraggio della spesa, delle carenze documentative nella valutazione di impatto dell’intervento della mano pubblica…

Spesa pubblica nella cultura: più nebbia c’è… più “il Manovratore” può operare indisturbato

Come abbiamo dimostrato tante volte su queste ed altre colonne: più nebbia c’è… più “il Manovratore” può operare indisturbato

Meno controlli, meno dati, meno analisi… più “il Principe” di turno è libero di decidere, o comunque orientare ed influenzare…

Si tratta di tematiche non nuove, anzi che hanno radici lontane nel tempo, se è vero che ormai quasi 30 (trenta) anni fa il quotidiano “il Giornale” diretto da Vittorio Feltri sparava in prima pagina un titolo ad otto colonne: il 19 febbraio 1996, titolava “Che spettacolo, buttati 11 mila miliardi (ovviamente di lire italiche, n.d.r.). Un fiume di denaro pubblico a cinema, teatro, lirica e circhi. Nei cassetti di Palazzo Chigi, un dossier riservato che elenca tutte le irregolarità”, nell’economia di una approfondita inchiesta curata da Gian Marco Chiocci (poi divenuto direttore dell’agenzia Adnkronos ed attualmente direttore del Tg2 Rai).

La questione dei deficit di controlli della spesa pubblica nel settore non è quindi una “scoperta”, se non per il fatto che le dimensioni dell’intervento dello Stato italiano nel settore cine-audiovisivo è cresciuto in modo impressionante, per decisione del già Ministro Dario Franceschini.

Fino al 2016, il cinema aveva infatti una quota “limitata”, abbastanza piccola (il 19 % nell’anno 2026 del totale: 77 milioni di euro sul totale di stanziamento 2016 di 406 milioni di euro) del Fondo Unico per lo Spettacolo (il famoso “Fus”, divenuto dal 2023 “Fonde Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo” alias l’impronunciabile acronimo “Fnsv”), mentre dal 2017 l’allora Ministro “dem” Dario Franceschini decise di “sganciare” il settore dal resto del Fus, e di dotarlo di un “fondo” autonomo, ché partì dai 400 milioni del primo anno (2017) per arrivare al picco del penultimo ultimo anno (2022) con quasi 750 milioni di euro.

Sostegno del Ministero della Cultura a favore del cine-audiovisivo: dai 77 milioni del 2016 ai 400 milioni del 2017 (anno 1° della Franceschini) fino al picco dei 746 milioni del 2022

Il salto è stato quindi dai 77 milioni del 2016 ai 400 milioni del 2017 fino ai 746 milioni del 2023… Una vera “esplosione”: una manna statale che s’è andata ingrandendo a livello impressionante.

Tutti gli altri settori dello “spettacolo” sono stati ridimensionati (dal teatro alla lirica, dalla danza ai circhi, passando per la musica), perché Franceschini ritenne che lo Stato dovesse assegnare priorità assoluta (e generose risorse) al settore cine-audiovisivo.

Basti osservare il dato dell’anno 2017 (anno 1° della “Franceschini”): Fondo Cinema e Audiovisivo 400 milioni di euro, mentre quel che restava del Fus era complessivamente a quota 334 milioni di euro (per l’insieme dei settori del teatro, musica, danza, circhi e spettacolo viaggiante)…

C’è chi sostiene che ciò sia avvenuto per rafforzare una qual certa “influenza sinistrorsa” nel settore, anche se riteniamo che il termine – ormai abusato – di “egemonia culturale” sia eccessivo. Per capirci, sicuramente, almeno in termini di “immagine”, il cinema e l’audiovisivo hanno maggiore “audience” e migliore “appeal” rispetto al teatro…

La Storia si ripete? Il Fondo Cinema e Audiovisivo ha riprodotto la patologia del Fondo Unico per lo Spettacolo: deficit di controlli e valutazioni, gestione approssimativa

Quella del Fus è stata per decenni una spesa di fatto incontrollata, sia in termini di efficienza ed efficacia, sia di valutazione dei reali effetti nel tessuto industriale del sistema. E finanche in termini di valutazione dell’estensione del pluralismo espressivo (nell’incontro della domanda con l’offerta), che pure dovrebbe essere l’obiettivo principale dell’intervento dello Stato nel settore.

Scriveva nel 1996 Gian Marco Chiocci su “il Giornale”: “leggendo attentamente la Relazione annuale sul Fus, si scoprono infatti clamorosi errori, pacchiane contraddizioni, imprecisioni al limite dell’analfabetismo contabile. Eppoi, semplificazioni ed omissioni come l’occultamento sistematico dei dati reali come l’aspetto dei “residui”, ovvero dei soldi accantonati anno per anno e a disposizione del Ministero”…

Queste stesse parole potrebbero essere utilizzate, a distanza di trent’anni, rispetto alla gestione del Fondo Cinema e Audiovisivo nato a fine 2016: è paradossale, anzi quasi incredibile, ma questa è la vera verità.

Il “governo” del “sistema” è stato sostanzialmente privo di controlli e valutazioni.

Ci piace qui riprodurre quel che dichiarava venti anni fa la allora deputata Gabriella Carlucci e Responsabile Cultura di Forza Italia, che citava giustappunto l’articolo di Chiocci del 1996, in un suo intervento in Commissione Cultura della Camera dei Deputati: “come si legge in quell’articolo, si trattava di uno scoop del quotidiano, che aveva acquisito alcuni estratti di una ricerca, diretta da Angelo Zaccone Teodosi, fortemente voluta dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, ricerca iniziata nel dicembre 1994, focalizzata sulla gestione del Fondo Unico per lo Spettacolo. Nel luglio del 1995, lo studio «scompare improvvisamente dalla circolazione mentre imperversa il Governo Dini», si legge sul quotidiano. La campagna promossa da Feltri determinò alcune inchieste della magistratura (promosse dal Sostituto Procuratore Adelchi d’Ippolito), ma l’avvento del Governo Prodi-Veltroni, nel maggio 1996, non mostrò un autentico salto qualitativo nelle analisi valutative del Fus, sebbene le relazioni al Parlamento vennero finalmente elaborate con un minimo di cura. Peraltro, la ricerca, che l’allora Sottosegretario Mario D’Addio (Governo Dini) avrebbe voluto fosse trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari, fu «secretata» dallo staff del Vice Presidente del Consiglio Walter Veltroni, ed il Parlamento non poté mai acquisire le 1.500 pagine di analisi e di statistiche. Secondo quel che scriveva Gian Marco Chiocci su ‘il Giornale’: «leggendo attentamente la Relazione annuale sul Fus, si scoprono infatti clamorosi errori, pacchiane contraddizioni, imprecisioni al limite dell’analfabetismo contabile. Eppoi, semplificazioni ed omissioni come l’occultamento sistematico dei dati reali come l’aspetto dei “residui”, ovvero dei soldi accantonati anno per anno e a disposizione del Ministero». Si ricordi anche che il collega Alfonso Pecoraro Scanio presentò il 13 maggio 1996, una proposta di inchiesta parlamentare: «istituzione di una Commissione Parlamentare sulla gestione del Fondo Unico per lo spettacolo» (Doc. XXII, n. 3)”.

Concludeva Gabriella Carlucci: “i Governi di centro-sinistra non hanno mai posto la questione della razionalizzazione e della trasparenza dei finanziamenti pubblici alla cultura all’ordine del giorno (preoccupati che scoprire che il «re è nudo» avrebbe determinato l’effetto controproducente di rischi di riduzioni della spesa pubblica in materia di cultura), e la proposta di Pecoraro Scanio è stata dimenticata: nel mentre, la gestione del Fus è continuata «allegramente», senza nessun controllo accurato e senza nessun adeguato monitoraggio”.

Senza dubbio, il centro-sinistra al Governo, durante tutto l’arco della “Legge Franceschini”, non si è sforzato di analizzare adeguatamente il settore e soprattutto di valutare seriamente l’effetto della nuova norma.

Va riconosciuto all’ex Ministro Gennaro Sangiuliano di aver cercato di mettere uno “stop” alla deriva nella utilizzazione indiscriminata ed allegra del “credito di imposta”.

La lunga gestazione della “riforma”, affidata alla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni è stata però impostata in modo da non disturbare i “big player”, ovvero i principali beneficiari dell’assetto attuale del sistema (le società controllate dalle multinazionali mediali), così vanificando in buona parte il senso dell’intervento di “correzione di rotta”. Ed i maggiori “danneggiati” sono paradossalmente i piccoli imprenditori ed i produttori indipendenti…

Ci si augura che l’accensione dei riflettori da parte dei media “mainstream” (ancora poco a livello di stampa quotidiana, ma senza dubbio interessanti sono queste incursioni televisive in prima serata; dopo Mediaset, si ha notizia che siano all’opra anche le redazioni di “Piazza Pulita” di Corrado Formigli su La7 e finanche di “Report” di Sigfrido Ranucci su Rai3) contribuisca a stimolare nel Governo e nell’Amministrazione la coscienza della necessità di una strumentazione tecnica adeguata. E di conseguenti correzioni di rotta, finalmente non approssimative.

Il che, per anni, dall’avvio della Franceschini ad oggi, non è stato.

La politica culturale non deve essere più gestita in modo così maldestro e nasometrico.

Alla prossima puntata.

[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).

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