Automazione diffusa, oggetti interconnessi ed in grado di interagire con noi e l’ambiente, tanta elettronica e tanta informatica che dal mercato premono sulla porta di casa, ma il consumatore resta in attesa e le smart technologies fanno fatica ad entrare tra le mura domestiche.
Una nuova ricerca Accenture dal titolo “Putting the Human First in the Future Home” spiega perché la smart home piace ma non decolla, focalizzando l’attenzione del lettore su due punti: per progettare la “smart home dei desideri” le imprese non devono concentrarsi sui prodotti, ma sull’approccio, che deve essere ‘human centric’, cioè centrato sulla persona e le sue esigenze.
Il problema non è la tecnologia di per sé o la domanda di innovazione. Secondo un recente studio IDC, entro la fine del 2019 le spedizioni di dispositivi per la smart home sono stimate superare gli 830 milioni di unità, con una crescita del 27% su base annua, mentre entro il 2023 tale cifra salirà a 1,6 miliardi.
Si tratterà per lo più di device per video entertainment (43%), di sistemi per monitoraggio e sicurezza domestica (17%), di smart speakers (17,3%) e di sistemi di illuminazione di nuova generazione (6,8%).
Un mercato quindi che esiste, ma che nasconde un’insidia per le aziende: siamo sicuri di aver compreso le reali intenzioni dei consumatori riguardo alla “casa intelligente”?
Accenture è andata in fondo e dai primi risultati appare evidente che il mercato debba riorientarsi in chiave “human centric”: la casa del futuro non è solo tecnologia, ma anche qualcosa che ha a che fare con l’identità e la personalità di chi la abita, le sue aspettative e i suoi timori.
Secondo lo studio, il 50% degli intervistati ha dichiarato di passare molto più tempo in casa che negli anni passati. Il dato più alto in Brasile, con il 65% delle persone che tende a passare più tempo tra le quattro mura domestiche, quello più basso in Cina, con il 43%.
Il 62% degli intervistati descrive la propria abitazione come confortevole e accogliente. Gli indiani ci aggiungono anche ‘pulita’ (nel 51% dei casi), mentre per gli scandinavi un’altra prerogativa della casa è il relax (71%).
Dati che non fanno altro che evidenziare, secondo Claire Carroll, Portfolio Director Accenture’s The Dock, “quanto la nuova idea di casa debba necessariamente ruotare attorno al concetto di persona e di gruppo famigliare, quindi di identità, di valori e di paure. Il settore offre grandi opportunità e ci sono anche diversi mercati ancora inesplorati. Le aziende devono però avere un approccio diverso, cioè devono pensare in maniera diversa la progettazione di servizi e prodotti, la segmentazione della clientela e lo stesso target di mercato”.
Ad esempio, la stragrande maggioranza del pubblico ritiene che la tecnologia in casa aiutai a vivere meglio il proprio tempo (liberando più tempo libero), aiuti nei lavori, nell’organizzare la giornata, nel fare economia e anche nel vivere al meglio il tempo del riposo, con i figli magari, offrendo intrattenimento sempre più personalizzato e variegato, ma allo stesso tempo, gli intervistati hanno anche sollevato diversi dubbi e alcune preoccupazioni: tutta questa tecnologia non ci renderà più pigri? Tutta questa tecnologia non sarà troppo invasiva? Che ne sarà della nostra privacy? Chi proteggerà la sicurezza dei dati personali?
“C’è una tensione crescente tra le persone e la tecnologia, soprattutto riguardo la possibile dipendenza tecnologica, con una percezione viva di privacy minacciata e isolamento crescente”, ha precisato Carroll.
Ad essere preoccupati per la dipendenza tecnologica sono soprattutto i più giovani, il 49% di chi ha un’età compresa tra 18 e 34 anni.
Al contrario, gli over 60 sono molto favorevoli all’introduzione di tali soluzioni in casa (62%), perché semplificano la vita, la rendono più divertente e aperta al mondo, soprattutto alle relazioni sociali. “Ecco perché l’industria e le imprese devono studiare maggiormente ciò che accade in casa, quelle che sono le aspettative delle persone e le loro paure, perché questi due fattori guidano le scelte dei consumatori”, ha spiegato la responsabile Accenture.
La domanda di fondo, a questo punto, è: le imprese davvero conoscono i propri consumatori?