Chiunque abbia provato almeno una volta a fare una lezione a una classe dalle medie in su – ma anche un’aula universitaria, e a volte perfino nella primaria – non può non averlo notato. Lui, il telefonino. Sotto il banco, manovrato senza farsi vedere, oppure apertamente esibito, magari senza che lo studente faccia nulla per nascondere la propria aria annoiata.
Lo smartphone è talmente parte integrante di noi – con il tic ossessivo-compulsivo che ci impone di tirarlo fuori dalla tasca o dalla borsa a ogni notifica – da ingigantire i comportamenti di questo genere quando i protagonisti sono i ragazzi. Loro con lo smartphone ci sono nati e cresciuti. Essere a scuola, per la maggior parte, non è un deterrente.
Scuola e banda larga, la situazione
Poi c’è la responsabilità degli insegnanti. Non di rado testardamente legati a un’idea di educazione che è la stessa da settant’anni, lezioni frontali e scarsa interazione, e soprattutto integrazione con le tecnologie più moderne, viste con sospetto quando non con dichiarata antipatia. Infine (ed è qui che le colpe sono più grosse) c’è l’abbandono di fatto della scuola da parte dello Stato: strumenti didattici antiquati ed edifici fatiscenti, che è già tanto se hanno un’ADSL attaccata a un computer tramite Ethernet. Ora, con la diffusione più capillare della banda ultralarga tramite fibra ottica (su SosTariffe.it si trovano le offerte più convenienti per il mercato domestico), la situazione può finalmente cambiare. Le resistenze ci sono ancora, soprattutto per una connessione che non si limiti alla possibilità di navigare su Internet ma si traduca in una vera e propria rete dedicata e condivisa tra le varie scuole: secondo gli ultimi dati di GARR, rete nazionale dell’istruzione e della ricerca che promuove la diffusione della banda larga tra gli istituti scolastici, in Italia le scuole connesse al Gruppo per l’Armonizzazione delle Reti della Ricerca sono solo 530, contro le 25mila connesse del Regno Unito (e tutte quelle greche, grazie a un progetto cofinanziato con fondi europei del 2004). L’inversione di tendenza, però, potrebbe essere alle porte, come dimostra il notevole aumento del traffico dati legato alle scuole degli ultimi tempi.
Attualmente il 55% delle scuole ha una connessione Internet ADSL, il 29% la fibra ottica. Le competenze interne, però, spesso sono molto scarse: uno dei problemi che la Buona Scuola ha cominciato ad affrontare, ma la strada è molto lungo. Basti pensare che gli e-book non vengono mai usati in circa metà degli istituti, malgrado i loro indubbi vantaggi rispetto al testo cartaceo.
Smartphone a scuola: reazioni e prospettive
A lanciare il sasso nello stagno è stata la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, parlando positivamente della possibilità di integrare lo smartphone in classe. In modo controllato e “ragionato”, ovviamente, anche per far sì che i ragazzi non siano ancora più esposti ai pericoli della Rete come cyberbullismo e fake news. Secondo Fedeli, «Se lasci un ragazzo solo con un tablet in mano è probabile che non impari nulla, che s’imbatta in fake news e scopra il cyberbullismo. Questo vale anche a casa. Se guidato da un insegnante preparato, e da genitori consapevoli, quel ragazzo può imparare cose importanti attraverso un media che gli è familiare: internet. Quello che autorizzeremo non sarà un telefono con cui gli studenti si faranno i fatti loro, sarà un nuovo strumento didattico».
Apriti cielo: da una parte si è parlato apertamente di “fallimento educativo”, dall’altra si è salutata l’innovazione, ma la discussione ancora non accenna a placarsi. Smartphone sì o smartphone no? A sorpresa ha storto il naso uno dei più noti giornalisti del digitale in Italia, Riccardo Luna, un tempo alla guida dei “digital champion” e oggi direttore dell’AGI: «Immaginate per un istante una classe dove gli studenti hanno il telefonino acceso con le notifiche di Whatsapp, di Instagram, la possibilità di girare video di nascosto o fare chissà che. Cosa aggiunge questo alla didattica non è chiaro, ma è chiarissimo cosa leva in termini di concentrazione. Uno studio fatto in Inghilterra dimostra che nelle scuole dove non c’è il telefonino in classe gli studenti vanno molto meglio. E anche in Italia recentemente è stato fatto un esperimento in una scuola al termine del quale gli studenti hanno ringraziato». Del problema si è occupato perfino il Vaticano, per bocca del prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, il cardinale Giuseppe Versaldi, affermando che «Quando si diffondono nuovi strumenti c’è sempre una certa paura che possano essere negativi, ma anche nel caso dello smartphone mi pare che la scuola possa essere il luogo più adatto dove insegnare agli studenti un utilizzo critico».
Come funzionano le app educative all’estero
Ma gli smartphone – o più genericamente, i tablet e soprattutto lo strumento software numero di questi dispositivi, ovvero le app – possono davvero servire in ambiente scolastico? Soprattutto: come vanno le cose negli altri Paesi dove l’approccio mobile viene accolto con totale naturalezza, ad esempio negli Stati Uniti?
Di sicuro con il ritorno a scuola di quest’anno i download delle app educative ha mostrato un notevole piccolo, il 75% su iOS e Google Play negli USA. Anche Apple, nel suo recente redesign dell’App Store con iOS 11, ha fatto in modo di enfatizzare l’importanza del settore educativo. Un’analisi delle applicazioni educative più utilizzate effettuate da App Annie ha visto al primo posto la Bibbia in versione digitale (inequivocabile segno del ruolo della religione che permane nelle scuole), seguita da Remind, il sistema di instant messaging e reminder di orari e lezioni pensato apposta per la scuola, ClassDojo e Duolingo, la piattaforma più utilizzata per l’apprendimento linguistico. In particolare, ClassDojo si classifica ai primi cinque posti sia in Inghilterra che negli Stati Uniti: l’applicazione è rivolta ai bambini fino ai 12 anni e ai loro genitori, grazie a una piattaforma di comunicazione che consente di rivolgersi sia ai singoli alunni che alla classe intera, i genitori e gli amministraori, gestendo le classi e facendo sì che da casa sia possibile controllare i progressi del bambino.
Buone posizioni anche per Memrise, altra applicazione dedicata all’apprendimento delle lingue, iTunes U – la sezione di iTunes che consente di pubblicare e seguire lezioni delle università più prestigiose – e TED, l’app dedicata alle celebri conferenze motivazionali della The Sapling Foundation. Chissà: un po’ di ispirazione forse servirebbe anche da noi.
Fonti: https://www.appannie.com/en/insights/top-trending-apps/top-education-apps/