L’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) è notoriamente un centro di ricerca indipendente specializzato sulle politiche culturali, le economie mediali, le dinamiche sociali, oltre ad essere il curatore da molti anni della rubrica “ilprincipenudo” sul quotidiano online “Key4biz”: la duplice e parallela e interagente attività di ricerca specializzata e di monitoraggio mediale ci consente di puntare spesso i riflettori anche su tematiche che non beneficiano dell’attenzione che meriterebbero…
E ci consente di analizzare criticamente tesi e documenti che spesso il sistema dei media accoglie in modo asettico: come prevedevamo ieri su queste colonne (vedi “Key4biz” del 26 luglio 2023, “Fondazione Symbola e Impresa Cultura Italia: nuovi numeri (fantasiosi?) sulla struttura e l’economia del sistema culturale italiano”), i quotidiani di oggi dedicano attenzione al rapporto annuale presentato ieri dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere sul sistema culturale italiano… Non si tratta di una ricaduta mediale eccezionale (ricordiamo che anni fa il quotidiano confindustriale “il Sole 24 Ore” dedicava a Symbola incomprensibili lenzuolate di attenzione, al punto da far pensare si trattasse di pubblicità redazionale…), ma certamente significativa. E vengono riprodotte quelle incerte numerologie che abbiamo sottoposto ieri ad attenta analisi critica (rispetto ai deficit metodologici, in primis l’uso ed abuso dei “codici Ateco”): “valore aggiunto” del sistema culturale di 95,5 miliardi di lire, una stima di 1,5 milione di “occupati”… a fronte di ben 275mila “imprese”… Ed ancora: il valore aggiunto creato nel resto dell’economia sarebbe di 176,4 miliardi, con un “totale” della “filiera cultura” di 271,9 miliardi di euro… e, ancora, fantasiosamente: “per ogni euro di valore aggiunto (nominale) prodotto da una delle attività del settore, se ne attivano altri 1,8 sul resto dell’economia”. Boom! Chi più ne ha ne metta…
Come è possibile governare bene un sistema, allorquando le analisi sulla sua struttura e sulla sua organizzazione sono così… approssimative?
Ce lo domandiamo da molto tempo, ma purtroppo non ci sembra che lo stesso quesito se lo pongano (se lo siano posti) coloro che si sono avvicendati alla guida del Ministero della Cultura. Si spera sempre in qualche tardivo ma prezioso ravvedimento…
E curiosamente pochissima anzi quasi inesistente ricaduta giornalistica e mediale dell’altra ricerca curiosamente presentata ieri in contemporanea da Impresa Italia Cultura – Confcommercio, che molto dovrebbe far riflettere, se prendiamo per buoni i dati dell’indagine demoscopica affidata a Swg, secondo la quale soltanto 1 intervistato su 4 valuta “buona” l’offerta culturale del proprio territorio, mentre la maggior parte la considera insufficiente, se non del tutto assente. E la situazione nelle regioni del Mezzogiorno è tragica. Secondo questo studio, peraltro, a livello complessivo nazionale, i consumi culturali nell’ultimo trimestre avrebbero avuto un andamento ambivalente, con una riduzione della percentuale di soggetti che dichiarano di spendere denaro in attività culturali, ma con un generale aumento della spesa media per ogni singola attività. In altri termini, si riduce la platea complessiva, ma aumenta la spesa da parte degli appassionati.
Sostanzialmente quel fenomeno di “desertificazione culturale” che abbiamo segnalato più volte anche su queste colonne continua ininterrotto…
Nonostante il caldo torrido, il “sistema culturale” continua mostrare vitalità ed attivismo e qualche iniziativa merita essere segnalata, nel costante monitoraggio cui si dedica IsICult, e di cui beneficiano in qualche modo anche i lettori di Key4biz.
La Rai si dissocia da sé stessa: la Presidente versus l’Amministratore Delegato?
La notizia odierna forse più interessante, perché sintomatica delle patologie del sistema, è un comunicato diramato oggi pomeriggio dall’Ufficio Stampa Rai: la Presidente che si dissocia dall’Amministratore Delegato.
Se ieri Roberto Sergio dichiarava che il programma di Roberto Saviano veniva “congelato”, oggi Marinella Soldi propone che la porta del frigorifero venga riaperta. È interessante leggere il testo della sua dichiarazione (anche per le naturali interpretazioni “tra le righe”): “Una premessa: l’Amministratore Delegato della Rai, secondo le norme, ha autonomia decisionale sulla gestione aziendale e sui programmi. Come Presidente svolgo il mio ruolo a garanzia degli utenti e dell’azienda, ricercando un approccio costruttivo; le valutazioni politiche non mi appartengono. Proprio in virtù del mio ruolo ritengo oggi di dover intervenire sul cosiddetto caso Saviano, che molti hanno paragonato al caso Facci. Vicende diverse, per quel che ciascuno ha detto e per le tipologie di programma”.
E precisa la Presidente: “la trasmissione “Insider – faccia a faccia con il crimine” condotta da Roberto Saviano è un prodotto nello spirito del servizio pubblico, parla di mafia e di legalità, ha avuto un primo ciclo di successo, con un gradimento del pubblico superiore alla media degli approfondimenti Rai (dati Qualitel Tv 2022)”. Interessante la precisazione, anche se avremmo omesso la citazione della controversa fonte Qualitel, che notoriamente evidenzia sempre grande generosità (secondo Qualitel, la Rai è sempre… al meglio!). E conclude: “fermo restando il rispetto dovuto alle Istituzioni, auspicherei un supplemento di riflessione interna per ricercare, in tempi idonei, una soluzione gestionale nell’interesse degli utenti e dell’azienda, tenendo conto, tra l’altro, che si tratta di un programma già registrato”.
Da non crederci
Se fossimo in un Paese normale, cotanta vocazione dialettica (nota bene: manifestata… fuori dalle sempre ovattate stanze del Settimo Piano di Viale Mazzini) potrebbe essere apprezzata, ma la questione è invece piuttosto sintomatica di come la Rai sia affidata ad incerta “governance”, e la nuova maggioranza di Governo non è in grado di stimolare processi decisionali univoci. Altro che “artigli della destra” sulla cultura…
“Di grazia!” – potrebbe domandarsi il cittadino utente (comunque pagatore del canone Rai) – “fate pace con il cervello, decidetevi, se si tratta di un programma già prodotto, perché Saviano deve essere killerato in itinere soltanto perché tende a criticare aspramente e, anzi, a talvolta insultare i Ministri di questa maggioranza” (Matteo Salvini, da ultimo definito… “Ministro della Mala Vita”, senza dimenticare la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, target di variegate sue critiche)?
Siamo convinti che una parte significativa della popolazione italiana la pensi come Roberto Saviano, e forse un “servizio pubblico” deve dare spazio anche a forme di pluralismo finanche… “estremo”.
E ben venga – per capirci – la “tolleranza” con la quale Viale Mazzini tratta Sigfido Ranucci, che ha martellato in modo duro sui comportamenti “inopportuni” di Daniela Santanché, in sintonia con “Il Fatto Quotidiano”, che ancora oggi accusa (dimostra?!) che la Ministra del Turismo continua a dir “bugie”, nonostante la “assoluzione” di ieri in sede parlamentare…
Il sempre attento Redattore Anonimo del più accurato blog su Viale Mazzini, “BloggoRai”, estrapolava una chicca da una intervista all’Ad Roberto Sergio, ieri sul quotidiano “il Messaggero”: “la Rai non può esimersi dal rapporto con la politica. È importante però che la poi la politica non condizioni la Rai. A differenza di alcuni dei miei predecessori, che non incontravano la politica incontrandola, io la incontro ma non mi faccio condizionare nelle scelte aziendali”. E commenta BloggoRai (giustamente): “ipse dixit”!
Giancarlo Giorgetti (titolare del Mef): prospettive variegate per il canone Rai. Angelo Bonelli (Verdi e Sinistra) “legare il canone Rai alle utenze dei cellulari è scandaloso e paradossale”
Oggi il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è intervenuto in audizione, di fronte della Commissione Parlamentare di Vigilanza, ed ha prospettato che il pagamento del canone Rai in futuro potrebbe essere legato al possesso di un device mobile, smartphone, tablet o pc, e non più solo a quello di apparecchi televisivi, come invece accade oggi, considerando il cambiamento delle modalità di fruizione dei contenuti radiotelevisivi. Si fa strada una possibile riduzione progressiva dell’ammontare dell’imposta, a seconda della sua modulazione, meno la prospettiva di una abolizione del tributo, richiesta nei mesi scorsi da un ordine del giorno presentato dalla Lega in Senato.
L’audizione del Ministro di fronte alla Commissione presieduta da Barbara Floridia (M5s) apre il ventaglio delle ipotesi sulle possibili modifiche allo studio delle modalità di pagamento dell’imposta per la fruizione dei servizi erogati dalla tv di Stato. Si nutre la netta impressione che la confusione sia ancora tanta, ed una soluzione concreta ben lontana dall’essere operativa. Si naviga a vista, insomma.
Come è noto, dal 2016 il canone, 90 euro, si paga all’interno della bolletta dell’energia elettrica, ed attualmente viene spalmato a rate tra gennaio e ottobre. Il titolare del Mef ha spiegato che il primo passo deve essere “la definizione dei costi del servizio” (con un riferimento a possibili risparmi da una diversa gestione delle esternalizzazioni, dall’alienazione di immobili del patrimonio Rai e di quote di Rai Way) e solo dopo si potrà affrontare la questione su come pagare.
Le risorse generate attualmente dal canone ammontano a 1,85 miliardi di euro. Giorgetti disegna come primo obiettivo la possibilità di estrarre la quota degli investimenti dalla tassazione sulla tv per far scendere l’importo…
Dalla maggioranza, Fratelli d’Italia prospetta di rivedere la destinazione attuale di parte degli introiti del canone che vanno al fondo dell’editoria.
La Presidente della Vigilanza Barbara Floridia chiede vengano “garantite sempre e comunque risorse adeguate” al funzionamento dell’azienda. Ma come si quantificano le “risorse adeguate”, in assenza di dati trasparenti e di analisi accurate?! Abbiamo già segnalato su queste colonne come sia fragile il “sinallagma” tra “prestazioni” e “controprestazioni”, nel “contratto di servizio” in gestazione (ci torneremo presto).
Maurizio Gasparri (Forza Italia): “l’editore sostanziale della Rai è il Parlamento cioè la Commissione di Vigilanza”
Secondo il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, componente della Commissione di Vigilanza, l’intervento di Giorgetti avrebbe prodotto “importanti chiarimenti sul canone e sul finanziamento del servizio pubblico. Condivido l’invito di Giorgetti alla parsimonia, per quanto riguarda la Rai, e all’assolvimento con imparzialità dei doveri del servizio pubblico”. Gasparri ribadisce che “l’editore” della Rai” è il Parlamento: “nel mio intervento ho sottolineato che l’editore sostanziale della Rai è il Parlamento, sede della rappresentanza e della garanzia del pluralismo. La Commissione di Vigilanza svolge ruolo prezioso, fondamentale e si deve ritenere l’editore autentico della Rai. Ho anche esortato il Ministro Giorgetti, nel garantire un adeguato finanziamento al servizio pubblico, a intensificare l’azione volta a tassare i giganti della rete”.
Insorge invece il co-portavoce nazionale di Europa Verde, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra ed anche lui componente della Commissione di Vigilanza Rai, Angelo Bonelli: “la proposta del ministro Giorgetti di legare il canone Rai alle utenze dei cellulari è scandaloso e paradossale. Come afferma lo stesso ministro, le utenze telefoniche mobili sono 107 milioni nel nostro Paese, ne consegue che, nei fatti, la proposta della Lega è quella di far pagare il canone Rai, ad esempio, anche agli studenti e ad ogni componente di un nucleo familiare. Sempre più spesso anche i preadolescenti hanno un telefono cellulare, quindi si dovrebbe far pagare il Canone anche, a esempio, a un 12enne che possiede uno smartphone? Ecco come questo governo continua a proporre tasse su tasse, tutte sulle spalle delle famiglie, ma non ha il coraggio di tassare gli extraprofitti delle multinazionali del fossile”.
Riteniamo che questo odierno florilegio di dichiarazioni consenta di comprendere come “lo stato dell’arte” del dibattito sulla Rai, sulla sua “mission” e sulle risorse sia ancora ad uno stadio primitivo, elementare, anzi rozzo, in assenza – anche in questo caso – di analisi comparative internazionali che possano chiarire meglio la funzione del servizio pubblico mediale nell’habitat digitale.
E – si ribadisce – permane la grave assenza di dibattito pubblico, di confronto con la società civile, rispetto al “contratto di servizio”.
La bella rivista “SegnoCinema” muore, nel silenzio dei più: il cinema italiano sarebbe “sano”?
Voltiamo pagina: nel silenzio dei più, con una eccezione soltanto, è giunta la notizia che una delle più appassionate ed accurate riviste italiane di critica cinematografica qual è “SegnoCinema” chiude…
In un bell’editoriale della qualificatissima rivista “Film & Tv” (diretta da Maurizio Gervasini, edita da Tiche Italia, si autodefinisce “l’unico settimanale di cinema tv musica spettacolo”, giunto al 31° anno), nel numero in edicola (il n° 30, uscito martedì scorso 25 luglio 2023), Gianni Canova ricorda come abbia lasciato la dimensione terrena colui che ha co-fondato la rivista “SegnoCinema”: “la morte prematura di un amico come Mario Calderale, scomparso lo scorso 18 luglio, ci induce a rivedere in modo radicale alcuni dei nostri pregiudizi più diffusi. Per 40 anni, dai primi anni 80 fino a un paio di mesi fa, Mario Calderale ha garantito l’uscita puntuale della rivista che aveva co-fondato nel 1981, “Segnocinema”. 240 numeri. Uno ogni due mesi. Senza saltare mai un’uscita. Senza mai pietire elemosine, finanziamenti, aiuti. Progettando ogni volta il nuovo numero, attribuendo i pezzi, scegliendo i collaboratori, aiutando i più giovani a crescere e incoraggiandoli a continuare. Dalla sua Vicenza, a partire dal Cineforum che sosteneva anche economicamente il progetto editoriale, Mario ha fatto di “Segno” una rivista nazionale”.
E ricorda come “sulle sue pagine hanno esordito critici di generazioni diverse (compreso chi scrive…), si sono svolti dibattiti importanti, sono apparsi saggi illuminanti. Mario non ha mai cercato di trasformare la sua creatura in una rivista di fascia A (quelle che servono per i concorsi universitari e che nessuno legge al di fuori delle nicchie accademiche). Né ha mai cercato di diventare una “firma” della critica cinematografica. Orgoglioso della sua indipendenza e autonomia, Mario ambiva più che a scrivere a leggere analisi, recensioni e contributi che lo aiutassero a capire meglio, a vedere meglio e a nutrire di nuovi stimoli il suo amore per il cinema. È stato un uomo gentile, Mario Calderale. Acuto, curioso, informato, appassionato. Ma anche preciso, pignolo, caparbio, determinato”.
“La sua rivista muore con lui. Il direttore responsabile Paolo Cherchi Usai l’ha annunciato in modo inequivoco, senza lasciare spiragli per possibili rinascite (…) Però quando una rivista di cinema chiude, il mondo del cinema dovrebbe sentirsi quanto meno in lutto. Invece “Segnocinema” scompare nel silenzio e nel disinteresse di quasi tutti quelli che il cinema lo fanno, registi e produttori, attori e sceneggiatori”.
Gianni Canova (Iulm): “il cinema vive non solo di film, ma anche dei discorsi sociali che si producono intorno ai film”
Questa considerazione dovrebbe stimolare una riflessione collettiva, anche in coloro che sostengono che “il cinema italiano è sano” (in primis il sempre sorridente Presidente dell’Anica Francesco Rutelli e con lui la sempre entusiasta Sottosegretaria Lucia Borgonzoni): “un tempo, quando il cinema era grande, gli uomini di cinema sostenevano le riviste, ci scrivevano, le aiutavano. Erano consapevoli – continua Canova – che il cinema vive non solo di film, ma anche dei discorsi sociali che si producono intorno ai film e a partire dai film. Oggi non è più così. È un segno dei tempi anche questo. Di fronte a una rivista che muore dopo 40 anni di militanza appassionata e indipendente un paese civile e un sistema sano dovrebbero cercare di farsene carico: con la metà della metà dei finanziamenti concessi a uno dei tanti filmetti che nessuno va a vedere una rivista come “Segnocinema” potrebbe sopravvivere per anni. Ma nessuno ci pensa. Nessuno ci prova. Così “Segno” se ne va con il suo timoniere. E noi non possiamo che salutare l’uno e l’altra con un abbraccio di grata e furente mestizia”.
Ci associamo alla “furente mestizia” di Gianni Canova, che è un apprezzato critico cinematografico, oltre che saggista e ricercatore (dal 2018 è anche Rettore della Libera Università di Lingue e Comunicazione – Iulm di Milano).
Come non condividere la sua considerazione critica “con la metà della metà dei finanziamenti concessi a uno dei tanti filmetti che nessuno va a vedere una rivista come “Segnocinema” potrebbe sopravvivere per anni”. Non soltanto con la metà del sostegno ministeriale ad uno dei “tanti filmetti”, ma anche semplicemente attingendo ai fondi per la “promozione” che il Ministero assegna al settore…
Ricordiamo comunque che lo stesso Gianni Canova è anche Direttore Editoriale della rivista “Ottoemezzo”, che viene edita da Cinecittà: una rivista intellettualmente colta e di elegante fattura estetica, che ha una distribuzione semi-clandestina eppure costa centinaia di migliaia di euro l’anno (ad aprile è stata inaugurata una nuova serie, con rinnovato layout)… A proposito, il costo della lussuosa testata non è indicato nel bilancio di Cinecittà spa, ma questo riguarda il tema… “trasparenza”. E, ancora, “a proposito” (di trasparenza): a fine marzo 2023, il Cda di Cinecittà ha approvato il “bilancio di esercizio” per l’anno 2022: come mai, a distanza di 4 mesi, questo documento non è disponibile sul sito web degli “studios” di Via Tuscolana? E, ancora più curioso, come mai, non risulta ad oggi nemmeno depositato presso la Camera di Commercio?! Ulteriori nebbie si addensano su Via Tuscolana, ma su questo torneremo presto…
Rilanciamo la lamentazione di “Film Tv” e domandiamo al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – noto cultore anche della “carta stampata” (libri e riviste, non nella loro versione digitale) – se, in casi come questo, non sarebbe opportuno intervenire, in modo deciso ed urgente?!
Lasciamo morire così “SegnoCinema”?!
Mentre c’è chi resta convinto delle “magnifiche sorti e progressive” del cinema italiano?!
Un cinema “made in Italy” che, in verità, al “box office” sta anch’egli peraltro morendo…
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.