Si chiama Solidarietà Digitale ed è un progetto promosso lo scorso 27 febbraio dal ministero dell’Innovazione nel quadro dell’emergenza del Coronavirus per “…intraprendere una serie di azioni per essere a fianco dei nostri cittadini e delle nostre imprese – come ha dichiarato la ministra Paola Pisano – utilizzando servizi e soluzioni innovative…”.
“I servizi che vogliamo rendere disponibili – continua la ministra Paola Pisano – hanno il comune obiettivo di migliorare la vita delle persone che in questo momento si vedono costrette a cambiare le loro abitudini permettendo di:
- lavorare da remoto, attraverso connettività rapida e gratuita e l’utilizzo di piattaforme di smart working avanzate;
- leggere gratuitamente un giornale anche senza andare in edicola o un libro senza andare in libreria sul proprio smartphone o tablet;
- restare al passo con i percorsi scolastici e di formazione, grazie a piattaforme di e-learning”.
È una iniziativa che parte di certo da buone ragioni e anche il nome è nobile, ma che solleva gravi dubbi.
Si tratta in effetti di una serie di offerte gratuite (20 offerte promosse da 13 aziende o gruppi industriali) con diverso profilo.
Si va dalle quelle del Gruppo GEDI (La Stampa. La Repubblica, Il Mattino di Padova), che offre tre mesi di abbonamento gratuito a tutti i residenti delle zone rosse, alle offerte degli operatori di telecomunicazioni (Fastweb, Vodafone,TIM, Eolo), che offrono servizi gratuiti e GB in più agli abbonati delle zone rosse. Seguono quindi altre offerte da parte di imprese minori, strutturate con modalità contenute nel tempo: dalle due settimane di uso gratuito della piattaforma di smart-working di Connexia all’anno di Libero Mail PEC gratuita di Italiaonline.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di offerte di maggior disponibilità di servizio assicurate a clienti già in essere o di servizi del tutto limitati (anche nella raccolta di dati).
Quello che invece balza agli occhi è che alcune altre offerte hanno un vero e proprio carattere di intercettamento di nuova domanda, che impropriamente viene messa in essere sotto l’egida di una iniziativa lanciata dal ministero dell’Innovazione.
È il caso del gruppo Amazon (presente con tre suoi marchi: AWS, Amazon e Amazon Prime). Nel primo caso si offre un pacchetto di crediti cloud per PA e imprese. Nel secondo caso si offrono gratuitamente webinar di formazione, della durata un’ora e trenta, su materie STEM e destinati ai docenti della scuola primaria e secondaria di I° grado delle zone rosse, durante i quali verranno presentati strumenti gratuiti in grado di creare un innovativo “kit” per progetti in classe. Un modo, senza dubbio, per agganciare i professori ed entrare nelle scuole con servizi destinati agli studenti. Infine, nel terzo caso si mette gratuitamente a disposizione degli utenti residenti in zona rossa la piattaforma di streaming Prime Video fino al 31 marzo 2020.
Ancor più evidente il caso di Microsoft, che offre gratuitamente tecnologia ed esperti IT per permettere l’adozione di soluzioni di smart-working, anche in mobilità, per PMI, imprese private e pubbliche, istituzioni e scuole, sia già clienti che no.
A questo punto chiediamo alla ministra Paola Pisano due cose.
La prima è perché mai ha creato questa struttura di offerta privata sotto l’egida del ministero dell’Innovazione. È possibile che non sia venuto in mente a nessuno la inopportunità di aggregare una offerta privata a beneficio delle zone colpite? A nessuno è venuto in mente che non si tratta di servizi come altri, che non c’entra nulla l’innovazione al servizio del Paese, come è stato pomposamente detto dallo stesso ministero? I servizi di pubblica utilità li fa lo Stato. Le aziende possono, davvero encomiabilmente, offrire servizi offrendoli a questa o quella parte di popolazione, come accade nei casi di terremoto, ma senza poter disporre impunemente di un marketing di Stato che più che inopportuno è indebito. Possono offrirli e usare i propri mezzi di comunicazione e la stampa per comunicare le offerte. Non usufruendo impunemente di un marketing di Stato.
La seconda è che sia Amazon che Microsoft (che sono maestri nella raccolta dati) potranno disporre di dati preziosi su comportamenti ed esigenze di utenti costretti da situazioni emergenziali come quelle da coronavirus a regimi differenti rispetto alla ordinaria quotidianità. Che uso si farà di questi dati abilmente raccolti, dotati di alto tasso di appetibilità, prevedibilmente ceduti su mercati dove operano centinaia di aziende specializzate nella compravendita di dati all’ingrosso e al dettaglio, tra i quali quelli legati a situazioni di tipo sanitario sono i più pregiati. Come ha già rilevato Michele Mezza con il video che pubblichiamo in altra pagina di Key4biz di oggi (Coronavirus, progetto Solidarietà Digitale con Amazon e Microsoft. Ma chi userà i dati dei cittadini?), resta da chiedersi perché questi dati non siano destinati in condivisione a ministero della Salute, Protezione Civile e altri apparati coinvolti nelle attività di contenimento del coronavirus.
Fatte queste osservazioni, non ci resta che chiederci se sulla vicenda non possa o debba intervenire il Garante per la protezione dei dati personali, dal momento che dati raccolti anche secondo modalità previste dalla norma, ma raccolti con operazioni anomale rispetto alla ordinaria dinamica di mercato non possono essere condotte come se nulla fosse e tutto fosse normale.
Insomma, ancora una volta una iniziativa del ministero dell’Innovazione che potremmo definire poco ponderata, ancorché ammantata da una narrazione in base alla quale tutto ciò che ha a che fare con l’innovazione ha segnale verde, senza che alcuno si chieda quale sia il livello di rispetto di norme e procedure o, come in questo caso, di buon senso e di opportunità.