“Virtualizzare è meglio che digitalizzare”. E’ lo slogan emerso dalle riflessioni dell’evento nazionale degli Stati Generali dell’Innovazione, svoltosi in Umbria a Bevagna (PG) dal 6 all’8 luglio 2018, un weekend di full-immersion tra dialoghi generativi e confronti con iniziative e progetti tecnologici presso il Centro Studi Città di Foligno.
A distanza di un semestre dall’insediamento dei nuovi vertici, soci e simpatizzanti di Stati Generali dell’Innovazione (SGI) hanno fatto il punto della situazione in una adunanza sulle colline umbre, tra Bevagna e Foligno (PG) dal 6 all’8 luglio u.s.. Nel primo dei tre giorni di lavoro (venerdì 6 luglio) è stato discusso il tema “virtualizzazione–vs-digitalizzazione”, affrontando l’interpretazione corretta del processo di Trasformazione Digitale. Non un approccio intellettuale astratto, ma una necessità pratica talvolta trascurata, con il compito di ragionare sulla definizione corretta dei concetti di “digitale” e “dato spaziale”.
In generale si tendono a ridurre le potenzialità della Trasformazione Digitale ad un processo di digitalizzazione concepito come “digi-copiatura” di oggetti e processi materiali in termini di informazioni gestibili al computer. Una diretta conseguenza di questo approccio mentale è la tendenza a operare su due mondi separati, che, ad esempio, crea grossi problemi nella gestione delle relazioni con le generazioni più giovani che assolutamente non percepiscono tale separazione. Questo fenomeno è stato ben evidenziato e discusso durante il recente Symposium “Connecting the Dots: Young People, Social Inclusion and Digitalisation”, organizzato dalla Youth Partnership between Council of Europe and European Union. Simili difficoltà si incontrano nel caso del patrimonio culturale, dove il digitale viene definito dal Consiglio d’Europa come una ‘terza categoria’ a fianco di quello tangibile e intangibile, creando grandi difficoltà a livello di pensiero e di linguaggio.
La discussione all’interno dell’Associazione ha esplorato le positive conseguenze del riconoscere la natura assolutamente materiale del digitale in quanto energia, resa manipolabile dalla tecnologia in modo tale da consentire la creazione dei più disparati modelli di rappresentazione per via numerica. Come è percepito istintivamente dalla generazioni più giovani, dal punto di vista logico non c’è differenza nel processo di creazione di una immagine dipinta ad olio o raffigurata attraverso i pixel di uno schermo. Si crea significato per la mente umana manipolando nel primo caso la massa dei colori, nel secondo l’energia richiesta per generare la codifica numerica voluta.
La trasformazione digitale necessita che, al centro del dibattito, il concetto di “virtualizzazione” sostituisca quello più limitato di “digitalizzazione”, come individuazione e descrizione algoritmica della “vis” ovvero dell’essenza dei processi che osserviamo intorno a noi. Tanto più ove si dedichi attenzione ad un particolare aspetto della trasformazione digitale, la cosiddetta Geospatial Revolution, il fenomeno evolutivo della cultura geografica che si fa strada e si accompagna con la trasformazione digitale della società contemporanea.
La Geospatial Revolution
Adottando una sorta di flashback, cioè esplorando a ritroso le condizioni che hanno favorito la nascita dell’Homo Geographicus, abbiamo immaginato che l’individuo delle prossime generazioni – l’Homo Virtualis – sarà intrinsecamente localizzato e permanentemente connesso nel multi-spazio analogico (Biosfera) + digitale (Rete). In ragione di sollecitazioni evolutive, la sua mente avrà ampliato le capacità della propria intelligenza spaziale, acquisendo competenze nell’uso del pensiero spaziale adeguate per vivere consapevolmente in tale multi-spazio – senza soluzione di continuità temporale – traendone vantaggi per se stesso e per i suoi rapporti sociali, ma sapendo anche interpretare con equilibrio le problematiche psicologiche ed etiche indotte da questa trasformazione antropologica. L’Homo Virtualis sarà anche Homo Geographicus.
Allo scopo di approfondire i temi principali della “Rivoluzione Geo-digitale” – tenendo incidentalmente presenti i 17 Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, e il miglioramento del contesto della nostra vita – tre soci SGI – Fulvio Ananasso, Sergio Farruggia e Monica Sebillo (Presidentessa di AMFM GIS Italia) – curano dallo scorso anno una rubrica divulgativa mensile su TechEconomy, che ha prodotto sinora 9 contributi: 1. La rivoluzione Geo-Digitale; 2. Informazione geografica: quali profili professionali? 3. Uno sguardo al mercato globale del settore geospaziale; 4. Il mercato del settore geospaziale: quale il ruolo dell’Italia? 5. Geo-spatial revolution: opportunità, mercato e prospettive di sviluppo; 6. Tecnologie e applicazioni GIS per smart communities; 7. GeoDigital Transformation: e l’Italia? 8. Rapporto GeoBuiz: il mercato globale del settore geospaziale; 9. Geospatial Digital Transformation: verso la Società 5.0. Un decimo contributo è previsto a breve (“Il mercato del settore geospaziale – Un aggiornamento sul ruolo dell’Italia”). Inoltre, anche in riconoscimento del contributo fornito nel redigere la norma UNI relativa ai profili professionali per il settore della Geo-ICT, Stati Generali dell’Innovazione è stata riconosciuta come Socio Onorario UNINFO.
Sappiamo – e ne stiamo constatando gli effetti – che la diffusione dell’impiego delle tecnologie geospaziali avviene in numerosi ambiti delle Information & Communication Technologies (ICT): Internet of Things (IoT), Artificial Intelligence, Cloud, Big Data, Wireless e Broadband rivestono un ruolo di driver di questo processo. Contaminazioni che rendono sempre più evanescente il confine tra “Geo-matica” e l’universo ICT — V. nanotecnologie, micro-satelliti, self-driving car, gamification, ologrammi / realtà virtuale, ….
In questo quadro, il mercato geospaziale globale presenta valori economici importanti. Lo studio GEOBUIZ Geospatial Industry Outlook & Readiness Index prevede che il settore passi dai 299,2 miliardi di dollari del 2017 ai 439,2 miliardi di dollari nel 2020, con un tasso annuo di crescita nel periodo (Compound Annual Growth Rate, CAGR) del 13,6% e una accelerazione di oltre due punti percentuali rispetto al periodo precedente 2013-2017. Ragguardevole risulta l’impatto economico generato dall’utilizzo delle informazioni e tecnologie geospaziali, che si estende oltre i confini dell’industria geospaziale. Lo studio indica un progresso dai 1.188,7 miliardi di dollari del 2013 ai 2.210,7 miliardi di dollari del 2017, con un CAGR del 20.9%. Ciò dà ragione del ruolo delle tecnologie geospaziali come elemento trainante nella diffusione dell’innovazione digitale.
L’industria geospaziale europea ha una quota di mercato stimata di quasi il 26%, con un volume di 77,7 miliardi di dollari nel 2017. Sempre secondo lo studio citato, il mercato europeo dovrebbe crescere tra il 2017 e il 2020 ad un tasso dell’11,7%, inferiore quindi alla media del 13,6% a livello globale, indicata sopra. Conseguentemente, la quota di mercato UE complessiva dovrebbe ridursi al 24,6% entro il 2020.
Per quanto riguarda i vari Paesi, possiamo riportare la posizione assegnata all’Italia nell’ambito di una analisi comparativa tra 50 nazioni, volta a valutare il grado di maturità e propensione all’utilizzo delle tecnologie geospaziali di ognuna, espressa in termini di Geospatial Readiness Index (GRI). Il GRI è concepito per riassumere – attraverso l’assegnazione di un punteggio finale – la capacità di sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie geospaziali espressa da una nazione. Il nostro Paese risulta essere 18° su 50, preceduto da tutte le nazioni del G7 e, per una posizione, anche dalla Russia. L’Italia si colloca al 14° posto tra i 36 stati membri dell’OCSE.
Ulteriori informazioni circa i punti di forza e le criticità del nostro Paese rispetto alla readiness per le tecnologie geospaziali possono essere ricavate prendendo in considerazione la posizione assegnata all’Italia per ognuno dei cinque aspetti considerati (pillar) nell’ambito della metodologia adottata per valutare tale indice GRI. Sinteticamente, l’Italia si trova – secondo lo studio citato – in posizione favorevole per quanto riguarda l’adozione di un quadro normativo adeguato delle policy (7a su 50) e la capacità del tessuto industriale geospaziale (11a su 50). Risulta invece assai arretrata rispetto ai Paesi leader (e non solo) per quanto concerne la disponibilità e qualità di Spatial Data Infrastructure (SDI) e il livello di adozione della tecnologia geospaziale da parte degli utenti — per entrambi questi aspetti all’Italia è stata assegnata la 20a posizione su 50. Infine, il nostro Paese risulta 24a su 50 rispetto alla capacità istituzionale (formazione e specializzazioni disponibili).
Le competenze geospaziali
Prendendo come riferimento l’ultimo aspetto citato, la discussione tra i soci SGI ha affrontato i requisiti necessari per formare individui consapevolmente abilitati all’utilizzo della tecnologia geospaziale, prendendo spunto dalla norma UNI 11621-5 “Attività professionali non regolamentate – Profili professionali per l’ICT – Parte 5: Profili professionali relativi all’informazione geografica”, pubblicata lo scorso 26 aprile.
È importante sottolineare che l’approccio metodologico adottato per giungere alla definizione dei profili è replicabile e scalabile. Ciò implica che il processo realizzato e descritto nella norma può essere ripetuto e opportunamente adattato ad ulteriori esigenze, per arrivare alla definizione di nuovi profili in risposta ai prevedibili progressi tecnologici e alla crescente domanda di professionalità inerenti l’Informazione Geografica.
Tuttavia, l’approfondimento sul tema, anche tenendo presente la dinamicità del progresso delle ICT, ha messo in evidenza l’esigenza di porre ulteriore attenzione, in fase di applicazione della norma, al legame tra profili e competenze, nonché tra queste e le conoscenze. È fondamentale stabilire un metodo adeguato nell’ambito del processo formativo propedeutico – sia per il professionista “geografo-digitale” che, più in generale, per l’individuo spatially-enabled – per:
- la corretta profilatura degli utenti
- la definizione di percorsi formativi modulari
- stabilire il sistema di certificazione.
Nuovi valori dei dati geospaziali
Procedendo a un’analisi più sostanziale, l’influenza reciproca tra tecnologie dell’informazione e concetti spaziali assume maggiore rilievo rispetto alla convergenza tecnologica. I dati geografici digitali hanno assunto un nuovo valore, oltre a quello legato alla descrizione del territorio, delle sue caratteristiche naturali e delle attività antropiche. Infatti, essi detengono anche un forte ruolo di connettore e aggregatore di altre fonti di dati, funzione ormai indispensabile per creare e condividere nuove informazioni e conoscenze nella Rete.
Gli esempi riconducibili a questa convergenza sono molteplici. Ad esempio, il ruolo della componente geografica è significativo nell’ambito delle tecniche di data mining, dell’applicazione dei modelli semantici al web o, ancora, delle tecniche di visualizzazione, il cui approccio – nei suoi fondamenti – è anch’esso spaziale. Un esempio classico della convergenza tra spazializzazione e visualizzazione è la tecnica analitica di multi-dimensional scaling (MDS), tecnica di analisi statistica usata spesso per mostrare graficamente le differenze o somiglianze tra elementi di un insieme. Interessanti esempi di applicazione sono forniti da EURAC Research, un centro di ricerca privato con sede a Bolzano e ricercatori interdisciplinari provenienti da varie parti del mondo. In “Nuove geografie delle Alpi: Lo spazio distorto”, EURAC Research mostra un esempio di applicazione di questa tecnica statistica e della rappresentazione spaziale dei risultati, nell’ambito di uno studio riguardante gli effetti della realizzazione dei corridoi ferroviari TEN-T promossi dall’Unione Europea. Attraverso lo scaling multidimensionale (MDS), le coordinate geografiche delle stazioni ferroviarie (starting point) sono state ri-scalate in relazione alla matrice dei tempi di percorrenza futuri, generando nuovi punti (ending point) con coordinate geografiche diverse. Le ‘mappe anamorfiche’ (distance cartogram) riportate nel resoconto dei ricercatori EURAC visualizzano l’area geografica d’interesse (Regione Alpina) sulla base dei tempi di percorrenza futuri necessari a raggiungere le diverse città, e non sulla base delle distanze fisiche. In sintesi, questa tecnica di rappresentazione cartografica consente di visualizzare in maniera effettiva le variazioni dei tempi di percorrenza, distorcendo la realtà sulla base della dimensione temporale e visualizzando cosi le nuove geografie alpine.
Questa convergenza tra concetti riguardanti lo spazio e l’ICT significa che sempre più spesso i problemi saranno posti in termini spaziali, e risolti ricorrendo all’uso di astrazioni spaziali. Ne conseguirà che agli individui si presenteranno opportunità – ovvero situazioni in cui si troveranno nella necessità – di pensare spazialmente. Se già ora, ad esempio:
- nel quotidiano utilizziamo dispositivi per generare indicazioni stradali,
- in ambito professionale sono adottati sistemi di visualizzazione per instradare il movimento di persone, mezzi o merci,
- in campo scientifico si utilizzano rappresentazioni spaziali prodotte da strumenti di data mining,
tale scenario va considerato soprattutto in prospettiva, legandolo all’ampio impiego dei dati geografici nel contesto di tecnologie in rapido sviluppo.
Scenario che può essere oggi immaginato richiamando paradigmi come l’Internet of Everything / Everywhere (IoE), intervenendo senza indugi per contrastare un handicap che tende ad amplificarsi rapidamente: un ulteriore “digital divide”, la disparità tra chi possiede e chi non ha la capacità di accedere e impiegare dati geografici, tra chi è in grado di trarne vantaggi e chi resta relegato ai margini della comunità intelligente.
La Società 5.0
Una comunicazione efficace sulle ricadute nel territorio dei dati geografici in ambito digital transformation deve evidenziare a tutta la collettività le dinamiche evolutive della società, che si sta muovendo verso una sovrapposizione di spazi fisici e digitali che mettono al centro l’uomo, secondo il paradigma della “Società 5.0” — una nuova società intelligente che aiuta a risolvere i problemi sociali piuttosto che semplicemente migliorare la produttività.
Questo termine è stato usato per la prima volta in Giappone, e non è un caso se si pensa a come la cultura nipponica metta sempre al centro di ogni attività pervasiva la persona. Mentre le industrie europee si stanno ancora confrontando con il paradigma “Impresa 4.0” e con i cambiamenti che esso sta provocando, il Giappone supera questo concetto e investe sull’economia finalizzata al benessere della popolazione, una “super smart Society”, dove l’Intelligenza Artificiale s’innesta pervasivamente in sempre maggiori ambiti applicativi dell’ICT, per creare un’alta qualità della vita in cui la collaborazione tra uomo e macchina possa basarsi efficacemente su valori sia etici che economici derivanti dalla digitalizzazione.
Va infatti sottolineato come le soluzioni big data, cognitive computing, intelligenza artificiale, … (con conseguenti associate possibilità di user profiling) pongano nuove sfide etiche che richiedono un processo di maturazione ed evoluzione dei criteri di valutazione – V. ad es. iniziative autonome dei giganti del web negli USA, Acceptable Intelligence with Responsibility (AIR, Giappone), ecc.
Questo nuovo modello di società 5.0, così come viene interpretato in Giappone a partire dall’evoluzione storica del concetto di società, è illustrato in “Innovation for SDGs – Road to Society 5.0” – da cui è tratta la figura.
Secondo la Keidanren – la ‘Confindustria’ giapponese -, esistono cinque diversi impedimenti che ostacolano il raggiungimento della Società super smart, nello specifico: (i) difficoltà in ambito amministrativo, (ii) legali, (iii) di conoscenze in tema di digitalizzazione, (iv) di capacità delle maestranze del settore e, infine, (v) riguardanti l’accettazione da parte della popolazione.
Tutte criticità che ritroviamo nella situazione del nostro Paese, ma rispetto a questo nuovo paradigma potremmo fare leva sulla cultura umanistica, vasto patrimonio della nostra comunità nazionale, tenendo presente la raccomandazione del Manifesto di una Società 5.0 presentato dalla Geoknowledge Foundation, documento che invita all’azione per “contribuire alla realizzazione della visione del nostro futuro secondo un ideale umanistico”. Come già osservato in un precedente contributo sul recente Convegno di Stati Generali dell’Innovazione, il mondo sta cambiando così rapidamente che si sente l’esigenza di un afflato filosofico-umanistico piuttosto che ingegneristico. “La società ipertecnologica non ha bisogno di tecnici, ma di ibridi”, sottolinea l’amico e socio SGI Piero Dominici, docente di Comunicazione pubblica e Attività di Intelligence all’Università degli Studi di Perugia. Egli ha coniato il termine “società ipercomplessa”, con cui identifica in maniera sintetica una società nella quale, rispetto al passato, prevalgono due fattori: l’Economia e un contesto storico-sociale dominato dalla Comunicazione. Occorre formulare nuovi programmi di formazione, e iniziative di educazione e istruzione pensate per le sfide dell’ipercomplessità in un – ancora sconosciuto – ecosistema della connessione continua, iniziative fortemente orientate al superamento della separazione tra saperi, discipline, competenze.
Occorre fermarsi a riflettere, e rispolverare aspetti e competenze sociologiche, filosofiche, matematiche, statistiche, … più che (soltanto) strettamente tecnologico-ingegneristiche. Stati Generali dell’Innovazione, con la sua intrinseca natura e composizione trans-disciplinare, è fortemente impegnata affinché il nostro Paese giochi un ruolo importante a livello globale al riguardo, e saluta chiunque voglia associarsi e contribuire con le proprie competenze allo sviluppo di settori estremamente rilevanti per il futuro della nostra Società.
Troppa (e solo) “tecnologia” rischia di stritolarci…
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