La nuova direttiva del MIUR, che dopo più di dieci anni cancella il divieto, imposto nel 2007 dall’allora ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, di utilizzare il cellulare in classe, sta suscitando le più diverse reazioni. Su questo argomento abbiamo intervistato Alberto Contri, docente di Comunicazione Sociale all’Università Iulm e autore, di recente, del saggio McLuhan non abita più qui? pubblicato da Bollati Boringhieri, in cui molte pagine sono dedicate agli effetti negativi dell’abuso dei device elettronici nella scuola, nei luoghi di lavoro, nella vita di tutti i giorni.
Key4biz. Cosa pensa dell’inversione di rotta della ministra Valeria Fedeli, che promuove l’uso del cellulare in classe, precedentemente bandito? Lei è stato il primo a sperimentare a fine anni Ottanta sia il videodisco interattivo che la realtà virtuale per usi didattici.
Alberto Contri. Trovo che in questi casi occorra lasciar perdere le tifoserie politiche e gli schieramenti precostituiti, per valutare attentamente il merito delle questioni. Per esempio, sono assai d’accordo sulla decisione di abbandonare il tema cosiddetto di carattere letterario, per privilegiare prove che stimolino la crescita di un pensiero critico ben strutturato. Uno studente dotato di buona memoria potrebbe prendere infatti un bel voto per un tema su Leopardi citando interi passi del De Sanctis, ed essere poi incapace di una analisi critica propria. Quindi su questo fronte mi sono schierato apertamente con la Ministra Fedeli.
Key4biz. E sulla questione del cellulare?
Alberto Contri. Non sono d’accordo, invece, e per molte ragioni. Ma anche in questo caso occorre distinguere. Mi pare ovvio che le scuole debbano disporre di un adeguato collegamento Wi-FI come supporto alla didattica. Nel mio corso di Comunicazione Sociale all’università IULM faccio continuamente ricorso al web, a Google, a YouTube eccetera, guai se non potessi disporne in tempo reale. Ma questo vale per i docenti: non si capisce proprio che uso ne possano fare gli studenti se non per distrarsi ulteriormente.
Key4biz. Ha letto il documento redatto dai consulenti del MIUR con il razionale del nuovo indirizzo?
Alberto Contri. Si, purtroppo. Dico purtroppo perché vi ho trovato affermazioni generiche, intrise di una retorica modernista priva di reali significati, che oltretutto rimanda ogni responsabilità alle singole scuole e ai singoli insegnanti (e meno male). Inoltre non vi trovo nemmeno una minima eco del crescente numero di ricerche realizzate in tutto il mondo, che dimostrano come gli effetti collaterali dell’uso del cellulare in classe (ma anche dei computer) ne superano di gran lunga i benefici. Sembra che gli estensori non siamo mai entrati in una classe in cui i ragazzi hanno i cellulari a disposizione. Come mai in Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti e molti altri Paesi si è giunti a vietarne l’uso? Semplicemente perché l’attenzione, storicamente già così difficile da ottenere, si perde del tutto nell’uso che gli studenti ne fanno (è dimostrato) per fare tutt’altro.
Key4biz. Quindi lei è contrario all’uso degli strumenti elettronici nella didattica?
Alberto Contri. Vediamo di non fare confusioni: l’uso della Lim (la lavagna multimediale) o del Pc collegato alla rete per mostrare dati è un ottimo sussidio per il docente. Ma non lo è se lo maneggiano tutti contemporaneamente, diamine. Altro conto è dedicare lezioni precise allo studio del coding, dell’informatica, delle ricerche per imparare ad orientarsi nel mare magnum del web: ma questa è un’altra faccenda, ed è ovvio che in questi casi è fondamentale poter disporre di un’aula attrezzata con un computer per ogni studente. Ove non ci fosse, può andar bene anche il cellulare, ma solo in questi precisi casi. Per il resto, gli insegnanti e i docenti più avveduti sono del tutto contrari. Il prof Autore, un luminare della cardiologia internazionale che insegna alla Sapienza di Roma, avverte gli studenti all’inizio delle sue lezioni che non renderà disponibili le sue diapositive, per obbligarli a prendere appunti e a non distrarsi… Figuriamoci un po’. Il CEO della Virgin, Richard Branson, ha addirittura introdotto nel suo Gruppo l’uso del Digital Detox, almeno un giorno alla settimana in cui nessuno può usare un device elettronico. Mentre il capo di un grande Gruppo Internazionale (e non solo, perché il Digital Detox sta prendendo sempre più piede ovunque) cerca di acchiappare i buoi usciti dalle stalle, qui sembra si cerchi di farli scappare il prima possibile.
Key4biz. Nel documento del MIUR si parla di introdurre il cellulare anche nella scuola primaria…
Alberto Contri. Questa è una follia bella e buona, un vero e proprio delitto, che testimonia purtroppo una palese ignoranza in campo neurologico e pedagogico. Neurologi e linguisti sono oramai unanimemente d’accordo nel sostenere che prima dei sette-nove anni occorre evitare di far mettere le mani sulla tastiera di un computer (figuriamoci di un cellulare, cosa che invece avviene già dai due anni in su). La scrittura a mano è fondamentale per aiutare il cervello a sviluppare un linguaggio strutturato. Altra cosa, va chiarito, è avvicinare i bambini ai principi del coding, tramite l’uso di cubi e forme colorate.
Key4biz. Si tratta di mere teorie o esistono dati scientifici a confronto?
Alberto Contri. Lavori scientifici sul tema ce ne sono oramai in quantità. Nel mio saggio riporto un servizio di Alice Vigna, che nel febbraio 2015 rendeva conto sul Corriere della Sera, tra le altre cose, delle ricerche svolte da Karin James dell’Università di Bloomington, secondo la quale «Negli adulti le zone che si attivano leggendo sono le stesse che vediamo accendersi nei bambini quando osservano una singola lettera che hanno imparato a scrivere a mano; nei piccoli che sanno solo digitarla su tastiera ciò non accade». Alice Vigna sottolineava come la conferma fosse arrivata dalla Cina, dove si utilizza sempre di più il sistema “pinyin” di trascrizione del cinese sulle tastiere QWERTY: abbandonando gli ideogrammi scritti a mano, che esprimono concetti ben più ampi di una singola lettera, le diagnosi di dislessia e altre difficoltà di lettura hanno mostrato una continua crescita. Confermava la prof.ssa Karin James: «Digitare una lettera non permette di comprenderne davvero la forma e le possibili variazioni che non ne alterano il significato, come invece accade quando si impara a scriverla a mano». Altre ricerche sui danni della precoce esposizione ai mezzi digitali costruiscono la base di un saggio davvero illuminante, “Demenza Digitale”, scritto da Manfred Spitzer, uno dei più rinomati studiosi tedeschi, che oggi dirige la Clinica Psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm.
Key4biz. Eppure sono in molti a inneggiare all’uso precoce di questi mezzi.
Alberto Contri. Sbagliano, e molto. Perché qui non sono in discussione mere teorie, ma dati documentati. Del resto si è scoperto recentemente che tutti grandi del web, da Steve Jobs a Bill Gates, hanno tenuto lontano il più possibile i propri figli da questi mezzi. A proposito della scrittura, spiegato in maniere assai semplificata, accade questo: quando scriviamo le prime lettere dell’alfabeto sul quaderno di prima elementare, un impulso parte da alcuni neuroni del nostro cervello, lungo il braccio arriva alle dita alle quali impartisce il comando di comporre la lettera richiesta. Un istante dopo, dalle dita e dalla mano vengono inviati a ritroso altri impulsi a quell’area del cervello da cui era partito l’ordine, andando così a completare un ricordo fatto di due elementi: l’ordine di disegnare la lettera, e il resoconto – se così si può dire – di come il disegno è avvenuto: il ricordo complessivo andrà a costruire il linguaggio. È del tutto evidente che i tasti quadrati del pc rimanderanno indietro impulsi tutti uguali per lettere tutte diverse, con i successivi problemi, come dimostrato dagli studi di Karin James. Ma forse al MIUR non li conoscono: nella scuola primaria si dovrebbe solo scrivere a mano.
Key4biz. Nel suo saggio lei denuncia la confusione che si fa intorno all’analogico e al digitale, riducendola ad una banale querelle tra conservatori e modernisti.
Alberto Contri. È davvero ridicolo dover perdere tempo a spiegarlo: la nostra mente è analogica, mentre sono le applicazioni ad essere digitali. La nostra mente non può svolgere funzioni multitasking, tipiche invece di un computer, che le può svolgere pure a velocità sempre maggiori. Lo conferma Earl Miller, neuroscienziato del MIT di Boston: “Il nostro cervello non è strutturato per agire in modalità multitatsking. Quando le persone cercano di usare questa modalità, in realtà costringono il cervello a subire un vero e proprio costo in termini cognitivi, dovuto al rapido passaggio da un compito all’altro”.
Anche sull’intelligenza artificiale si fa un sacco di confusione, perché in realtà si sta parlando di intelligenza computazionale, capace di confrontare senz’altro moltissimi dati diversi, ma sempre secondo un linguaggio lineare binario che è quello dell’informatica. La nostra mente usa invece ad un tempo una quantità di linguaggi completamente differenti: basti accennare a profumi, odori, sensazioni, stati d’animo, intuizioni, che agiscono e interagiscono su assi ben più che tridimensionali, e in forma completamente analogica. Ecco perché i neurologi, i linguisti, i docenti più coscienti ed avanzati sostengono che occorre sviluppare prima e più che si può l’approccio analogico della nostra mente, così da poter meglio padroneggiare più avanti il complesso mondo digitale che dovrà essere al nostro servizio, e non viceversa.
Key4biz. C’è anche chi ha chiamato i cellulari mezzi di distrazione di massa…
Alberto Contri. Beh, il problema è oramai talmente compreso e diffuso in tutto il mondo che persino un brand multinazionale come la Coca-Cola ci ha costruito su un virale divertente che è ad un tempo un forte atto di denuncia (https://www.youtube.com/watch?v=_u3BRY2RF5I). Che i più giovani usino il cellulare soprattutto per distrarsi, è un dato oramai assodato. Una ricerca pubblicata alcuni giorni fa, dimostra che il solo tenerlo in tasca durante un compito in classe abbassa il rendimento degli studenti sempre tentati di ricorrervi invece di concentrarsi su ciò che sanno. È lo stesso motivo per cui cito nel mio saggio, a supporto delle mie tesi, un pensiero di Patricia Greenfield, insigne psicologa dell’età evolutiva docente all’UCLA: “Ogni medium sviluppa abilità cognitive sempre a scapito di altre, per cui c’è da chiedersi se le nuove potenzialità di intelligenza visivo-spaziale valgano il prezzo dell’indebolimento dell’elaborazione profonda, che è alla base dell’acquisizione attenta di conoscenze, dell’analisi induttiva, del pensiero critico, dell’immaginazione e della riflessione”. E pensare che già nel 2009 la rivista di culto del web, Wired, riportava questo strillo in copertina: “Il sovraccarico digitale sta friggendo i nostri cervelli”. Perché allora dire addio al tema letterario in cambio di altri esercizi di scrittura che stimolino la crescita del pensiero critico, e poi auspicare nella scuola primaria l’uso di mezzi che lo indeboliscono per definizione?
Key4biz. Pollice verso totale verso questa iniziativa della Ministra Fedeli?
Alberto Contri. Mah, almeno è positivo che si lasci libertà di scelta alle singole scuole e al corpo insegnante. C’è solo da sperare che i nostri ragazzi capitino sotto insegnanti con la testa sulle spalle. Piuttosto mi colpisce un dato di carattere più politico-culturale. Fioroni e Fedeli appartengono allo stesso partito, ma nel PD di oggi, dal suo segretario in giù, abbondano gli entusiasti per le magnifiche sorti e progressive di tutto ciò che è digitale, forse perché profuma molto di moderno. Così come abbondano gli entusiasti per le nuove imprese del web, che offrono certamente molti nuovi posti di lavoro, ma che sono però in larghissima parte di basso livello e pure a tempo determinato. C’è quindi da chiedersi come mai i vertici di un partito di sinistra per eccellenza tifino per un’economia che arricchisce al massimo 5 o 6 persone al mondo (L’Espresso ci ha fatto una copertina chiamandoli “Cannibali digitali”) e per una scuola precocemente votata all’uso delle tecnologie digitali che male introdotte ed impiegate rischieranno di preparare soprattutto i nuovi schiavi digitali. La priorità della scuola dovrebbe essere quella di mirare invece allo sviluppo delle facoltà mentali analogiche per mettere in grado gli studenti di padroneggiare, invece che subire, un futuro che si annuncia fatto dall’internet delle cose.
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