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Startup, le nuove regole per farle decollare

I fondi pensione italiani entrano nell’ecosistema dell’innovazione. L’emendamento al dl Concorrenza concordato nel governo, pronto per essere votato in Parlamento la prossima settimana (da lunedì in aula), introduce una nuova condizione per poter godere dell’esenzione della tassa sul capital gain (26%). Si tratta dell’impiego di una quota del portafoglio investito in economia reale, imprese produttive, infrastrutture (il 10% annuo del totale attivo patrimoniale) in fondi di venture capital, quelli che a loro volta investono in startup tech. Questi impieghi dovranno essere pari al 5% del paniere cosiddetto qualificato nel 2025 e al 10% negli anni a seguire per poter mantenere l’esenzione fiscale.

Risparmio previdenziale coinvolto nel VC

Lo scrive il Corriere della Sera, precisando che la misura messa a punto dal ministero del Made in Italy guidato da Adolfo Urso, con la collaborazione tra gli altri di Gianmarco Carnovale, consigliere dell’associazione mondiale Allied for Startups, pone l’Italia in prima linea in Europa nel tentativo di convogliare una quota del risparmio previdenziale sui comparti dell’innovazione.

Un modello che già esiste altrove, ad esempio negli Stati Uniti e in Israele.

L’incentivazione dei fondi pensione a investire in venture capital è alt centro del dibattito, soprattutto dopo il rapporto Draghi sulla competitività. Se l’emendamento sarà approvato come previsto, l’Italia farà un bel balzo in avanti.

Riforma della norma del 2012

La riforma riscrive la normativa del 2012, che da allora ha fatto nascere circa 12.800 startup innovative. Vengono revisionati i criteri di accesso al Registro spingendo sulla fase iniziale dell’attività delle nuove tech. Viene inserito un tagliando di affidabilità dopo il terzo anno, così che soltanto le startup dimostratesi promettenti e scalabili possano restare nel Registro per tutti i cinque anni. Tra i requisiti, l’incremento delle spese in ricerca fino al 25%, la crescita del 50% dei ricavi o dell’occupazione tra il secondo e il terzo anno, la trasformazione in spa, l’ottenimento di almeno un brevetto.

Per le scaleup, ossia le startup che hanno raggiunto uno stadio avanzato di sviluppo, si prevede il prolungamento dell’iscrizione fino a 9 anni.

L’incentivazione più comune, 50% in de minimis per gli investitori, viene portata al 65% ed è confinata ai primi tre anni. Solo la detrazione del 30% rimane sino ai cinque anni. Vengono infine introdotte regole su governance e conflitto d’interesse anche attraverso lo standard internazionale del contratto Safe, standard agreement for future equity.

Requisiti per il mantenimento dello status dopo tre anni

Sono poi introdotti, scrive il Sole 24 Ore, nuovi requisiti per mantenere lo status dopo tre anni, cancellando però quelli (contestati dalle associazioni del settore) che erano stati previsti nel testo del governo: ovvero disporre, entro il secondo anno dall’iscrizione, di un capitale sociale di almeno 20mila euro e impiegare almeno un dipendente e dimostrare che i brevetti di proprietà o in licenza siano effettivamente utilizzati nell’attività di impresa. Sono invece sei i nuovi criteri introdotti per restare nel Registro e bisognerà possederne almeno uno: incremento al 25% delle spese di ricerca e sviluppo; stipula di almeno un contratto di sperimentazione con una Pa; aumento dei ricavi caratteristici o comunque individuati alla voce A1 del conto economico superiore al 50% dal secondo al terzo anno; costituzione di riserva patrimoniale superiore a 50mila euro, attraverso un finanziamento convertendo, o aumento di capitale a sovrapprezzo che porti a una partecipazione di minoranza, da parte di un investitore terzo professionale, un incubatore o acceleratore certificato, un investitore vigilato, un business angel o attraverso equity crowdfunding, più incremento al 20% della R&S; ottenimento di almeno un brevetto; trasformazione in Spa.

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