Le più recenti statistiche sui divorzi in Italia divulgate dall’Istat permettono di valutare l’impatto che la pandemia ha avuto sui divorzi. Ebbene, l’effetto delle restrizioni e dei lockdown ha portato a un calo enorme delle procedure che mettono fine a un matrimonio. Precisamente in Italia nel 2020 i coniugi che hanno deciso di divorziare sono stati 66.662, il 21,9% in meno del 2019 quando i coniugi che hanno detto basta sono stati 85.349. La ragione di questo calo, tuttavia, non ha nulla a che vedere con l’aumento della volontà dei coniugi di “salvare il matrimonio” ma risiede unicamente nelle chiusure degli uffici giudiziari e nelle restrizioni alla mobilità del periodo pandemico, almeno per l’Italia.
In Danimarca, Paese dove statisticamente si divorzia di più, la pandemia e quindi l’obbligo di rimanere forzatamente a casa, ha fatto schizzare verso l’alto il tasso di divorzio come potete vedere dal grafico in apertura che mette a confronto il nostro Paese con quello scandinavo. Qui in un solo anno il tasso di divorzio ogni 1000 abitanti è balzato dall’1,8 del 2019 al 2,7 del 2020.
Statistiche divorzi, in Polonia e Romania si divorzia più che in Italia
I dati sulle statistiche di divorzio durante la pandemia mostrano come l’Italia sia uno dei Paesi europei dove si divorzia di meno come mostra il grafico alla fine di questo paragrafo, che mostra il tasso di divorzio ogni 1000 abitanti nei Paesi europei relativo al 2020. Addirittura in Italia il divorzio è meno frequente rispetto a Polonia e Romania, Paesi dove il tasso di cittadini cattolici praticanti è più alto che nel nostro Paese. Tuttavia è ancora troppo presto per sapere come la pandemia ha influito sul tasso di divorzio.
Perché? La ragione è che dal momento in cui una coppia sposata decide ufficialmente di divorziare può passare più di un anno e se sommiamo tutti i procedimenti rimasti “bloccati” nei tribunali ci troviamo davanti a migliaia di pratiche di divorzio ancora inevase. L’iter è questo: per concludere la pratica di divorzio la coppia dal momento in cui firma l’accordo di separazione deve aspettare almeno 6 mesi nel caso di divorzio consensuale o almeno 12 mesi nel caso di divorzio giudiziale.
Differenza tra divorzio giudiziale e consensuale
Con divorzio consensuale ci si riferisce al divorzio in cui le parti sono d’accordo su tutte le questioni relative alla separazione. Dalla divisione del patrimonio comune, passando per l’assegno di mantenimento e la custodia dei figli. Il divorzio consensuale può essere ottenuto presentando una domanda congiunta al tribunale, in cui entrambe le parti dichiarano di essere d’accordo su tutte le questioni.
Il divorzio giudiziale, invece, è un tipo di divorzio in cui le parti non sono d’accordo su alcune o tutte le questioni relative al divorzio. In questo caso, sarà necessario presentare una domanda individuale al tribunale e il giudice deciderà su tutte le questioni in disaccordo. Il divorzio giudiziale è naturalmente più lungo, complesso e dispendioso del divorzio consensuale.
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Statistiche divorzi, in Italia il 32,71% di divorzi in meno
Leggendo le statistiche sui divorzi in Italia possiamo confermare una cosa: dal boom di divorzi del 2016, ovvero da quando è entrata in vigore la legge sul divorzio breve, le coppie che hanno deciso di divorziare sono andate via via diminuendo come mostra il grafico in apertura. Nel 2016 in Italia ci sono stati 99.071 divorzi, nel 2020 il 32.71% in meno.
Costo del divorzio in Italia, si parte da 16 euro
Divorziare in Italia può costare anche solo la modica cifra di 16 euro. E’ questo infatti il costo per il divorzio consensuale in Comune dove, non essendo necessaria la presenza di avvocati, bisogna solo sostenere le spese per il bollo che ammontano a 16 euro. Tuttavia questa opzione è praticabile solamente a una condizione: la coppia non deve avere figli minori, o figli disabili o economicamente non indipendenti.
Divorzio consensuale, può costare più di 3mila euro
Nel caso di un divorzio consensuale con negoziazione assistita, quindi nel caso in cui ci siano figli minori o maggiorenni non autosufficienti, il prezzo base va da un minino di 500 euro a un massimo di 3000 euro. Tuttavia queste sono solo delle stime perché il prezzo varia caso per caso in base al numero di incontri necessari a chiudere l’accordo di divorzio.
In generale, i costi per divorziare includono: le tariffe notarili, per redigere l’accordo di divorzio o per autenticare la domanda di divorzio. Le spese legali, il costo per l’avvocato, ma anche le spese per l’assistenza psicologica dei coniugi o dei figli se la coppia decide di fare affidamento a un supporto di questo tipo.
Divorzio in Italia, chi paga gli alimenti?
L’assegno divorzile, comunemente chiamato assegno di mantenimento, lo deve versare il coniuge con il reddito più alto. Infatti serve a garantire al coniuge con il reddito inferiore la possibilità di essere economicamente indipendente in relazione al tenore di vita con il quale ha vissuto durante il matrimonio. E’ importante tenere presente che gli alimenti non sono destinati a “punire” il coniuge che li versa.
Alimenti e tradimento, chi tradisce non deve “pagare di più”
Lo ha specificato la Corte di Cassazione nel 2017 specificando che l’ assegno di mantenimento non è né un “sussidio vitalizio” né una “rendita parassitaria”: in poche parole se il coniuge che riceve gli alimenti aumenta il suo reddito può perdere il diritto a ricevere un aiuto economico ma, soprattutto, se il coniuge con il reddito inferiore è in condizione di lavorare ma non lo fa con l’esatta intenzione di farsi mantenere perde il diritto agli alimenti. E in caso di tradimento? La Cassazione è chiara: l’addebito della separazione per infedeltà coniugale non determina in maniera diretta e consequenziale il riconoscimento dell’assegno di mantenimento nei confronti della moglie.
I dati si riferiscono al: 2019-2021
Fonte: Istat