È straordinario come il ‘marchio di fabbrica’ delle dittature siano le sculture imbarazzanti. È dai tempi del tremendo leader iracheno Saddam Hussein che non si vedeva un fiorire di statue come la recente produzione russa intesa a celebrare Vladimir Putin, il ‘non-ancora’ eroico Conquistatore dell’Ucraina comunemente raffigurato come un Imperatore Romano.
È di particolare interesse il dettaglio iconografico (nell’immagine qui sopra) del medaglione sul petto del dittatore che riporta la figura dell’aquila bicefala. L’aquila dalle due teste è l’antico simbolo dell’unità dei due Imperi romani – d’’Oriente e d”Occidente – governati, perlopiù teoricamente, da Costantinopoli, l’odierna Istanbul. Oltre a sopravvivere sulle bandiere di diversi paesi dell’Est influenzati dalla cultura ortodossa, al collo di uno Zar quell’aquila è un preciso riferimento alla ‘divina rivelazione’ della Terza Roma.
La profezia fu del monaco russo Filiteo di Pskov che, nel 1520, predisse al Granduca Vasily III l’assunzione da parte di Mosca del ruolo di unico baluardo della fede dopo la caduta delle due precedenti capitali dell’Ortodossia, Roma e Costantinopoli. L’idea si rafforzò quando Ivan III di Russia, Granduca di Mosca, sposò Sofia Paleologa, la nipote di Costantino XI, l’ultimo Imperatore bizantino.
Sulla base del tenue rapporto genealogico con la casata imperiale bizantina, Ivan reclamò l’eredità storica, religiosa e politica di quella Costantinopoli definita ‘seconda Roma’ sin dalla sua proclamazione come sede del potere imperiale da parte di Costantino I nel 330. Fu poi Ivan IV ‘Il Terribile’ (1530–1584), nipote di Ivan III, a dichiarare durante la sua incoronazione a Zar di tutta la Russia che: “Due Rome sono cadute ma non Mosca! E non vi sarà una quarta Roma!” e ad attribuirsi esplicitamente il titolo di Caesar – cioè Zar nella traslitterazione russa – con il diritto pieno dunque da erede dell’Impero bizantino.
Il tutto per dire che, per gli scultori che lo celebrano, Vladimir Putin non è ‘solo’ uno Zar russo, ma un ‘Cesare’, con la precisa missione di mettere una terza testa – quella dell’Impero russo – sulla bandiera ancora bicefala. È una previsione che tarda a verificarsi da mezzo millennio.