“Il suo vero nome è Barbara Millicent Robert, ma per tutti è solo Barbie. Definirla una bambola sarebbe riduttivo. Barbie è un’icona globale, che in 56 anni di vita è riuscita ad abbattere ogni frontiera linguistica, culturale, sociale, antropologica. Per questo motivo il Museo delle Culture di Milano le dedica una mostra, curata da Massimiliano Capella, dal titolo Barbie. The Icon.”
Così inizia la presentazione della mostra sul sito http://www.mudec.it/ita/barbie/.
In effetti Barbie è ben più di una bambola.
Ma proprio perché è diventata un’icona che secondo alcuni promuove un’immagine stereotipata della donna, un’azienda americana produttrice di giochi “tecnologici” per bambine, ha attaccato apertamente il mondo di Barbie, imitando addirittura un famoso spot della Apple, in cui un’umanità asservita si ribellava contro il Grande Fratello, lanciando un martello contro il grande monitor.
In maniera tutt’altro che metaforica Goldie Blox ha accusato Barbie di voler trasformare le bambine in principesse rosa tutte uguali.
Ha poi proseguito con altri video molto divertenti (di cui abbiamo già parlato in questa rubrica nell’articolo ‘Spot&Social: Goldie Blox, parità di genere anche per i giocattoli’) promuovendo giochi adatti a risvegliare nelle bambine l’interesse per la tecnologia e la meccanica.
Per un po’ i produttori di Barbie hanno accusato il colpo.
Ci hanno pensato su e poi hanno deciso di reagire con una campagna molto ben congegnata e ancor meglio realizzata, in cui sostengono che loro propongono tanti modelli di donna, non soltanto principesse, e che le diverse bambole stimolano diversi modi di sognare.
Risposta di grande fair-play, che invece di contrattaccare (come si può andare contro alla proposta di Goldie Blox?) rinforza le caratteristiche del brand Barbie.
Interessante guerra di marketing, e ancora più interessante guerra di pubblicità.
Queste sono le guerre che ci piacciono…