Non esiste un modello unico di smart city, né una strada migliore delle altre per trasformare una città tradizionale in un’area urbana innovativa e basata su nuovi concetti di crescita e sviluppo. A livello mondiale ci sono diversi casi di smart cities e tutti sono validi esempi di come si può rendere più efficiente, pulita, vivibile e funzionale una città di qualsiasi dimensione.
A fare la differenza è il ruolo che si assegna ai cittadini, o alle organizzazioni sociali, alle nuove tecnologie, alla burocrazia, alle imprese o all’amministrazione pubblica. In realtà, sono tutti attori che dovrebbero concorrere assieme alla progettazione e allo sviluppo di una smart city, perché solo così si può garantire un posto di rilievo, tra gli obiettivi primari, all’inclusione sociale, tecnologica ed economica di tutti.
Nel nuovo Report di IMD, lo “Smart city index 2019”, sono state selezionate e classificate 102 città nel mondo, in base ad una serie di indici ed indicatori, tra cui l’inclusione sociale, l’ambiente, l’innovazione tecnologica, le infrastrutture, i servizi ai cittadini e le imprese, l’intrattenimento, l’offerta culturale, la gestione di problemi enormi come inquinamento, rifiuti e approvvigionamento di risorse energetiche ed idriche.
A sorpresa, Singapore si piazza al primo posto, soprattutto per gli elevati punteggi relativi alla sicurezza, alla qualità dell’aria e al traffico poco congestionato.
Al secondo posto c’è Zurigo, la prima delle città europee. La città svizzera mostra alti punteggi per i trasporti pubblici, l’accesso ai servizi sanitari e all’offerta culturale. Segue Oslo sul gradino più basso del podio, che invece ha sviluppato un’economia circolare avanzata e diffusa, ha sperimentato sistemi per il voto elettronico (quindi l’eGovernment) e una mobilità basata sulla bicicletta e non sulle auto private.
Nelle prime dieci posizioni, troviamo sette città europee. Nelle prime venti posizioni si aggiungono altre cinque città europee, portando il totale a 12 su 20. Un dato che fa riflettere e che pone ancora una volta la nostra idea di crescita e sviluppo urbano come una delle più efficaci e inclusive al mondo.
La prima delle città italiane è Bologna, che occupa il 18° posto, seguita a breve distanza da Milano al 22°, quindi più indietro c’è Roma, che occupa il 77° posto in classifica.
Non è una questione di dimensioni, come già accennato all’inizio, né di popolarità, perché tra le prime 20 smart city del ranking IMD ci sono in realtà centri di medie o piccole dimensioni (Copenhagen, Auckland, Taipei, Helsinki, Dusseldofr, Vancouver, Montreal) che di solito non troviamo negli articoli di giornale e nei notiziari televisivi.
Se si vanno a cecare le città più famose, che di solito sono anche le più grandi in estensione, bisogna scendere: Madrid al 21° posto, Dublino al 30°, New York al 38°, Belino al 39°, Dubai al 45°, Parigi al 51°, Pechino al 60°, Tokyo al 62°, Mosca al 70°, Atene al 90° e Rio de Janeiro al 96°, solo per citarne alcune.
Questo perché, come noto, è più facile aprire confronti pubblici e trovare soluzioni ai principali problemi sul territorio nei centri di medie e piccole dimensioni, piuttosto che nelle megalopoli.
Nelle grandi città le distanze tra le amministrazioni pubbliche ed i cittadini sono enormi. Non c’è confronto e dialogo tra le parti e molte delle soluzioni tecnologiche che vengono adottate, rimangono pressoché sconosciute a coloro che dovrebbero invece coglierne i vantaggi, cioè sempre i cittadini.
Esistono una grande quantità di applicazioni e piattaforme smart city già disponibili, ma che, non essendo conosciute dal grande pubblico, o non sono attive, o non sono utilizzate.
Finché l’innovazione tecnologica sarà calata dall’alto, senza ascoltare quelle che sono le priorità e le esigenze dei cittadini, di chi abita i quartieri, le smart city non nasceranno mai e al loro posto avremo solo grandi supermercati tecnologici, ambienti sociali dove regnano disuguaglianza ed esclusione, e dove qua e là emergono confort zone esclusive.