La sperimentazione 5G avviata a giugno dello scorso anno dal Mise in cinque città (Milano, Prato, L’Aquila, Matera e Bari) potrebbe durare meno dei quattro anni prefissati dal bando del ministero.
La scadenza naturale della sperimentazione, fissata alla fine del 2020 per la conclusione dei test in fase pre-commerciale, è molto in là nel tempo e non è un mistero che gli operatori siano ansiosi di disporre da subito delle frequenze in banda 3.7 Ghz pagate a carissimo prezzo alla recente asta 5G da record da 6,55 miliardi di euro.
Non è quindi da escludere a priori l’ipotesi che il Mise decida di intervenire per accelerare la liberazione della banda 3.7 Ghz anche nelle città prescelte per la sperimentazione (in particolare Milano, dove i test del consorzio guidato da Vodafone sono già in fase avanzata), accorciando così i tempi.
Tanto più che proprio la banda 3.7 Ghz, la più pregiata per lo sviluppo del 5G e pagata ben 4,3 miliardi dagli operatori all’asta (due lotti da 80 Mhz sono andati a Vodafone e Tim, a fronte di due lotti minori da 20 Mhz aggiudicati a Iliad e Wind Tre) sono disponibili dal primo gennaio 2019, ma di fatto ‘bloccate’ fino alla fine del 2020 nelle città prescelte dalla sperimentazione del Mise.
Fra gli argomenti avanzati per abbreviare i tempi della sperimentazione il fatto che le risultanze dei test sarebbero già in una fase sufficientemente avanzata per accelerare i tempi. Il che potrebbe spingere il Mise a valutare l’ipotesi di chiudere prima la fase pre-commerciale, per consentire agli operatori di accelerare la fase operativa e commerciale delle nuove reti e dei nuovi servizi 5G, a partire dal Fixed Wireless che promette di essere uno dei primi servizi concreti di nuova generazione.
Alla luce di questa ipotesi, si può leggere in chiave diversa anche il “dirottamento” dei fondi per la sperimentazione 5G, 100 milioni di euro, allo sviluppo della rete pubblica WiFi deciso dal Governo, secondo cui la sperimentazione 5G avrebbe di fatto già esaurito il suo compito propedeutico.
Dirottamento che ha sollevato non poche polemiche da parte di Francesco Boccia e Antonello Giacomelli del Pd, che hanno accusato il Governo di sottrarre fondi al 5G. Polemiche alle quali ha replicato Mirella Liuzzi (M5S) secondo cui non c’è stata alcuna cancellazione dei fondi, bensì una semplice rimodulazione per ridare fiato al progetto WiFi Italia.
Ma che significa dal punto di vista tecnologico? Lo sviluppo del WiFi pubblico, un progetto lanciato dal Governo Renzi (ma in fase di stallo) con i nuovi fondi potrà riprendere quota e finalmente decollare. Il WiFi non è una tecnologia concorrente del 5G, al contrario. Una rete WiFi pubblica potrà porre buone basi anche per lo sviluppo futuro del 5G nei comuni (in particolare quelli turistici) dove sarà realizzato.
Predisporre lampioni e arredi urbani per le connessioni WiFi è di fatto un pre-requisito importante anche per la posa della fibra e, un domani, per l’installazione di antenne e collegamenti fibra-5G. Di certo per lo sviluppo di nuovi servizi 5G la strada è ancora lunga. Basti pensare al problema della sicurezza dei dati legato allo sviluppo imminente del mercato IoT (Internet of Things) e al dibattito ancora acceso a livello Ue sugli standard tecnologici delle connected cars (WiFi o 5G?). Vedremo come andrà a finire.