Alcuni di voi andranno in villeggiatura in luoghi tutto da scoprire e altri come me torneranno ‘alle radici’, il posto incantato dell’infanzia, quello del ‘tempo ritrovato’…
#Storie è una rubrica curata da Fabienne Pallamidessi e dedicata all’“Internet della gente”.
Inviateci i link dei siti sui quali vorreste si sviluppasse una storia all’indirizzo storie@key4biz.it e Fabienne Pallamidessi la costruirà per voi.
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Oggi, non sarò io a raccontarvi una storia ma Paolo, Lino per i suoi cari e i suoi amici, che negli ultimi anni della sua vita decise di raccontare in una serie di racconti la “sua” isola, la sua infanzia, la sua adolescenza, un mondo ‘quasi’ scomparso … Dalla sua ‘avventura’ sembra giungerci ancora l’eco delle sue risa e la sua voce da ragazzo.
“A Cala Gavetta, dall’angolo del palazzo Ajassa lo sguardo va dritto a Palau che a quell’epoca era solo un paesino su due o tre stradine e lo stradone. Eppure per noi ragazzi, quella piccola contrada era simbolo di evasione, di sbocco nello spazio, alla libertà. La Maddalena era stata, senza accorgercene, una prigione, quattro lati recintati, tanto il resto dell’isola privilegiava ancora le installazioni militari, nonostante la loro ormai inutile sussistenza… L’occupazione, principalmente americana, ci aveva aperti a un nuovo modo di essere, nei suoni, nei gusti, altre parole, altri umori, altri odori e tanti, tanti nuovi desideri e speranze che dicevano tutte conquista e mai più trincea.
Una domenica di prima estate l’intrepido leone di Caprera ci imbarcò. Con me Lorenzo Banchini, come sempre, come dappertutto, Gigi Ornano e non mi ricordo chi. Con una strategia semplice: recarsi alla spiaggetta del faro ed esibirsi in evoluzioni acquatiche; siamo nel 1945 e ancora moltissimi galluresi frequentavano il mare per il beneficio di una brezza rinfrescante o, al massimo, osando bagnarsi solo i piedi.
Come di domenica, era di rigore vestirsi con gli abiti di festa, noi, per la nostra trasferta clandestina, ci trovammo come alla messa, ’mafiosi’ (cioé elegantemente vistosi) e, per la balneazione, pesantemente addobbati. Io? Un completo di orbace bianco e marrone spigato, sopra camicia e cravatta; per il bagno ci servimmo delle mutande che avevamo addosso, tipo boxer, che lo slip era ancora nel futuro.
Tuffi, capuzzine, nuoto sul dorso, a gattolina; e ti passo sotto le gambe e ti do una “zumbaccata” e grida, esortazioni, e per finire il clou: il tuffo dalla spiaggia sull’onda della risacca, tenendoci per mano. Intanto le nostre occhiate assassine avevano folgorato e già pregustavamo la ‘siesta del guerriero’ che di riposo allora non se ne parlava. E quindi Bis,bis !! Ohibò, aveva ragione Paganini, nulla di quello che é bello può esserlo di più ma nell’apoteosi dell’inatteso successo, come rifiutare?
A farmi mettere sale in zucca ci pensò lo scoglietto insabbiato che mi aprì abbondantemente lo scalpo. Mi tirarono su, svenni perdendo d’un colpo molto sangue, l’intrepida immagine d’eroe e, forse, qualche bacetto. Fortunatamente un dottore che che per caso si trovava la con la famiglia, trovò delle forbici, una stagnaletta dalla quale ottenne dei triangolini che, disinfettati, utilizzò come grappette per ricucire la larga ferita. Una brava signora strappò delle bande da un lenzuolo e mi conciarono come una suora di clausura. Era il massimo del confort che si poteva ottenere a quei tempi.
Mi faceva male? Non ricordo! So però che avevo paura, una grande paura, un’ immensa paura… di mia madre. Per diventare un giovanotto vero, dovevo ancora aspettare!”
Una decina di anni dopo, a Bonifacio in Corsica, mio padre, conobbe mia madre ma questa è un’altra storia …
Non li trovate incredibilmente ‘attuali’ quei due bei ragazzi degli anni 50 nella loro indimenticabile estate? Sicuramente avrete anche voi una foto del genere in un album di famiglia, datele un’occhiata un giorno di questi, vi riempirà il cuore!