Per ognuno di noi, internet conserva un registro mnemonico, un data base storico fatto di foto, commenti, presenze, video, che rappresentano la presenza tangibile del nuovo modo di essere presenti nell’universo online. Con la rivoluzione digitale la comunicazione diventa testimonianza digitale, per molti, sinonimo di verità indiscutibile sulla spinta dell’assoluta neutralità di uno spazio bianco che negli anni si è riempito dei contenuti immessi dagli utenti. Contenuti che oggi sono gli stessi ad orientare la riflessione verso la strutturazione di interventi di prevenzione volti ad utilizzare il digitale con consapevolezza e responsabilità.
Educazione agli schermi quindi che è anche educazione rispetto ai contenuti di ciò che si vuole diffondere, condividere ed eventualmente perdere. Perché di perdita si tratta, nel momento in cui, è stato ampiamente dimostrato, che ciò che viene immesso in rete non è più di nostra proprietà ma della Grande Ragnatela Mondiale che conserva, ritrova, lega, connette, studia, impronte digitali che riconducono ad un Noi collettivo che collettivamente orienta e anima gli algoritmi della nostra società. Prove digitali, che non hanno bisogno di interpretazioni o riscontri oggettivi perché quel che c’è basta e non si mette in discussione.
Senza ombra di dubbio, il nostro essere presenti nel mondo digitale assume oggi caratteri rilevanti per la nostra reputazione anche offline tanto che multinazionali importanti stanno iniziando ad integrare valutazioni curricolari con analisi della presenza digitale.
Figure professionali nuove come il Social Media Manager testimoniano l’andamento di una società del futuro che tiene in debito conto l’importanza di quanto viene immesso in rete come messaggio non solo ludico, distraente e relazionale ma anche professionale.
Mai come oggi l’identità personale di ciascuno di noi può essere rilevata con rilevazioni digitali che, se condotte con capacità critica dettagliata e tecnologicamente guidata, può essere attendibile quanto una batteria di test specifici.
Nel connubio tra attività online e offline, intrecciate da rilevazioni algoritmiche che guidano le nostre scelte i nostri gusti e le nostre decisioni, il dare il giusto peso a ciò che si immette in rete è oggi uno degli elementi più rilevanti per la costruzione della nostra identità digitale che viene e verrà sempre di più considerata per la valutazione della nostra persona anche nel versante professionale.
Nella frenesia della pubblicazione online volta alla visibilità epidemica in un mondo che non conosce confini e che può velocemente, spesso senza troppo impegno e sforzo, farci apparire con qualità e super poteri che eliminano le nostre debolezze, timidezze e volontà di compiacere a colpi di touch, si rischia di perdere lucidità nella riflessione che lega il confine del nostro privato con la nostra sfera pubblica. Tutto è pubblico in rete, qualsiasi contenuto immesso può essere taggato come forma di comunicazione che se presente può agli occhi degli utenti essere osservata, monitorata, studiata e di riflesso influenza la nostra valutazione personale offline.
Il passaggio tra il pensare e l’essere, memo cartesiano del cogito ergo sum, è stato stravolto dalla rivoluzione digitale nel pubblico quindi sono lasciando da parte il pensiero che oggi come non mai ha bisogno di essere legittimato a tessera costitutiva dell’essere e dell’essere in relazione.
Sembra paradossale che sia lo stesso Facebook che ci incita a farlo nel quesito principe delle bacheche personali. Quel a che cosa stai pensando che nella trasmissione di contenuti nei social si è trasformato in cosa stai facendo condensandosi in immagini e video nella trasposizione più in voga nei giovani.
Si pubblica il fare nei social, sulla spinta di moti adolescenziali che del fare ne hanno fatto legittimazione sociale di un gruppo che nell’aggregazione online diventa muro compatto che respinge e blocca intrusioni, spesso sotto forma di controllo e di punizione, dei grandi.
Se da una parte i giovani tengono poco in considerazione che il registro digitale conserva tutto, nella nuova dimensione di un archivio di silicio affidabile e ordinato della nostra a lungo termine, gli adulti dovrebbero e devono agire da pensiero riflessivo che blocca impeti poco consapevoli nella coloritura delle pagine online.
Adulti poco consapevoli dovrebbero ricordare che il registro digitale conserva immagini, foto, video, cattura azioni anche senza il nostro consenso, lega persone mai conosciute direttamente e che entrano nelle nostre case, nelle nostre tavole nella nostra intimità nel risvolto generazionalmente disastroso di un conservare che diventa consegnare al pubblico quanto di più importante ci sia: la vita stessa.
Immagini di bambini appena nati, di ecografie, di primi passi che si trovano di fronte lo schermo che cattura e condivide scoperte e progressi piuttosto che ritrovare lo sguardo compiaciuto di mamma e papà, che riconosce, sostiene, rispecchia e sigilla il primo tassello verso il riconoscimento di sé. Azioni tutte che inaugurano quell’imprinting digitale, poco consapevole, di tanti adolescenti sulla strada del pubblico quindi sono. Non si conserva, si diffonde, si agisce e nel fare si rischia di perdere capacità di riflessione e pensiero, colpa digitale transgenerazionale che rischia di creare un magma digitale in cui si fa fatica a riconoscere comportamenti corretti e buone prassi educative.
Foto, commenti, video, vetrina social, in un mondo in cui essere online con criticità, consapevolezza, responsabilità può fare la differenza rispetto anche alle carte vincenti per le nuove professioni del futuro, il cui ruolo della famiglia e della scuola risulta essere fondamentale. Genitori e insegnanti uniti insieme verso la costruzione del futuro delle nuove generazioni, in cui l’educazione digitale si struttura in una formazione specifica sull’utilizzo delle immagini, sul pensare ed agire in termini digitali con spirito critico che porti a riconoscere che il dono di pezzetti di sè deve essere considerato un privilegio per pochi sulla strada del confine salutare tra intimità e elargizione in cui non si pesa ci che si è.
Carico affettivo e carico digitale che in primis deve essere riconosciuto nella famiglia nell’aiuto concreto a separare i due confini verso la costruzione di una sana reputazione digitale in cui la miglior veste di se non si fonda su immagini curate, commenti, post, ma sul riconoscimento di un fare digitale orientato su comunicazioni consapevoli e comportamenti corretti nelle sperimentazioni digitali compiute a tempo debito e non precocemente senza il supporto di una corretta educazione digitale.
Sapere ed essere digitale che porta al miglior curriculum per affrontare la vita e quelle che saranno le professioni del futuro, ad oggi orientate su un fare veramente eccellenza digitale.