La navigazione di internet non è mai davvero in solitaria, abbiamo imparato nel tempo che ci può sempre essere qualcuno che ci spia, che ci segue più o meno di nascosto. Sappiamo anche, in linea di massima, chi può essere questo qualcuno e a volte è lo Stato.
Sorveglianza di massa su internet
Negli ultimi due anni, nel Regno Unito, l’Home Office, il ministero degli Affari Interni (omologo del nostro ministero dell’Interno), sta sperimentando diversi sistemi e strumenti di raccolta dati sulle attività dei cittadini online, per quello che le associazioni di attivisti per i diritti di internet e per la difesa della privacy hanno chiamato senza mezzi termini: “un sistema di sorveglianza di massa statale”.
Sostanzialmente, secondo l’accusa, lo Stato avrebbe costruito e testato silenziosamente una tecnologia di sorveglianza in grado di registrare e memorizzare la navigazione web di ogni singola persona in tutto il Paese per poi dare vita a dei “record di dati segreti”.
I primi test sarebbero partiti nel 2019.
L’accusa
Gli attivisti dell’Open Rights Group denunciano una campagna governativa di “raccolta e conservazione di massa di dati su quello che i cittadini fanno su internet”, in piena violazione delle leggi sulla privacy, senza la minima trasparenza necessaria in questo tipo di operazioni, almeno per non destare sospetti e timori tra la popolazione.
Tutto è nato da un Rapporto esclusivo pubblicato su Wired UK, in cui si delinea un piano dell’Home Office di monitoraggio di massa sull’utilizzo di internet, finalizzato al miglioramento dei livelli di sicurezza nazionale e di operatività delle Forze dell’Ordine nella lotta al crimine organizzato e al terrorismo interno ed internazionale.
Secondo il documento, gli Affari Interni stanno collaborando con la National Crime Agency per raccogliere numerosi “record di connessione Internet” (o ICR), che contengono informazioni sui siti web visitati da parte degli utenti, su cosa è stato visto e scaricato.
La difesa
Sull’argomento, l’Home Office ha dichiarato pubblicamente che si tratta di una raccolta di metadati, non riferibili a nessuno in particolare, neanche riferibili a contenuti specifici che si sono selezionati nella ricerca, o alle stesse pagine web navigate.
La sperimentazione portata avanti dal Governo ha coinvolto due provider nazionali e si fa scudo dell’Investigatory Powers Act 2016, con l’obiettivo di capire come raccogliere i dati sull’utilizzo di internet da parte dei cittadini, quali dati raccogliere e come poterli usare nelle indagini di polizia.
Dei principali provider internet del Regno Unito, solo Vodafone ha confermato di non essere coinvolta in alcun test che implichi l’archiviazione dei dati di navigazione riferibili a singoli cittadini. I portavoce di BT, Tre e Virgin Media, invece, si sono rifiutati di fornire commenti su qualsiasi tipo di azione riferibile all’IPA.