Volendo proporre un breve “riassunto” della settimana appena trascorsa, nell’ambito culturologico-mediologico, sono varie le notizie che meritano attenzione…
Partiamo da quelle artisticamente-esteticamente valide: Nicoletta Manni, promossa étoile della Scala di Milano, a sorpresa, mercoledì sera, dal Sovrintendente Dominique Meyer e dal Direttore del Ballo Manuel Legris, con la compagnia schierata al proscenio e l’orchestra in buca, al termine di “Onegin” di John Cranko, danzato da Manni in coppia con Roberto Bolle… E, al di là della nomina “a sorpresa”, si tratta di una scelta che non ha provocato critiche da parte degli esperti e della nicchia degli appassionati…
Tutt’altro tenore, invece, per la nomina da parte del Governo nel Consiglio di Amministrazione del “Piccolo” di Milano di uno dei figli del Presidente del Senato, Geronimo Antonino La Russa, che non può vantare specifiche esperienze e competenze nell’ambito culturale: le polemiche si sono scatenate e lo stesso Sindaco di Milano Giuseppe Sala ha manifestato perplessità, rispetto ad una nomina formalmente legittima ma senza dubbio discutibile…
Questo episodio ci consente di riproporre il tema scabroso delle “nomine” nei ruoli gestionali delle istituzioni pubbliche italiane: prevale – come andiamo denunciando da anni anche su queste colonne di “Key4biz” – una discrezionalità così estrema da produrre talvolta risultati ai limiti dell’incredibile… Eppure il problema emerge soltanto raramente sui media “mainstream”.
Ben oltre “il caso La Russa”…
A fronte di un “caso La Russa”, ci sono decine e decine di casi, a livello nazionale e regionale e locale, che richiederebbero la creazione di una normativa che possa garantire quella trasparenza e meritocrazia che pure vengono invocati a destra o a sinistra (o al centro), contraddetti, da decenni, da pratiche oscure e basse…
Su queste colonne del quotidiano online “Key4biz”, abbiamo segnalato la nomina del figlio del compianto leader democristiano Ciriaco De Mita nel Consiglio di Amministrazione di Cinecittà, avvenuta qualche mese fa, con la firma del Ministro Gennaro Sangiuliano, nel silenzio dei più. Anzi, nel silenzio totale, perché soltanto IsICult ha segnalato questa anomala cooptazione, non potendo il De Mita jr (Giuseppe De Mita) vantare particolari esperienze nel settore del cinema e dell’audiovisivo…
E che dire di quel Carneade che risponde al nome di Mauro Carlo Campiotti, cooptato in quota Ministero dell’Economia e delle Finanze ovvero nominato da Giancarlo Giorgetti nel Cda del Centro Sperimentale di Cinematografia (nel cui consiglio sono stati chiamate peraltro anche personalità artistiche e tecniche di qualità)? Il suo curriculum professionale non è nemmeno pubblicato sul sito web del Csc.
Anche in questo caso, nessuna lamentazione, nessuna polemica.
E siamo soli (o quasi) a denunciare le incomprensibili ragioni per le quali Chiara Sbarigia è stata nominata dall’allora Ministro Dario Franceschini alla guida di Cinecittà. La stessa Sbarigia (che poteva vantare un curriculum modesto assai, essendo stata per decenni soltanto la Segretaria dell’Associazione Produttori Audiovisivi – Apa) è stata poi eletta dall’associazione dei produttori televisivi alla guida della lobby Apa… E, anche qui, nessuno (a parte noi e più recentemente Stefano Iannaccone sul quotidiano “Domani”) ha lamentato una qualche certa inopportunità, se non un sempre latente conflitto di interessi…
E pochissimi – assieme a noi – hanno a suo tempo segnalato e lamentato la cooptazione di Claudia Mazzola, giornalista in carriera divenuta rapidamente dirigente Rai, alla guida della Fondazione Musica per Roma (alias l’Auditorium), per decisione discrezionale della allora Sindaca della Capitale Virginia Raggi?!
E che dire della silenziosa cooptazione della produttrice Manuela Cacciamani (che guida una delle sezioni della potente lobby Anica), nel silenzio totale dei media, nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Cinema per Roma?!
Continua a prevalere il “capitale relazionale”
Quali i criteri? Quali i meriti? Quali le logiche?
Una sola risposta: il succitato “capitale relazionale”.
Che, in interpretazioni maligne, può essere (o degenerare in) “clientelismo”, “nepotismo”, “familismo”, “lottizzazione”, ovvero in pratiche che ignorano (o rendono inutile o semmai “accessoria”) la qualità oggettiva di un curriculum professionale…
Potremmo continuare per pagine e pagine…
E potremmo affrontare anche, a livello più “alto” (istituzionalmente intese) le pratiche basse della partitocrazia che hanno portato alla composizione di consessi come il consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni o il consiglio di amministrazione della Rai: anche in questi casi, gestiti dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica (ovvero – in altre parole – dagli apparati partitocratici), la qualità professionale del “cooptato” è accessoria, rispetto a quel che definiamo da anni “capitale relazionale”.
Per quanto possa riconoscersi al “dominus” di turno un qual certo esercizio di discrezionalità nell’esercizio di nomine basate sull’“intuitu personae”, riteniamo che le nomine pubbliche dovrebbero essere sottoposte a procedure amministrativamente trasparenti e di valutazione comparativa.
Il che non avviene quasi mai.
Servono regole e servono procedure che riducano i margini attuali di discrezionalità.
La perdurante confusione della “politica culturale” italiana: insorge la Fieg per i tagli ai fondi all’editoria e si domanda perché tanto danaro pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo
Sui quotidiani di oggi, emerge la protesta della Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg), nella persona del Presidente Andrea Riffeser Monti, per i tagli al sostegno pubblico alla stampa quotidiana e periodica.
La federazione degli editori fa riferimento al Fondo Straordinario a sostegno dell’Innovazione nell’Editoria, che ammontava a 90 milioni di euro nel 2022 e a 140 nel 2023, e che – nella Legge di Bilancio in gestazione – non viene rifinanziato per i prossimi due anni.
“Appare singolare – scrive la Fieg – che la revisione della spesa sia particolarmente penalizzante nei confronti di un settore il cui ruolo e funzione è oggetto di diretta tutela costituzionale e risulti, invece, più contenuta negli altri comparti, peraltro con dotazioni di spesa assai più consistenti come i 75o milioni del Fondo Cinema, ridotti di 50 milioni”.
Questa dichiarazione è importante, perché sintomatica di come non esista, nell’attuale assetto del sostegno pubblico alla cultura, una visione di sistema, una valutazione tecnica e politica della valenza dei singoli comparti, un progetto strategico di crescita delle varie anime (artistiche, professionali, imprenditoriali).
Si è governata la “politica culturale”, per decenni, in assenza (perdurante) di analisi di settore, di studi di mercato, di valutazioni di impatto.
Ciò vale sia a livello di dinamiche inter-settoriali, sia infra-settoriali: come abbiamo segnalato tante volte su queste colonne perché i fondi pubblici a favore del cinema e dell’audiovisivo sono saliti fino a quota 750 milioni di euro, a fronte dei 400 milioni dei fondi pubblici a favore dello spettacolo dal vivo, ovvero teatro, musica, lirica, danza, circhi?!
Tutte queste dinamiche sono il risultato di pressioni delle lobbies e/o di fenomeni di inerzia conservativa, senza che mai lo Stato italiano abbia ritenuto di costruire un “sistema informativo” completo di valutazione delle ricadute del proprio intervento, a livello di estensione dello spettro espressivo, di incontro tra offerta e domanda, di ampliamento delle audience, ovvero – volendo alzare il tiro – di quella che potremmo definire “democrazia culturale”.
Si continua a governare nasometricamente, in perdurante assenza di strumenti tecnici per un governo “di sistema”
Si continua a navigare a vista, a governare nasometricamente, in tutti i settori o quasi del sistema culturale: attendiamo le nuove regole che dovrebbero aggiustare la rotta del fino a poco tempo fa tanto decantato “tax credit”…
La Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, finalmente resasi conto che qualcosa non funzionava nel meccanismo (è peraltro proprio di oggi la notizia che la Guardia di Finanza avrebbe scoperto una truffa nei confronti dei contributi della Regione Lazio di cui avrebbero beneficiato impropriamente quattro società di produzione…), ha confermato in questi giorni un imminente “decreto-ponte” che dovrebbe consentire il superamento di alcune storture e asimmetrie… E magari fosse l’occasione per finalmente avviare una riflessione sulle ragioni per le quali l’attuale assetto del sistema cinematografico e audiovisivo va a tutto vantaggio di pochi “big player” (peraltro controllati da multinazionali straniere), con buona pace dei produttori indipendenti…
Il dibattito sulla politica culturale italiana continua ad essere frammentato, anzi polverizzato, asfittico: ognuno dei settori (e, all’interno di un settore, ognuno dei comparti della filiera) cerca di tirare la coperta a proprio vantaggio, e se ne sbatte della visione di insieme, ignora una logica di sistema…
Si ha conferma di questo anche in una recente curiosa iniziativa promossa dall’ex Direttore Generale della Siae Gaetano Blandini (da gennaio scorso Presidente della un po’ misteriosa Fondazione Copia Privata Italia, che è emanazione della Siae stessa) e dal Direttore della Marche Film Commission (Fondazione Marche Cultura), Francesco Gesualdi, che hanno promosso giovedì 9 novembre un incontro alla Casa del Cinema di Roma dei partecipanti (oltre 260) alla chat – ad inviti – su WhatsApp denominata “W il Cinema W il Cinema Italiano”. Sono intervenuti all’incontro operatori del livello di Roberto Tozzi, Giannandrea Pecorelli, Tilde Corsi, Francesco Virga, Giorgio Gosetti… Dibattito stimolante, senza dubbio, ma è emerso un approccio tecnico-scientifico (se non tecnocratico) alle criticità in essere? No. Ancora una volta, no.
Ancora una volta – in assenza di analisi di scenario, in assenza di valutazioni di impatto, in assenza di studi e ricerche – ognuno ha rappresentato la propria esperienza ed ha portato acqua al proprio mulino…
Per esempio, Giorgio Gosetti, Presidente dell’Associazione dei Festival Cinematografici Italiani (Afic), ha lamentato che al settore dei festival cinematografici italiani (oltre 300, di cui un terzo rappresentati da Afic) arrivi una piccola fetta del complessivo sostegno pubblico al settore cinematografico e audiovisivo… Non una “piccola fetta”, ma in verità proprio le “briciole”. Gosetti ha perfettamente ragione, ma come può perorare al meglio la sua legittima causa, se non esiste un sistema informativo che consenta di dimostrare l’efficacia della macchina-festival nell’economia complessiva delle industrie dell’immaginario nazionali?!
Ci rendiamo conto che soltanto dopo lunga postulazione ed ostinate riproposizioni, il Ministero della Cultura ha accolto una proposta progettuale dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) per avviare il primo censimento e la prima mappatura di tutti i festival italiani, che si stima siano oltre 3mila in tutto il territorio nazionale?! È semplicemente, quello che si andrà a costruire con questo progetto d’avanguardia, un piccolo tassello di un mosaico di conoscenze che continua purtroppo ad essere assolutamente lacunoso: e, in assenza di questa visione di scenario e di sistema, si continua a “governare” con approssimazione grande ed estrema discrezionalità…
E che al Governo ci sia una maggioranza di centro-destra o di centro-sinistra non produce grandi differenze “metodologiche”.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.