L’estate che stiamo vivendo è già passata alla storia come una tra le più calde degli ultimi 100 anni. Temperature mediamente elevate, mancanza cronica di pioggia, danni all’agricoltura per siccità e il problema, finalmente alla ribalta, dell’inadeguatezza delle nostre infrastrutture idriche.
L’aumento delle temperature medie, che di anno in anno ormai sperimentiamo quasi senza soluzione di continuità, ci sta portando dritti verso la fase più intensa del global warming. Ovviamente, è solo una supposizione, ma i dati raccolti in questi ultimi decenni sono inequivocabili, tanto da spingere la gran parte dei Paesi del G20 (tranne qualche eccezione, tra cui gli Stati Uniti di Donald Trump) a prendere delle contromisure, tra cui un tentativo, probabilmente vano quanto obbligato, di contenere l’aumento della temperatura media del Pianeta al di sotto dei 2°C entro il 2030 (oggi siamo a quasi +1°C, ma secondo altri centri di ricerca tale soglia l’abbiamo già superata).
La cosa che più colpisce di questa estate 2017 è il numero di quelle che i meteorologi chiamano “ondate di calore”, cioè periodi di tempo particolarmente caldi, con temperature diurne e notturne insolitamente elevate rispetto alle temperature medie tipiche del periodo e dell’area geografica, con una durata di almeno due-tre giorni e un potenziale impatto negativo sull’uomo e sugli ecosistemi in generale.
Solo col mese di luglio ne abbiamo avute quattro e con l’inizio di agosto siamo alla quinta. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso si parlava al massimo di un paio di ondate l’anno. Se risaliamo agli anni Sessanta erano addirittura fenomeni rari (un paio ogni dieci anni).
Succede quindi che le ondate di calore stanno aumentando in frequenza, intensità e durata, colpendo anche le città, con effetti ancora più pesanti (che vanno a moltiplicare il già noto fenomeno dell’isola di calore). A confermarlo i dati di uno studio pubblicato sulla rivista “Atmosphere” da quattro strutture di ricerca italiane, con base a Firenze: Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr), Centro di bioclimatologia dell’Università di Firenze, Consorzio Lamma e Accademia dei Georgofili.
La ricerca ha monitorato l’andamento delle ondate di calore nelle 28 capitali dell’Unione Europea, utilizzando i dati del periodo maggio-settembre dal 1980 al 2015, classificate in base alle linee guida del World Health Organization e del World Meteorological Organization.
Ne è venuto fuori un quadro molto istruttivo sull’argomento global warming: “Nel sotto-periodo 1998-2015 sono stati osservati, in confronto al 1980-1997, aumenti di durata e intensità delle ondate in oltre il 60% delle capitali europee, in particolare di area centro e sud-orientale: da una frequenza dei giorni di ondata di calore del 7-8% dei giorni estivi al 12-14%”, ha spiegato Marco Morabito dell’Ibimet-Cnr, coordinatore della ricerca.
Il gruppo di ricercatori ha calcolato un indicatore sintetico e informativo chiamato “Heatwave Hazard Index” (Hwhi), che permette di analizzare contemporaneamente tutte le specifiche dell’impatto dell’ondata di calore: il numero di giorni, il numero delle ondate di calore lunghe e intense e la data della prima. “L’Hwhi è raddoppiato a Vienna, Budapest, Ljubiana e Nicosia, triplicato a Zagabria e Atene. A Roma l’indice è raddoppiato nel 1998-2015 rispetto al periodo precedente e in particolare la frequenza dei giorni di ondata è passata dal 5 al 13%”, ha specificato Morabito.
Nella ricerca, infine, è sottolineata la necessità di programmare “strategie di mitigazione e adattamento al caldo”. Tra le possibili azioni da mettere in campo, Morabito ha suggerito di “limitare l’uso dei condizionatori e in generale dell’elettricità”, di “ridurre i livelli di emissione di calore dagli autoveicoli”, di “aumentare ed intensificare le aree verdi in ambiente urbano”, di ridurre l’impermeabilizzazione dei suoli, di “ricorrere all’uso dei green-roof” (tetti con vegetazione) e dei cool-roof (tetti freddi), questi ultimi realizzati con materiali altamente riflettenti ed emissivi che riducono le temperature.
Secondo le analisi del Goddard Institute for Space Studies (GISS), pubblicate ad inizio anno, la temperatura media nel 2013 è stata di 58,3 gradi Fahrenheit (14,6 Celsius), ovvero 1,1 gradi F (0,6 C) più alta di quella registrata nel 1950. Ma se allarghiamo l’asse temporale, ecco che i dati rivelano una temperatura media globale cresciuta drasticamente di circa 1,4 gradi Fahrenheit (pari a 0,8 Celsius) dal 1880.
Variazioni in video della temperatura terrestre dal 1880 al 2015: la progressiva colorazione giallo-arancione del mondo rende bene l’idea di cosa sia il surriscaldamento globale.