I centri urbani sono da sempre i principali motori economici, culturali e civili di ogni società. L’aumento esponenziale del numero di abitanti (già la metà della popolazione mondiale vive attualmente in città), il consumo forsennato di risorse naturali ed energetiche (calcolato in due terzi di quello complessivo), le emissioni inquinanti generate ogni anno (il 70% del totale), sono fenomeni però che stanno assumendo una dimensione allarmante, trasformando le aree urbane in luoghi pericolosi per la salute e la stessa vita dei cittadini.
È per questi motivi che i sindaci di 207 città di tutto il mondo, tra cui Johannesburg, Londra, New York, San Paolo, Sydney e Tokyo (per l’Italia Torino, Milano, Genova, Ravenna, Venezia e altre), hanno annunciato nuovi piani per l’adozione di tecnologie abilitanti le smart city, per potenziare le azioni a favore della sostenibilità ambientale e della lotta ai cambiamenti climatici.
È quanto si legge nel nuovo Rapporto “Protecting our Capital” di CDP, realizzato in collaborazione con AECOM e C40 Cities Climate Leadership Group, in cui si illustrano tutti i programmi messi a punto dalle amministrazioni pubbliche delle grandi metropoli globali, in termini di riduzione dell’impatto ambientale delle attività umane, economiche ed industriali, di gestione intelligente delle risorse idriche, di riduzione delle emissioni inquinanti, di salvaguardia dell’ambiente, di miglioramento della qualità della vita, di efficienza energetica e ricorso a fonti energetiche rinnovabili.
Negli ultimi dieci anni (2002 – 2012) l’Artico hanno perso 250 miliardi di tonnellate di massa ghiacciata, i livelli delle acque oceaniche sono aumentati di 3 mm l’anno, le ondate di caldo aumentano di frequenza e di potenza, la temperatura media è aumentata (solo in Europa) di 1,3 °C, le piogge si fanno meno frequenti e quando si presentano lo fanno come vere e proprie ‘bombe d’acqua’ improvvise.
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, in questi dieci anni 710 mila persone sono morte a causa di 14 mila catastrofi naturali che hanno flagellato il pianeta. In termini economici, nel solo 2012, il costo dei fenomeni meteorologici estremi è stato pari a 160 miliardi di dollari (National Climatic Data Center – NOAA).
Basta una perturbazione più forte del solito perché si verifichi l’interruzione della fornitura di energia elettrica e di acqua potabile di interi quartieri. Un dato che non riguarda solamente i grandi centri urbani dei Paesi emergenti e del Sud del mondo, ma sempre più spesso anche di Europa e Nord America.
Cambiamenti che stanno generando fenomeni atmosferici devastanti, che causano danni enormi all’agricoltura (mettendo a rischio le forniture di risorse alimentari in città), distruzioni immani e un gran numero di morti e feriti ogni anno.
Molte delle città di tutto il mondo sorgono lungo le coste di mari e oceani e lungo i letti di fiumi medio-grandi, ogni volta che uragani e temporali di grandi dimensioni si abbattono su tali luoghi le popolazioni sono sistematicamente in pericolo.
È quindi necessario intervenire subito, sia lato istituzioni, sia lato aziende, spiegano i ricercatori, per evitare danni maggiori alle cose e ancora decessi tra i cittadini, intervenendo sulle infrastrutture critiche, promuovendo uno stile di vita più sostenibile, diminuendo l’inquinamento, mettendo in sicurezza il territorio urbano ed extraurbano.