Bilancio

Spesa culturale disastrata dal Covid, in Italia -82% nel 2020

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La Siae certifica il crollo del sistema culturale italiano nel 2020: la spesa del pubblico registra un - 82 % rispetto al 2019, urgono interventi radicali di sostegno e si auspica una ragionevole riapertura dei luoghi di spettacolo e cultura.

Era prevedibile che il “consuntivo” dell’anno 2020 mostrasse risultati negativi, ma questa mattina giovedì 18 febbraio 2020 la Società Italiana Autori Editori (Siae) ha reso noti i dati sintetici di pre-consuntivo dell’anno solare che è stato caratterizzato dalla pandemia Covid-19, e si tratta veramente – come ha sostenuto il Direttore Generale Gaetano Blandini in sintonia con il Presidente della Siae Mogol (alias Giulio Rapetti) – di un “bollettino di guerra”, del triste rendiconto di un vero e proprio “anno nero”.

Basti osservare come nel 2020 la spesa del pubblico abbia registrato una contrazione di oltre 4 miliardi di euro, rispetto all’anno 2019.

Al di là delle parole sempre rassicuranti del Governo Conte 2° e delle reiterate dichiarazioni del titolare del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo (già Mibact, ormai denominato più semplicemente Ministero della Cultura) Dario Franceschini, lo scenario del sistema culturale nazionale è disastrato.

Urgono interventi più intensi e organici e tempestivi, ma, soprattutto, urge la immediata riapertura dei luoghi di spettacolo, e, più in generale, dei luoghi della cultura.

Sacrosanto il rispetto delle norme precauzionali, ma vanno riaperti, subito, i cinematografi ed i teatri, e debbono essere finalmente superate logiche di prudenza – irrazionale ed irragionevole – come l’impossibilità per i musei di restare aperti durante il fine settimana.

Le statistiche dell’Osservatorio dello Spettacolo della Siae (elaborate dall’Ufficio Analisi e Sviluppo) sono veramente deprimenti.

I primi dati relativi a tutto l’anno 2020 confermano sostanzialmente le tendenze emerse dalle cifre relative al periodo da gennaio a giugno dell’anno scorso, che erano state rese note da Siae nel mese di novembre.

Complessivamente, gli eventi di spettacolo sono diminuiti del 69,3 %, gli ingressi hanno segnato un calo del 72,9 %, la spesa al botteghino è scesa del 77,6 % mentre la spesa del pubblico ha avuto una riduzione dell’82,2 %.

Eppure nei primi due mesi del 2020, quando ancora non era scattata l’emergenza sanitaria, non solo gli eventi “spettacolistici” erano cresciuti rispetto all’anno precedente del 3,4 %, ma si era registrato un aumento degli ingressi del 15,5 %, grazie ad una grande partecipazione del pubblico, disposto a spendere più di quanto avesse fatto nello stesso periodo dell’anno precedente (+ 17,2 %).

In effetti, nel periodo dal 1° gennaio al 22 febbraio 2020 hanno riportato il più alto incremento – in termini di spesa – le mostre (+ 9,5%) ed il cinema (+ 6,8 %), grazie anche all’uscita in sala del film “Tolo” (che ha registrato oltre 7 milioni di spettatori). I concerti, invece, avevano registrato una crescita lieve in termini di offerta (+ 1,2 %), ma un forte incremento della spesa al botteghino (+ 26,5%).

Si ricordi che – a seguito dell’emergenza “coronavirus” – da marzo 2020 sono stati chiusi al pubblico tutti i “luoghi della cultura”, e sono stati annullati gli spettacoli di qualsiasi natura, inclusi quelli teatrali e cinematografici. 

Solo a partire dal mese di maggio, sono stati riaperti, a determinate condizioni e con pesanti vincoli, i musei e gli altri luoghi della cultura, e da giugno 2020 è stato possibile lo svolgimento di spettacoli in sale teatrali, sale da concerto, cinema e in altri spazi, sebbene con una forte diminuzione della capienza massima possibile.

Ad ottobre 2020, in considerazione dell’andamento dell’epidemia e dell’incremento dei casi sul territorio nazionale, sono state nuovamente introdotte le stesse limitazioni disposte nei primi mesi dell’anno: ri-chiusura, quindi.

Una dinamica da “stop & go” che è – essa stessa – sintomatica in sé della fallimentare gestione della pandemia da parte del Governo Conte.

Il periodo di “riapertura” non ha peraltro determinato una ripresa completa dell’offerta: durante la riapertura estiva, ovvero dal 15 giugno al 25 ottobre 2020, il numero di giornate è risultato pari al 51,9 % dello stesso periodo dello scorso anno, segnale che non tutte le attività hanno comunque riaperto le porte dopo il “lockdown” totale. Complessivamente, nel corso del 2020, sono stati solo 46.724 i locali che hanno organizzato almeno un evento a fronte dei 94.687 del 2019, ed anche questo dato evidenzia le dimensioni della crisi.

I dati parlano chiaro: le caratteristiche della crisi del settore sono profonde e richiedono interventi d’emergenza, ben oltre i “pannicelli caldi” finora predisposti.

Il “lockdown” ha modificato la struttura della filiera, oltre che le modalità di fruizione? L’esigenza di “re-inventarsi”

Il Direttore Generale della Siae Gaetano Blandini sostiene che, se è vero che i dati 2020 certificano una crisi senza precedenti per l’industria culturale italiana (dal teatro alla musica, dal cinema alle mostre, le discoteche i piano bar, i circhi…), è vero pure che la ripresa appare ancora lontana, e che tanti mesi di serrande abbassate e di sipari chiusi hanno cambiato le cose e pure le abitudini del pubblico: “inutile illuderci – ha dichiarato in un’intervista concessa a Silvia Lambertucci dell’Ansa questa mattina – cambierà tutta la filiera, cambierà la fruizione, e noi questo cambiamento dobbiamo capirlo e reinventarci: dobbiamo studiare come e farlo subito, perché siamo già in ritardo”. La Siae si sta attrezzando, anticipa, “il mese prossimo contiamo di aprire una nuova struttura di innovazione e strategie”.

Si osservi anche che non risulta che il Ministero della Cultura abbia dedicato la minima attenzione a studiare se il “lockdown” abbia determinato modificazioni radicali e permanenti delle modalità di fruizione, e quindi una rimodulazione anche delle varie filiere delle industrie culturali e creative: una ricerca simile sarebbe stata e resta essenziale, per comprendere “se” e “cosa” e “come” è cambiato.

La stessa Siae soffre delle conseguenze della crisi: si ricordi che essa rappresenta la gran parte degli autori italiani, il tessuto della creatività, e degli editori. Segnala il Dg Blandini come, nel disastro generale, ci siano comparti più indietro di altri: “il cinema per esempio soffre, sconta il dramma delle sale chiuse. Ma ha comunque ripreso un po’ a lavorare, si organizzano set in sicurezza, le produzioni stanno ripartendo… il teatro invece no, tutto lo spettacolo dal vivo è drammaticamente fermo”. Come i concerti. “E se i grandi nomi hanno la forza per resistere – argomenta il Dg Siae – non possiamo pensare altrettanto dei quasi 90mila nostri associati, che vivevano cantando e suonando nelle piazze e nei piccoli teatri: nel solo 2019, la Siae ha raccolto da questi concerti 390 milioni di euro, cosa ne sarà di tutto questo lavoro e di tutte queste persone, se non troveremo un modo per reinventarci?”.

“E, a proposito di ristrutturazioni della filiera, rimodulazioni della fruizione, e di re-invenzioni del “fare cultura”… sicuramente non è una “esplorazione” piccina picciò (una esplorazione del “se” e “cosa” e “come” è cambiato) – ed una iniziativa complessivamente modesta”, come la “piattaforma italiana” per la cultura, la controversa ItsArt ovvero “Italy is Art” (impropriamente ancora denominata “la Netflix della cultura”) a poter rappresentare (vedi “Key4biz” del 12 gennaio 2021, “Formalizzato il lancio di ‘Italy is Art’ (ItsArt). Mediaset in manovra su Rai?”) un intervento serio dello Stato in queste delicate lande, che pure costituiscono una parte essenziale del tessuto sociale del Paese.

Il Presidente Mogol ha sostenuto che “la diffusione della cultura è essenziale non solo per l’economia italiana, ma per la stessa qualità della vita”.

In verità, come abbiamo sostenuto più volte anche su queste colonne, il Governo avrebbe dovuto assumere decisioni meno radicali rispetto alle “chiusure” dei luoghi della cultura, ma, al tempo stesso, avrebbe potuto “approfittare” della pandemia, per avviare una riflessione (auto)critica sulle politiche culturali nazionali, nell’auspicabile prospettiva di una rigenerazione, con il superamento dei vecchi modelli di intervento della mano pubblica: non è stato fatto, e si è quindi messo in atto una serie di interventi “contingenti” ed emergenziali, sganciati da una logica di sistema e da una strategia lungimirante di riforma e di rilancio del settore.

Chiudere musei e cinema e teatri: decisione irrazionale ed irragionevole

La chiusura di musei, cinema, teatri è stata una decisione – ribadiamo – irrazionale ed irragionevole, assunta sulla base di pareri del sempre più contestato Comitato Tecnico Scientifico (Cts) della Protezione Civile, pareri assolutamente infondati, privi di senso logico e scientifico: le misure precauzionali adottate avrebbero garantito certamente una fruizione in sicurezza. Ben oltre di quel che ancora oggi avviene nel trasporto pubblico, senza che il Cts abbia assunto posizioni draconiane in materia (due pesi e due misure?!).

Tardiva è stata anche la decisione di riaprire le librerie (il 14 aprile 2020, come deciso dal Dpcm del 10 aprile), ovvero di considerare anche questa attività commerciale tra quelle “essenziali” (insieme alle cartolerie ed ai negozi di abbigliamento per bambini). Certamente positivi comunque i risultati, se è vero che nell’anno della pandemia, l’editoria di “varia” (libri di narrativa e saggistica e per bambini e ragazzi venduti nelle librerie fisiche e online e nella grande distribuzione, ebook e audiolibri) è cresciuta del 2,4 %, raggiungendo gli 1,54 miliardi di euro (a prezzo di copertina), come sostenuto dall’Associazione Italiana Editori (Aie). È pur vero che l’“oggetto libro” è un bene culturale che ha beneficiato delle limitazioni alla circolazione determinate dal “lockdown”, così come la fruizione delle serie televisive in “streaming”: in verità, soltanto l’editoria e la fruizione audiovisiva domestica (videogames inclusi, ovviamente) hanno registrato un segno positivo, tra le industrie culturali.

Il Premier Draghi: la cultura e il lockdown, “una perdita economica ingente, ma ancor più grande la perdita dello spirito”

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dedicato una discreta attenzione alla dimensione culturale della vita, nei suoi due interventi di ieri mercoledì 17 febbraio, dapprima alla Camera e poi al Senato: “stamattina ho detto che l’Italia è una grande potenza culturale e anche per questo al G20” sarà data “grande importanza” alla cultura “con un incontro dedicato” ha dichiarato Draghi nella replica a Palazzo Madama. “Le restrizioni per la pandemia hanno messo a dure prova musei, cinema, teatri, tutto lo spettacolo dal vivo e l’arte in generale”, un comparto che va sostenuto “perché il rischio è di perdere un patrimonio che definisce la nostra identità. Una perdita economica ingente, ma ancor più grande la perdita dello spirito. Molto è stato fatto per ristori adeguati: serve fare ancora di più, rafforzare le tutele dei lavoratori” e le risorse del “Next Generation Ue” vanno utilizzate per “il capitale umano” e le “nuove tecnologie”. Il Premier ha sostenuto che “il ritorno nel più breve tempo possibile alla normalità deve riguardare anche la cultura in tutte le sue forme, perché imprescindibile per la crescita e il benessere del Paese”.

Affermazioni di principio assolutamente condivisibili, ed infatti lo stesso Mogol, questa mattina, commentando i dati di pre-consuntivo 2020, ha sostenuto che “quanto detto ieri in Senato dal Presidente Draghi rispetto alla circostanza che la ripresa delle attività culturali è ancora più importante della ripresa economica ci riempie il cuore di speranza”.

Ci si augura che ai buoni intendimenti annunciati dal Premier faccia presto seguito un insieme di azioni concrete coerenti e conseguenti.

Il Paese non ha certo bisogno di “retorica della cultura”, ovvero di dichiarazioni di intenti che enfatizzino il suo ruolo nella socio-economia della nazione.

Servono interventi consistenti, budget adeguati, azioni tempestive, e magari anche un “new deal” di strategia politica in materia di cultura.

Eppure, a proposito di concretezza, non ci sembra che le proposte del “Next Generation” dedichino particolare attenzione alla cultura…

Chi saranno i Sottosegretari alla Cultura?!

Nelle more, sarà importante verificare l’identikit dei futuri Sottosegretari al Ministero della Cultura, nelle alchimie degli equilibri inter-partitici, nella migliore (peggiore) tradizione del mitico “manuale Cencelli”.

C’è chi prevede che venga confermata la deputata Anna Laura Orrico, “in quota M5S”, nel ruolo di Sottosegretario (aveva anche la delega per il cinema e l’audiovisivo nel Conte 2) e c’è chi prevede che un ruolo sottosegretariale verrà ri-assegnato alla Responsabile nazionale Cultura della Lega, Lucia Borgonzoni (che è stata Sottosegretaria al Mibact nel Conte 1, ed aveva anche lei, in quell’Esecutivo, la delega per il cinema e l’audiovisivo).

Che l’esponente leghista (sconfitta da Stefano Bonaccini alle elezioni per la presidenza della Regione Emilia) si muova in quella direzione è confermato dal suo attivismo in materia, e, da ultimo, dalla notizia, annunciata – non a caso – proprio ieri, della avvenuta pubblicazione sul sito del Senato del testo del disegno di legge “Disposizioni per l’istituzione della direzione generale ‘Musica’, nell’ambito dell’organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo”, di cui è prima firmataria (Atto Senato n. 2075, annunciato il 27 gennaio 2021).

Il provvedimento è composto da un solo articolo, che prevede, nell’ambito dell’organizzazione del Mibact, tra gli uffici dirigenziali generali centrali, l’istituzione di una nuova Dg: la Direzione Generale “Musica”. Attualmente, in effetti, il dicastero ha una Direzione Cinema e Audiovisivo (Dgca), retta da Nicola Borelli, ed una Direzione Spettacolo dal Vivo (Dg Sdv) retta da Antonio Parente (che è subentrato a fine gennaio 2021 a Onofrio Cutaia, nominato Dg della Creatività Contemporanea), e la musica rientra all’interno di questa direzione.

Nelle intenzioni della senatrice Borgonzoni, a questa direzione verrebbe assegnata anche la vigilanza sulla Siae, che è invece attualmente nell’ambito della Direzione Generale Biblioteche e Diritto d’Autore (retta da Paola Passarelli). Entusiastico il commento di Enzo Mazza, Ceo di Fimi, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana: “si tratta di un’ottima proposta, che accoglie una delle storiche richieste del settore musicale, ovvero ottenere, così come per il cinema, una direzione dedicata presso il Ministero dei Beni Culturali. Mi auguro che l’iniziativa sia accolta in modo bipartisan e che venga sostenuta anche dal Governo”. Va osservato che storicamente il Mibact ha prestato molta attenzione alla musica “colta” (classica) e soltanto più recentemente al jazz (per sensibilità del Ministro Franceschini), mentre la musica pop e rock (ed annessi e connessi, inclusi ormai il dominante – ahinoi – rap e trap) non è finora mai stata oggetto di interventi organici e strategici. Basti pensare che fino ad un anno fa non era mai stato promosso in Italia un intervento della mano pubblica per stimolare la produzione di videoclip musicali, allorquando in Francia il Ministero della Cultura interviene da decenni in materia: soltanto nel gennaio 2020 Dario Franceschini ha avviato un processo di intervento, firmando un decreto che consente di beneficiare del tax credit. Ottima iniziativa, senza dubbio, che dovrebbe essere integrata da ulteriori interventi di sostegno…

Chi redige queste noterelle permane comunque molto scettico sulla “compatibilità” di queste forze politiche e sulla chance di costruire un “minimo comun denominatore”, in generale e specificamente in materia di politiche culturali: il Governo Draghi registra oggi una ampia maggioranza in Parlamento, ma sarà così anche quando dovrà assumere provvedimenti che faranno emergere le contraddizioni interne alla maggioranza, le evidenti incompatibilità ideologiche?!

Esempio delle contraddizioni interne latenti del Governo: il progetto “MigrArti. La cultura unisce” verrà rilanciato o ricancellato?

Un esempio piccolo, ma veramente sintomatico delle latenti contraddizioni interne è rappresentato da una iniziativa commendevole avviata a suo tempo dal Ministro Dario Franceschini, su idea dell’allora suo consigliere Paolo Masini, ovvero il progetto “MigrArti. La cultura unisce”, per stimolare l’integrazione e l’inclusione degli immigrati attraverso gli strumenti dell’arte.

Progetto che, insediatosi il Conte 1°, la allora Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (con Alberto Bonisoli titolare del dicastero in quota grillina) ha deciso di killerare, in quanto – a parer suo – non essenziale e certamente non coerente con la linea ideologica della Lega Nord in materia di migrazioni (vedi “Key4biz” del 27 novembre 2018, “MigrArti, perché il bando per gli immigrati è in stand-by?”).

Cosa accadrà – esemplificativamente – per la auspicabile rigenerazione di “MigrArti”, se il Ministro Dario Franceschini si troverà al suo fianco la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni?!

I continui traslochi del “Turismo”, da un ministero all’altro…

Questa vicenda piccola ma emblematica di “MigrArti” può essere associata ad una altra radicale decisione assunta dal neo Presidente del Consiglio, di ben maggiore portata: tanto si è fatto, negli ultimi anni, per sostenere l’esigenza di una sana sinergia tra “cultura” e “turismo”, ed invece si è oggi deciso di ri-separarli, affidando il Turismo – elevato a ministero a sé – al leghista Massimo Garavaglia (ex Vice Ministro all’Economia). Si tratterà di un dicastero autonomo, si presuppone dotato di portafoglio, anche se, ad oggi, non si ha certezza…

Non si comprende con quale logica, razionalità, strategia, sia stata decisa questa “separazione”, se non per onorare l’esigenza di una ennesima “ripartizione” di potere tra partiti: da sempre la Lega (unica forza politica a sostenere questa tesi) ha sostenuto che il Turismo non dovesse essere associato alla Cultura, ma, semmai, all’Agricoltura. E non è una battuta: si ricordi che durante il Conte 1 il Turismo era stato assegnato giustappunto all’Agricoltura, dicastero retto dal leghista Gian Marco Centinaio (titolare del dicastero “delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo”, dal giugno 2018 al settembre 2019)…

Eppure poco più di due anni fa, nel novembre 2019, il Parlamento italiano aveva dato il via libera al decreto legge sul riordino dei ministeri, facendo sì che la competenza tornasse alla Cultura (ove il Turismo era stato allocato dal 2013 al 2018, dopo che nel maggio del 2009 Berlusconi aveva assegnato una estemporanea delega – senza portafoglio – a Michela Brambilla, nominata giustappunto Ministro del Turismo…).

Questi un po’ surreali “traslochi” di competenze, questi andamenti ondivaghi ed erratici, evidenziano come “la politica” italica talvolta bypassi “la logica” (ed anche, più banalmente, il buon senso).

Clicca qui per la tabella di sintesi dei dati di pre-consuntivo sul mercato dello spettacolo in Italia elaborati dall’Osservatorio dello Spettacolo della Società Italiana Autori Editori per l’anno 2020 e di raffronto con il 2019, resi noti dalla Siae il 18 febbraio 2021.

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