Tempo di Autorithies e…tempo di nomine.
Non è infatti un mistero per nessuno che dopo la chiusura, si fa per dire, dei capitoli Antitrust e (forse) Consob, le prossime puntate saranno dedicate ad AGCOM e Privacy. Ecco allora che in questo frangente si iscrive la dichiarazione del commissario Antonio Nicita il quale propone – nientemeno – che la fusione delle due Autorità per fare fronte allo strapotere degli algoritmi e piattaforme digitali. Vaste programme verrebbe d’istinto da esclamare.
Ma ciò farebbe torto al commissario che è uomo d’onore: non solo perché siciliano, ma anche per il suo committment a favore di quel supremo epifenomeno dello stato di diritto che è lo stato regolatorio (altra cosa dallo stato dei regolatori). E non mi si fraintenda: non sto scimmiottando il Marc’Antonio di Shakespeare.
In questo caso la deferenza è genuina: ubi maior! Tanto più, pertanto, duole dissociarsi da un programma così ambizioso che ha il solo difetto di essere a tutti gli effetti, come dire: rovinoso. Perché?
La privacy sotto il garante Antonello Soro ha dimostrato di avere gli attributi per tenere testa alle piattaforme e la circostanza che non sia andato a gridarlo ai quattro venti non toglie nulla alla grandezza dell’impresa. Inoltre il GDPR, come dimostra la sanzione di 50 milioni di euro comminata in Francia contro Google, richiede un’attenzione dedicata.
Anche l’Agcom ha, o piuttosto avrebbe, un vasto potere di intervento nei confronti delle piattaforme. Basterebbe solo esercitarlo, senza pensare di diluirlo nelle attribuzioni altrui, magari solo per camuffare meglio imbarazzanti inerzie.
Giusto o sbagliato, Nicita ha però coraggiosamente toccato solo un lembo del dibattito, quello, se vogliamo, di natura più dottrinale. Vi sono però profili della sfida alla fenomenologia del potere dominante vecchia e nuova che richiedono la massima attenzione e vigilanza. Mi limiterò ad evocarne due per semplicità.
La nomina del nuovo Consiglio AGCOM
I Consigli dell’AGCOM sono stati nel corso del tempo bersagliati in modo impietoso. Probabilmente a ragione. Vi è però qualcosa che bisogna riconoscere a quelle realtà: non esisteva un pensiero unico. La dialettica era vivacissima, persino violenta. Non si facevano sconti a nessuno, soprattutto da parte della libera stampa. Partigiano a volte in modo sfacciato, il collegio però si assumeva le sue responsabilità. Nessuno contrabbandava indipendenza per ambiguità; imparzialità per debolezza; neutralità per smaccato trasformismo.
Ora la corsa o rincorsa alle nomine è già cominciata in un contesto politico istituzionale radicalmente cambiato, il quale reclama a gran voce una specie di Presa della Bastiglia delle istituzioni di governo del mercato. Orbene, nulla di male nelle rivoluzioni, purché esse siano tali e non si spacci il Grande Terrore per il Termidoro o peggio ancora per il Consolato.
Di notabili scodinzolanti intorno ai nuovi padroni (o ai vecchi danti causa…adattatisi senza fatica alla mutata sovrastruttura) ve ne sono fin troppi, molto solleciti a confondere e occultare il proprio imbarazzante passato di militanti di quel o quell’altro partito o di quella o quell’altra impresa.
Ebbene se nuovo corso ha da essere bisogna che vi sia trasparenza e discontinuità.
Chi ritiene di candidarsi, magari impartendo lezioni su come dovrebbe essere interpretata l’indipendenza, faccia pubblicamente i conti (o ammenda) su come ha ritenuto – in nome della coerenza – di interpretare la propria di indipendenza intellettuale. Soprattutto se altezzoso accademico. E qui bisogna fermarsi lasciando il resto all’immaginazione e al divertimento – perché già si annuncia materia di spasso – del lettore.
L’assetto strutturale dell’AGCOM
Struttura è parola che non rende giustizia all’organizzazione complessa di un’istituzione importante come l’AGCOM. Struttura che inoltre evoca grigia, impersonale, kafkiana neghittosità. Il che è lungi dalla realtà, visto che tanta istituzione esprime personale competente e soprattutto dotato di una netta visione di come dovrebbero andare le cose: a destra piuttosto che a sinistra; in basso piuttosto che in alto etc.
E perché? L’indirizzo politico è forse prerogativa del Consiglio? Niente affatto!
Non è mistero per nessuno che soprattutto in AGCOM, l’indirizzo politico sia stato duramente conteso per anni tra la struttura, che la pensava in un modo, e il Consiglio, che la pensava in un altro. Ecco perché operazioni apparentemente innocue di riallocazione delle competenze e del personale, nell’imminenza della scadenza di un Consiglio, acquistano – eccome! – un valore politico.
È come se si predeterminasse l’orientamento dell’istituzione, condizionando il potere decisionale, democraticamente eletto, di chi sarà investito dal Parlamento della legittimazione democratica.
Vi assicuro: è un film già visto. E sarebbe una pessima performance, se possibile da risparmiare al pubblico.
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