Gli strumenti digitali possono creare dipendenza e la creano se utilizzati nel modo sbagliato come un rifugio della mente per evadere da altro e “non pensare”.
Prima di arrivare a parlare di patologia dobbiamo però comprendere che ci troviamo di fronte ad un nuovo modo di giocare che sfrutta le regole del gioco, di tutti i giochi e di tutti i bambini. Se però prima si correva nel parco per giocare, oggi si sta seduti sul divano per farlo, insieme ad altri amici che lontano da noi sono con noi nella Battle Royal.
C’è un nuovo ambiente da esplorare ma come tutti gli ambienti nuovi, soprattutto per i più piccini occorre esplorarlo insieme. Quanti di noi si sono seduti accanto ai nostri figli per vedere come funziona davvero Fortnite? Ci uniamo, combattiamo, saliamo di livello, e ci divertiamo. A volte così tanto da non sfidarci più nel gioco della vita. Tanto da chiudere le stanze e immergerci nel paese dei balocchi, che alla lunga ci rende eterni ciuchini. La vecchia favola di Pinocchio è sempre illuminante!
Perché alla base dei videogiochi c’è la psicologia?
Gli ideatori dei videogames, così come quelli dei social conoscono bene la psicologia e anzi fanno della conoscenza della mente la direttiva principale per costruire le regole di frequentazione dello spazio digitale.
Qualsiasi battaglia virtuale si accende nella mente dell’utente e attiva neurotrasmettitori specifici che creano dipendenza ad esempio. In ogni videogame ogni dettaglio viene studiato in modo specifico e testato sperimentalmente dai collaudatori.
Ogni icona che viene immessa nel gioco, per acquisire una skin ad esempio viene realizzata in modo che la mente riesca ad intuire subito a cosa serve. Semplice ed intuitivo per catturare l’attenzione e convogliare verso altre leve motivazionali che dalla conoscenza della mente dell’uomo portano ad implementare il desiderio di giocare e di evadere.
Ci si aggancia con facilità e si non si riesce a bloccare l’attrattività. Soprattutto per il cervello degli adolescenti che è ancora in fase di sviluppo e formazione e per questo meno capace degli adulti di controllarsi. L’autocontrollo è difficile per i bambini e gli adolescenti ed è per questo che i genitori debbono aiutarli a gestire il tempo di gioco con la comunicazione e il rispetto di indicazioni concordate preventivamente. Spesso inoltre si sottovaluta l’aspetto sociale dei videogames che sono veri e propri luoghi di aggregazione.
Il più delle volte infatti, cuffiette in testa e si gioca con gli amici, con i compagni di classe, con i compagni di calcio. Se stremato dai continui richiami a spegnere la console il genitore arriva a togliere di mano il telecomando ai ragazzi e così facendo si instaura un circolo vizioso di capricci, lamenti, provocazioni e vere e proprie crisi isteriche che portano il genitore a dare l’etichetta: “è dipendente dalla tecnologia! Ormai non c’è nulla da fare”.
Occorre responsabilizzare e concordare prima i tempi di frequentazione del gioco, proporre alternative per un fare co-costruttivo insieme.
Perché i videogames sono così attraenti?
I videogames sono strutturati per essere attivati da leve motivazionali che agiscono sulla mente dell’utente e per farlo usano l’interazione: Sono interattivi: ogni azione scatena una conseguenza immediata., che fa sentire la persona più attiva rispetto a ciò che affronta nella sfida.
Interattività, azione e competizione, fanno del gioco un potente dominio di attrattività soprattutto per i ragazzi che sulla spinta dello svincolo adolescenziale hanno bisogno di sentirsi potenti e forti come i grandi.
Nel gioco si sale sempre di livello, c’è un obiettivo preciso da raggiungere che assicura una ricompensa interna in termini di gratificazione e dopamina. Vincere una sfida significa iniziarne un’altra più complessa, ci si sente grandi, invincibili e si vuole ottenere sempre di più. Che succede però se ci si allontana dalla vera sfida della vita?