Lo “Startup Act” ha un impatto più che positivo sulle imprese che ne hanno beneficiato negli anni, riuscendo a far aumentare fatturato, valore aggiunto e asset materiali e immateriali tra il 10 ed il 15%, rispetto alle medesime imprese che non hanno sfruttato tale strumento.
Lo si legge nella nota ufficiale con cui il Ministero dello Sviluppo economico diffonde le valutazioni dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che nei giorni scorsi ha presentato alla Camera dei Deputati il Rapporto “La valutazione dello Startup Act italiano”, realizzato in collaborazione con la Banca d’Italia.
Si tratta della prima valutazione indipendente e comprensiva sul pacchetto di misure introdotto dal Parlamento in favore delle startup innovative.
Lo “Startup Act” è una misura di policy a favore delle startup innovative introdotta dal decreto legge 179 del 2012. Obiettivo del dispositivo era ed è creare un ambiente favorevole alle imprese innovative attraverso una serie di strumenti complementari, tra cui la possibilità di costituire rapidamente una startup, una procedura di fallimento semplificata, incentivi fiscali per gli investimenti, un sistema di garanzia pubblica per l’accesso al credito bancario, l’utilizzo del crowdfunding.
La valutazione, che tiene conto anche del poco tempo passato dall’avvio delle politiche a favore delle imprese innovative, combina una serie di dati provenienti da diverse fonti e ottenuti a partire da bilanci, brevetti, crediti bancari e altro ancora.
Ne viene fuori che lo “Startup Act” ha “un considerevole effetto positivo sia sulle variabili di input, sia di output delle imprese beneficiarie”. In particolare, si legge nella nota cha accompagna la valutazione, “la policy consente di aumentare il fatturato, il valore aggiunto e gli asset di circa il 10-15% in più rispetto alle startup simili che non ne hanno beneficiato”.
Grazie a queste misure, le startup hanno modo di ottenere prestiti bancari più facilmente, nonché una probabilità più alta di ottenere finanziamenti di capitali di rischio (venture capital).
Ovviamente, il documento presenta anche delle raccomandazioni per migliorare il panorama imprenditoriale nazionale:
- ci sono startup che hanno bisogno di maggiore sostegno pubblico;
- le startup ad alto potenziale dovrebbero beneficiare di una maggiore visibilità presso gli investitori;
- rispetto agli altri Paesi Ocse, le startup innovative italiane sembrano essere penalizzate da un’avversione generale e prettamente culturale nei confronti dell’innovazione;
- l’imprenditoria innovativa nazionale dovrebbe essere più aperta ai giovani, le donne e gli innovatori stranieri, con l’indubbio vantaggio di migliorare la mobilità sociale e l’inclusione;
- l’Italia, rispetto ad altre economie simili, soffre di scarsa o debole imprenditoria accademica;
- c’è necessità di ulteriori investimenti in capitale di rischio.
Il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, secondo i dati del secondo trimestre dell’anno in corso, è pari a 9.396, in aumento di 499 unità rispetto a fine marzo 2018, a +5,9%.
A livello occupazionale, il numero complessivo di soci e addetti coinvolti nelle startup innovative italiane era dunque pari a 48.965 unità, per un incremento del 34,1% rispetto all’anno precedente.